Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:43

Dangerous Relations. Dynamics of polarization among the ethno-religious communities in the Middle East: questo il titolo del seminario che si è svolto nel mese di giugno nella sede milanese di Oasis, in collaborazione con il CRiSSMA, Centro di Ricerche sul Sistema Sud e il Mediterraneo Allargato dell’Università Cattolica di Milano e che aveva come ospite e relatore principale il professor Mohammad Masjid Jame’i dell’Università di Qom, già ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede. Tra i partecipanti, oltre ai direttori di Oasis, Nicola Pedde, direttore dell’Institute of Global Studies di Roma, Riccardo Redaelli, direttore del CRiSSMA e professore di geopolitica all’Università Cattolica, Andrea Plebani, Research Fellow ISPI e coordinatore del progetto Conoscere il meticciato, governare il cambiamento, e due ricercatori del progetto organizzato da Oasis con il contributo di Fondazione Cariplo: Paolo Maggiolini, Research Fellow ISPI, e Ines Peta, docente di Lingua Araba alla Cattolica. In due ore e mezza di fitta discussione tra tutti i partecipanti si è reso evidente come non sia possibile comprendere le dinamiche di polarizzazione cui sono soggette le società dei Paesi mediorientali senza comprendere quale ruolo svolgano in esse le relazioni – per l’appunto polarizzate – tra la Repubblica Islamica dell’Iran e il Regno saudita. Il confronto geopolitico tra Teheran e Riyadh genera infatti un «effetto polarizzante interno alle società» – per usare le parole del direttore del CRiSSMA – che coinvolge tutte le comunità mediorientali: non si tratta più solamente di un conflitto latente tra arabi sunniti e persiani sciiti, ma di una rivalità in cui vengono chiamati in causa anche gli arabi sciiti. Si sviluppa così uno scontro che investe a catena tutte le altre minoranze, interne all’Islam, come tristemente testimoniano gli eventi che riguardano l’Iraq negli ultimi mesi. Accade così che le relazioni tra cristiani e musulmani anche in città come Baghdad, un tempo orgogliosa del pluralismo proprio della sua società, risentano della competizione presente tra le potenze regionali esterne. L’effetto più dirompente di questa polarizzazione? Semplice e terribile al tempo stesso: la scomparsa delle minoranze più deboli, quelle che non possono vantare potenti sponsor stranieri pur essendo spesso identificate con essi. Nel corso dell’incontro l’ambasciatore Masjid Jame’i, che ha esposto quali sono e come si sono sviluppati i rapporti tra la sua nazione e l’Arabia Saudita anche ripercorrendone la storia recente, ha rilevato che la presenza delle comunità di cristiani orientali si pone come fattore di equilibrio per tutto il Medio Oriente, a condizione che questi accettino di svolgere un ruolo attivo e propositivo nelle società in cui si trovano. Tuttavia l’esempio delle componenti sciite dello scenario mediorientale è un precedente che non lascia ben sperare, dimostrando tutta la pervasività dello scontro tra Iran e Arabia Saudita: generalmente infatti, ha sottolineato il professor Redaelli, più queste minoranze sciite hanno cercato di essere protagoniste sulla scena pubblica, più sono state accusate di essere manovrate da Teheran, e quindi osteggiate dalla maggioranza sunnita. È in questo modo che si innesca un circolo vizioso che polarizza i rapporti tra le differenti componenti della società e da cui è difficile uscire se non andando ad agire sull’origine geopolitica del problema: i rapporti Iran-Arabia Saudita. È quindi la ricerca di una de-escalation tra questi due Stati ciò che dovrebbe occupare le agende anche della politica estera occidentale che però, come ha ricordato Nicola Pedde, fatica a relazionarsi seriamente con gli ayatollah, vittima di stereotipi che risalgono alla Rivoluzione khomeinista del 1979. Il seminario si è svolto nel quadro del progetto Conoscere il meticciato, governare il cambiamento. Maggiori informazioni qui.