La più grande comunità cristiana in Medio Oriente cerca di una propria posizione nel contrastato contesto politico egiziano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:54:02

Nel piccolo villaggio di al-Ur, nel Sud dell’Egitto, è stata inaugurata pochi giorni fa la cattedrale dedicata ai 21 copti decapitati dallo Stato Islamico in Libia, nel febbraio 2015. Costruita a spese del governo, la nuova chiesa si inserisce in una strategia del presidente ‘Abd al-Fattah  al-Sisi, che a marzo si ripresenta alle urne, di rafforzamento dell’alleanza con la Chiesa copta. Seguendo le orme del suo predecessore Gamal ‘Abd al-Nasser, il ra’is tenta oggi di superare le critiche di chi accusa lo Stato di non fare abbastanza per la tutela dei diritti dei cristiani in Egitto.

 

Il 25 giugno del 1968, Nasser, presidente della Repubblica egiziana, durante una solenne cerimonia inaugurava, assieme al patriarca Cirillo VI, la nuova cattedrale copta al centro del Cairo.

Un incontro che siglò l’inizio della collaborazione tra governo e patriarcato alessandrino

Il coinvolgimento diretto dell'allora ra’is si manifestò in vari modi. Prima di tutto con un generoso contributo economico che venne donato personalmente alla chiesa egiziana ai fini di edificare il nuovo luogo di culto, mettendo a disposizione per i lavori le imprese nazionalizzate. Poi velocizzando la prassi richiesta per ottenere la costruzione di nuove chiese, che normalmente rischiava di perdersi in un iter burocratico il più delle volte fallimentare. E ancora, nel discorso accorato tenuto in occasione della posa della prima pietra, il 24 luglio del 1965, rivolto a diffondere un messaggio di fratellanza e collaborazione tra le due comunità religiose egiziane. Ma fu soprattutto la presenza di Nasser all’intera cerimonia inaugurale, immortalato mano nella mano con Cirillo VI, a conferire alla sacralità dell'evento un aspetto marcatamente politico.

 

Questo incontro infatti siglava l’inizio di una lunga collaborazione tra il governo egiziano e il patriarcato alessandrino, che avrebbe assicurato il costante e imperituro appoggio della comunità copta ai regimi egiziani e una inclusione (seppur spesso solo apparente) dei cristiani nel sistema sociale e politico.

 

Il colpo di Stato messo in atto nel luglio del 1952 dagli Ufficiali liberi aveva impresso un radicale cambiamento non soltanto nella forma di governo – la monarchia cedette il passo a un sistema repubblicano – ma anche a livello ideologico, politico, sociale ed economico.

 

I primi anni Cinquanta, con la presidenza di Muhammad Nagib (1953-54), erano stati gli anni della stabilizzazione al potere dei militari: fin da subito essi avevano promosso energicamente l’attuazione di una politica che prevedesse il coinvolgimento della comunità copta (antica presenza la cui percentuale nell’Egitto di oggi è stimata a circa il 10 per cento della popolazione) a sostegno del nuovo governo, lanciando a tutti gli egiziani l’appello all’unità, all’uguaglianza e al rispetto dell’ideale nazionale.

 

Negli stessi anni erano state avviate diverse politiche che, oltre a colpire il vecchio regime e le élite che lo sostenevano, provocarono ingenti danni alla comunità copta.

 

Dalla riforma agraria del 1952 alla legge di unificazione delle giurisdizioni del 1955, passando per le nazionalizzazioni del 1957 e del 1960, i copti subirono una grave perdita di prestigio e una serie di restrizioni economiche e sociali. Queste riforme, tuttavia, non furono finalizzate a proteggere gli interessi e le tradizioni di un gruppo a danno di un altro ma rientravano nel programma politico ed economico dei rivoluzionari e del loro maggiore rappresentante, Gamal ‘Abd al-Nasser, che venne eletto presidente della Repubblica nel 1956.

 I copti subirono una grave perdita di prestigio e restrizioni economiche e sociali

Nasser, nel suo tentativo di modernizzazione e di rafforzamento delle strutture statuali del nuovo Egitto repubblicano, intervenne nel difficile rapporto tra potere politico e religione integrando gli aspetti legati alla fede all’interno di un più ampio progetto che potesse fornire al regime legittimità e sostegno popolare.

 

L’appello comune alla nazione egiziana diventò lo strumento attraverso cui il governo riuscì a sopire le tensioni tra i gruppi religiosi, ma soprattutto rappresentò per la comunità copta l’occasione di ritrovare uno spazio di partecipazione pubblica e sociale prendendo parte a eventi memorabili e a periodi difficili che il regime di Nasser dovette affrontare, come in occasione della Guerra dei Sei giorni.

 

Nasser e Cirillo VI

Un passo importante venne fatto in direzione di una maggiore collaborazione tra la Chiesa e il regime grazie proprio alla personale collaborazione che si instaurò tra Nasser e Cirillo VI, eletto nel 1959. Da allora il patriarca iniziò a relazionarsi direttamente con il presidente egiziano, mostrandosi più come guida politica che spirituale, e Nasser a riconoscere la leadership del patriarca, inibendo le voci di dissenso presenti all’interno della comunità.

 

Questa amicizia segnò l’epoca d’oro dei rapporti interconfessionali in Egitto, rappresentata simbolicamente dalle immagini di quel 25 giugno, allorché il ra’is e il patriarca entrarono insieme nella nuova cattedrale, a suggellare la devozione dei copti nei confronti del potere politico.

 

Sisi e Tawadros II

A distanza di poco più di cinquant’anni è stato l’attuale presidente, ‘Abd al-Fattah  al-Sisi, a volere pubblicamente rinnovare il patto con una maestosa cerimonia. Il 6 gennaio 2018, in occasione del Natale copto, l’attuale ra’is egiziano ha inaugurato assieme al patriarca Tawadros II la nuova cattedrale che nelle intenzioni del presidente dovrebbe diventare la più grande chiesa cristiana del Medio Oriente.

 

Costruita 40 chilometri a est del Cairo, nel sito che vedrà sorgere la “Nuova Cairo” (futura capitale amministrativa e finanziaria dell’Egitto secondo il programma di espansione urbana previsto dal governo), la cattedrale è stata costruita a tempo di record per far sì che il governo egiziano potesse sfoggiare in un’occasione solenne anche questo traguardo.

 

Il richiamo iconografico e simbolico a Nasser e Cirillo VI è chiaro: l’attuale presidente egiziano al-Sisi vuole rinnovare il patto di alleanza e collaborazione sancito anni addietro con la Chiesa provando, così, a superare le critiche di chi accusa lo Stato di non fare abbastanza per la tutela dei diritti e per la protezione dei cristiani in Egitto. E il discorso tenuto da al-Sisi, ribadendo l’appello all’unità nazionale tra cristiani e musulmani senza divisioni né differenze, echeggia le parole usate spesso da Nasser nei suoi discorsi pubblici. Ma le chiese al Cairo sembrano oggi fortezze asserragliate per le ingenti misure di sicurezza che per ordine governativo sono predisposte in ogni luogo di culto nel Paese, conseguenza della violenza che ha visto negli ultimi anni i copti diventare il nuovo target degli attacchi terroristici a firma dello Stato Islamico.

Le chiese del Cairo come fortezze asserragliate

Dall’uccisione e dall’evacuazione forzata nel 2017 di diverse decine di cristiani ad al-Arish, capitale del governatorato del Nord Sinai – dove in questi giorni è in corso una vasta operazione anti-terrorismo delle forze armate e dell’ordine -, al brutale attacco dell’11 dicembre 2016 avvenuto alla cattedrale copta al Cairo e al duplice attentato della domenica delle Palme, il 9 aprile 2017, a Tanta, nel Delta del Nilo, e ad Alessandria: gli ultimi attacchi contro i copti fanno presagire che la violenza terroristica non sia più confinata nella penisola del Sinai ma si stia spostando invece verso i principali centri urbani, mettendo ancora a dura prova la validità della promessa di sicurezza lanciata da al-Sisi come perno della sua propaganda. E oltre agli atti di violenza e alle intimidazioni permangono le condizioni di discriminazione politica, economica e sociale che gravano ancora oggi sulla comunità cristiana più numerosa nel mondo arabo.

 

Tale situazione è ciò che un memorandum, sottoposto lo scorso 21 dicembre alla discussione del Congresso americano da sei parlamentari statunitensi, ha cercato di fare emergere, sottolineando la presenza di una discriminazione sistematica dei copti nell’Egitto guidato dal presidente ‘Abd al-Fattah  al-Sisi.

 

Non è la prima volta che un’ingerenza esterna scatena aspre polemiche e condanne nel Paese: la risposta elaborata dalla Commissione per gli Affari esteri del Parlamento egiziano ha provato a confutare le tesi contenute nel memorandum statunitense, elogiando l’operato del presidente volto a sconfiggere l’azione dei gruppi radicali che tendono a spezzare l’unità tra cristiani e musulmani e a riaffermare i pieni diritti di cittadinanza per tutti gli egiziani senza differenziazione alcuna.

 

Allineati alla risposta ufficiale del governo, anche alcuni parlamentari copti hanno espresso il loro disappunto per le conclusioni alle quali è giunto il memorandum, affermando che il persistere di violenze e intimidazioni di carattere settario contro i copti non può essere imputato all’attuale leadership politica.

 

Il voto di marzo

Dal 26 al 28 marzo, si terranno le elezioni presidenziali e in assenza di rivali credibili, fatti desistere o arrestati nei mesi scorsi, il risultato in favore di Sisi, che ha riproposto la propria candidatura, sembra scontato.

 

La Chiesa copta, come in passato, si è dichiarata a fianco del presidente, pronta a sostenerne la campagna elettorale. E questo nonostante la presenza di un movimento di dissidenza all’interno della comunità che reclama da tempo un ritorno della Chiesa al suo originario compito spirituale, oscurato ormai da quello meramente politico, che ha di fatto fagocitato le istituzioni laiche della comunità. Sono le voci di un nutrito gruppo di giovani copti che ha partecipato alla rivolta del 2011 e che si è fatto portatore di istanze di democrazia, libertà e piena partecipazione politica sganciata dalle dinamiche identitarie e settarie. Aspirazioni presto naufragate nelle convulse fasi della transizione.

 

Il patriarca Tawadros II, infatti, sembra più che allineato alla politica governativa, rinnovando quel famoso patto tra politica e religione che ha avuto la sua massima espressione negli anni di Nasser e che è adesso riproposto con urgenza proprio alle porte della nuova tornata elettorale. Non sembra casuale che una serie di luoghi di culto abbiano proprio di recente ricevuto sovvenzioni per i lavori di restauro.

 

Malgrado le finora fallimentari operazioni antiterrorismo lanciate nel Sinai e, soprattutto, la condizione economica nella quale versa il Ppaese (con un’inflazione al 18 per cento, la disoccupazione giovanile quasi alla soglia del 40 per cento e il tasso di povertà, dal 2015 a oggi, passato dal 28 per cento al 33 per cento), il governo di al-Sisi rappresenta tuttora per i copti d’Egitto una barriera di protezione e una garanzia di stabilità politica. E le imminenti elezioni potrebbero confermare ancora una volta il posizionamento della comunità cristiana guidata dal patriarca fedelmente al fianco del ra’is, nonostante la presenza di molte voci tra i giovani e gli intellettuali risuonino critiche nei confronti dell’autoritarismo del presidente.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

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