Discendenti dei Faraoni, i copti vivono oggi una duplice tentazione: da una parte la fuga all'estero, dall'altra la chiusura in forme di revivalismo devozionale. Ma l'elezione del nuovo Papa, Tawadros II, potrebbe aprire scenari sorprendenti.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:37

I copti costituiscono oggi la comunità cristiana più numerosa del mondo arabo. Paradossalmente è forse proprio a questo primato che devono il dispiacere identitario di non potersi contare con precisione. Le stime variano tra il 6% (cifra ufficiale spesso fornita dalle autorità egiziane) e circa il 20% della popolazione. Si può ragionevolmente pensare che essi siano in realtà un po’ meno del 10% degli abitanti del Paese, ovvero circa 8 milioni di anime, per la stragrande maggioranza copti “ortodossi”.

La comunità copto-cattolica e la comunità protestante (che comprende diverse denominazioni) sono molto modeste (circa 200.000 fedeli ciascuna) ma nell’ambito socio-educativo esse assicurano una presenza decisamente superiore alla loro consistenza numerica.

I copti “ortodossi” sono in realtà non calcedoniani, nel senso che la loro Chiesa non ha accettato l’opzione teologica del concilio di Calcedonia (451): piuttosto di parlare di due “nature”, umana e divina, in Cristo, essa preferisce insistere sulla sua unica “natura” divino-umana. Questa percezione dell’unità profonda dell’uomo-Dio Gesù è stata spesso fraintesa, come se essa mettesse in pericolo l’umanità di Cristo assorbendola totalmente nella sua divinità. L’obiezione non ha fondamento: basta leggere i testi della liturgia e della spiritualità copta per convincersene, dove l’umanità di Gesù è fortemente sottolineata.

Dopo il 451 la Chiesa copta divenne sempre più una Chiesa nazionale dal carattere liturgico, teologico e spirituale molto specifico. Il termine “copto” (in arabo qibt) non è altro che una contrazione del greco aigyptios, “egiziano”. Esso fu progressivamente attribuito ai cristiani autoctoni a partire dall’invasione araba del VII secolo, la quale tuttavia non comportò né l’islamizzazione né l’arabizzazione immediata del Paese. I cristiani restarono in maggioranza fino al X secolo e il copto, derivato dall’egiziano faraonico, rimase una lingua viva fino alla fine del XIII secolo. Essa continua comunque a essere utilizzata nella liturgia.

Secondo la tradizione venerata dai copti, il Cristianesimo fu introdotto in Egitto dalla stessa Sacra Famiglia in fuga da Erode e poi consolidato dalla predicazione dell’evangelista Marco. La Chiesa nata con lui ad Alessandria oggi è più viva che mai e radicata in questo lungo passato. I fedeli frequentano i monasteri fondati nel IV secolo dai Padri del deserto (Antonio, Pacomio). Il ruolo dei monaci come padri spirituali di tutta la comunità rimane essenziale. La fede è fervente e si manifesta in maniera esuberante durante i tradizionali pellegrinaggi, che attirano folle immense. Tra le tradizioni copte, testimoni di un notevole patrimonio teologico, possiamo citare la bella consuetudine di poggiare sul capo di ciascun bimbo battezzato una mitra da prete a significare in  modo molto pertinente il sacerdozio comune dei fedeli. O ancora l’abitudine di tatuarsi la croce sul polso per l’orgoglio di essere cristiani.

 

 

Cittadini e rivoluzionari

Emancipatisi a partire dal 1855 dallo status previsto dalla dhimma (“protezione” relativamente discriminatoria concessa ai non musulmani in terra d’Islam), riconosciuti come cittadini a tutti gli effetti dalle varie Costituzioni dell’Egitto moderno, i copti hanno partecipato attivamente al movimento per l’indipendenza nazionale tra il 1914 e il 1952, in particolare nell’ambito del movimento Wafd che lottava contro il controllo britannico. Essi svolgevano allora un importante ruolo in tutti i settori della vita pubblica. Dalla “rivoluzione” del 1952, il loro statuto è andato sempre più indebolendosi, in particolare a causa dell’atteggiamento ambiguo dello Stato di fronte dell’ascesa dell’islamismo radicale. Estromessi in gran parte dalle posizioni di responsabilità, vittime sporadiche delle violenze integraliste, i copti sono stati tentati dal ripiegamento sui propri valori comunitari; alcuni hanno scelto addirittura di lasciare il Paese.

Lo straordinario rinnovamento spirituale della Chiesa, favorito dalla quasi-resurrezione del monachesimo negli anni ’60-’70 e preso in mano con forza da Papa Shenouda III, ha fatto della gerarchia la portavoce privilegiata della “nazione copta”. È in un revivalismo religioso carico di devozione che molti cristiani egiziani hanno visto la risposta più adeguata all’islamismo. Ma una tale riappropriazione dell’identità religiosa, accanto ad aspetti indiscutibilmente positivi, si traduce anche in un conservatorismo severo e in un’eccessiva emarginazione dei laici. Tuttavia questa situazione sembra evolvere rapidamente. Lo testimonia la partecipazione di numerosi giovani copti alla rivolta del 2011 nonostante i moniti della Chiesa, e l’avvento del nuovo Papa Tawadros II (novembre 2012), mostratosi subito desideroso di limitare l’interventismo ecclesiale in ambito politico e soprattutto di aprire la Chiesa alla modernità.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Christian Cannuyer, Attori di oggi, non pezzi da museo, «Oasis», anno IX, n. 17, gugno 2013, pp. 122-128.

 

Riferimento al formato digitale:

Christian Cannuyer, Attori di oggi, non pezzi da museo, «Oasis» [online], pubblicato il 1 giugno 2013, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/attori-di-oggi-non-pezzi-da-museo.

Tags