Intervista a S.E. Mons. Ilario Antoniazzi, Arcivescovo di Tunisi, a cura di Maria Laura Conte

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:39:41

Dalla Galilea all’altra parte del Mediterraneo: un balzo non da poco attende Mons. Ilario Antoniazzi, il nuovo Arcivescovo di Tunisi che farà il suo ingresso nella capitale domenica 14 aprile. Veneto di origine, giunto in Terra Santa ancora giovane per la sua formazione presso il Seminario del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, ordinato sacerdote nel 1972, Mons. Antoniazzi lascia il suo incarico di parroco di Rameh in Israele (circa 3500 cristiani, di cui circa 500 latini) e di direttore generale delle Scuole del Patriarcato Latino in Israele, per guidare la comunità cattolica di un Paese impegnato nel tentativo impervio di costruire un’autentica democrazia e di rilanciare un’economia in drammatica crisi sotto la minaccia di gruppi violenti di salafiti. Ma a una simile destinazione, che mai avrebbe immaginato, Mons. Antoniazzi arriva con una buona dose di realismo e molta speranza: «È un vero salto quello che mi attende. Spero non un “salto mortale”. Sarà molto diverso il contesto, ma quello che mi aspetto è di capire il piano del Signore su di me e sulla Tunisia. Ho parlato con il Vicario generale dell’arcidiocesi che mi ha descritto la situazione nel dettaglio e ho colto che ciò su cui dovremo tutti insistere è la speranza: la speranza dei cristiani che vivono lì deve essere sempre alimentata. La Tunisia vive un momento delicato e molti si chiedono come potrà andare a finire la storia. Ma è solo il Signore, il Dio della storia, non l’uomo, che può rispondere». Come ha guardato dalla Galilea alle primavere arabe? Ho seguito soprattutto le rivolte del Medio Oriente, della Siria in particolare, nostra vicina, e del Libano. Allora la Tunisia mi sembrava lontanissima, ora è in cima ai miei pensieri. Com’è stata in passato la sua esperienza di prossimità con i musulmani? In Galilea non abbiamo problemi particolari di convivenza tra cristiani e musulmani, perché qui governa la legge di Israele e, sia cristiani che musulmani, siamo entrambi in minoranza. Ma ho vissuto per vent’anni anche in Giordania, dove noi cristiani eravamo in netta minoranza rispetto ai musulmani. Ebbene quello è stato proprio un bel periodo. Non c’erano problemi. Anzi, avevamo tanti amici musulmani, in occasione delle feste religiose si condivideva molto, c’era un reciproco scambio di auguri. Ho imparato allora a voler bene al mondo musulmano, a scoprirlo fino a considerarlo interessante e amico. Se c’erano degli screzi, si risolvevano, ma non si arrivava mai a punti di non ritorno. Ricorda qualche aneddoto su questo? Ricordo che quando il Vescovo da Amman veniva a trovarmi, era obbligato ad attraversare alcuni villaggi musulmani prima di arrivare casa mia. Allora era per lui una specie di obbligo morale fermarsi per strada e salutare i capi tribù musulmani, bere con loro un caffè. Se per mancanza di tempo non riusciva a fermarsi e questi venivano a saperlo, si rammaricavano profondamente. Era quasi un’offesa per loro se il Vescovo cristiano passava senza salutarli. Un po’ come avviene tra famigliari. Ma questo era allora il tenore delle relazioni in Giordania tra cristiani e musulmani. Malgrado le differenze di religione, eravamo quasi come fratelli. Una esperienza beneaugurante in vista del suo trasferimento in un Paese a stragrande maggioranza musulmana… Come si muoverà in questo nuovo contesto? Vorrò dedicare il primo periodo alla conoscenza diretta delle persone, visitando le parrocchie e le comunità. Desidero conoscerle una a una per ridire a tutti i cristiani in Tunisia l’importanza della loro presenza come testimoni di pace e di speranza in Africa e in Tunisia malgrado le difficoltà che possono vivere quotidianamente. Desidero condividere con ciascuno ogni fatica e ogni gioia, partecipare della vita concreta. La comunità cristiana in Tunisia è caratterizzata dalla compresenza di diverse nazionalità, almeno un’ottantina. Come percepisce questo aspetto? Non si rischia la frammentazione? Certo non ci si può nascondere il fatto che una tale composizione comporta delle difficoltà, perché ogni provenienza implica anche delle abitudini particolari. Ma io vorrei valorizzare soprattutto la ricchezza che una tale varietà offre. D’altronde abbiamo in comune la stessa fede! Con tutte le nazionalità qui presenti trai cristiani, possiamo comporre un puzzle in cui si veda il piano di Dio che si realizza, nella comunione, a partire da tanti contributi diversi. Ognuno può e deve portare del suo per arricchire la chiesa locale. Lei svolgerà il suo ministero in un Paese nel quale ha vinto le elezioni il partito a riferimento islamico. Come i cristiani possono agire e annunciare il Risorto qui senza incorrere nel rischio di essere accusati di proselitismo? Questo è un punto cruciale. Credo che ci vengano in aiuto i nostri predecessori, i nostri padri cristiani che hanno testimoniato Cristo e diffuso la fede cristiana con la loro carità. Chi li incontrava e vedeva come si comportavano, arrivava a domandarsi: “Dove sta l’origine della loro capacità di amare e di donarsi? Come possono vivere così?”. Ecco: si può predicare il Vangelo vivendo la carità. Basti pensare a madre Teresa di Calcutta: era sola, ma con sua umiltà e carità ha cambiato il cuore di tanti. Anche noi possiamo dare qualcosa, nel quotidiano, non possiamo restare a guardare. senza pretese. La principale “predica” per i musulmani non è quella che facciamo in Chiesa davanti a tutti, ma il nostro modo di vivere e agire. Se qualcuno chiede aiuto, è inutile chiedergli di che religione sia. La carità non distingue né pone problemi, ti spinge verso il prossimo e il resto lo fa il Signore. Lei entrerà ufficialmente in una cattedrale costruita dai francesi durante l’epoca coloniale, unico edificio religioso lungo la via principale, Avenue Bourguiba, nel cuore della città. Qualche editorialista musulmano ha rimarcato il fatto che manchi una moschea visibile in zona. Come legge queste obiezioni? In passato era normale costruire una chiesa simile. A quei tempi non si era tanto delicati verso gli altri. Era l’orgoglio francese. Ma oggi un simile atteggiamento crea contrasto con la semplicità del Vangelo. Guardiamo come Papa Francesco si comporta. Spero che si possa imparare a distinguere l’epoca passata dalla presente. La sua casa a Tunisi si affaccia sulla via centrale affollata di tanti giovani musulmani. In tanti hanno fatto la rivoluzione e hanno poi votato per gli islamisti. Come guarda a loro? Con simpatia e amore, perché credo che siamo tutti figli di Dio e quindi fratelli. Non abbiamo il diritto di guardarci senza amore. Questo indipendentemente dalla loro posizione nei miei confronti. Direi così: “Io, cristiano, ti voglio bene, fratello musulmano. Spero che tu possa ricambiare questo amore, ma in ogni caso io continuo a volerti bene. Sono qui per annunciarti nient’altro che l’amore”. E come vede l’eventuale impegno dei cristiani nelle vicende politiche del Paese? Credo che la Chiesa non sia chiamata a esporsi direttamente in politica, ma i cristiani possono esprimere la loro posizione. La Chiesa deve ricordare dove sta il bene della persona umana, ma senza intervenire direttamente sulla Costituzione o sui decreti. Se questi saranno contro i cristiani finiranno per essere anche contro i musulmani. La Chiesa deve essere prudente, ma senza mai desistere dal richiamare i punti essenziali del rispetto della dignità degli uomini e delle donne, a prescindere dalle loro appartenenze religiose. Torniamo al momento della nomina: quando le hanno detto “Tunisi ti aspetta”, qual è stata la sua prima reazione? La prima reazione è stata la sorpresa: “Ma guarda Signore – ho pensato – che immaginazione hai. Pensare a me che vivo al Nord della Galilea, vicino al Libano, e mandarmi dall’altra parte del Mediterraneo”. Ma se Lui ha avuto l’immaginazione per chiamarmi per questa missione, ne avrà anche per aiutarmi a vivere là l’episcopato. C’è in me tremore e tanta fiducia.