I musulmani devono ripensare la nozione di conoscenza, partendo da una concezione integrale dell’essere umano e della sua relazione con Dio

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:41

Leggi l’introduzione a questo classico: Non è vera scienza se non è aperta a Dio

 

Il mondo islamico ha assorbito dall’Occidente un’idea puramente utilitaristica del sapere, che, privato di ogni rapporto con la trascendenza, punta a trasformare il creato e non a comprenderlo come un segno divino. I musulmani devono rifiutare i presupposti dell’università moderna e ripensare la nozione stessa di conoscenza, partendo da una concezione integrale dell’essere umano e della sua relazione con Dio. Fine dell’educazione è infatti produrre un uomo buono.

  

Nel corso dei secoli, la confusione umana ha generato molte sfide, ma forse nessuna è stata per l’uomo più seria e distruttiva di quella attualmente lanciata dalla civiltà occidentale. Mi azzardo a sostenere che la più grande sfida della nostra epoca, anche se emersa surrettiziamente, sia quella della conoscenza. Non però la conoscenza come opposto dell’ignoranza, ma come è stata concepita e diffusa nel mondo dalla civiltà occidentale; la conoscenza la cui natura è diventata problematica perché, essendo stata erroneamente concepita, ha perso il suo vero obiettivo e ha quindi prodotto il caos nella vita dell’uomo invece della pace e della giustizia; la conoscenza che finge di essere reale, ma produce confusione e scetticismo; che ha elevato il dubbio e la congettura al rango “scientifico” in campo metodologico e che guarda al dubbio come a uno strumento epistemologico supremamente valido nella ricerca della verità; la conoscenza che, per la prima volta nella storia, ha portato il disordine nei Tre Regni della Natura: animale, vegetale e minerale. Mi sembra importante sottolineare che la conoscenza non è neutrale e può essere infatti pervasa da una natura e un contenuto mascherati da conoscenza. In realtà, nel suo insieme, non è vera conoscenza, ma l’interpretazione di quest’ultima attraverso, per così dire, il prisma, la visione del mondo, la visione intellettuale e la percezione psicologica della civiltà che ora gioca un ruolo chiave nella sua formulazione e diffusione. A essere formulata e diffusa è la conoscenza pervasa dal carattere e dalla personalità di quella civiltà, una conoscenza presentata e trasmessa in una veste così sottilmente fusa con il reale che gli altri, inconsapevolmente, la considerano essere in toto la reale conoscenza in sé. Quali sono il carattere e la personalità, l’essenza e lo spirito della civiltà occidentale che ha dunque trasformato sia se stessa che il mondo, portando chiunque accetti la sua interpretazione della conoscenza a uno stato di disordine che conduce sull’orlo del disastro? Con “civiltà occidentale” intendo la civiltà che si è evoluta a partire dall’unione storica tra le culture, le filosofie, i valori e le aspirazioni della Grecia e della Roma antiche, la loro fusione con l’Ebraismo e il Cristianesimo e il loro ulteriore sviluppo e formulazione da parte delle popolazioni latine, germaniche, celtiche e nordiche. Dalla Grecia antica sono derivati gli elementi filosofici e epistemologici, i fondamenti dell’educazione, dell’etica e dell’estetica; da Roma gli elementi del diritto, della politica e del governo; dall’Ebraismo e dal Cristianesimo gli elementi della fede religiosa; dalle popolazioni latine, germaniche, celtiche e nordiche il loro spirito indipendente e nazionale, i valori tradizionali e lo sviluppo e il progresso delle scienze e delle tecnologie naturali e fisiche che essi, insieme ai popoli slavi, hanno portato a tali sommità di potere. Anche l’Islam ha contribuito in modo significativo alla civiltà occidentale nella sfera della conoscenza e nella trasmissione dello spirito razionale e scientifico, ma questi ultimi sono stati ripensati e rimodellati per adattarsi allo stampo della cultura occidentale, così da fondersi e amalgamarsi con tutti gli altri elementi che ne formano il carattere e la personalità. Ma tale fusione ha prodotto il dualismo tipico della visione del mondo e dei valori della civiltà e della cultura occidentale, un dualismo che non può essere risolto in un’unione armoniosa, perché costituito da idee, valori, culture, credenze, filosofie, dogmi, dottrine e teologie in conflitto, che riflettono una totalizzante visione dualistica della realtà e della verità, bloccate in un combattimento disperato. Questo abita in tutti gli aspetti della vita e della filosofia occidentale: speculativo, sociale, politico, culturale – così come pervade, con pari inesorabilità, la religione occidentale.

(...)

 

L’Occidente formula la sua visione della verità e della realtà non secondo la conoscenza rivelata e la credenza religiosa, ma piuttosto secondo la sua tradizione culturale, che è sostenuta da premesse rigorosamente filosofiche fondate su speculazioni che riguardano principalmente la vita secolare incentrata sull’uomo come entità fisica e animale razionale. L’Occidente attribuisce grande importanza alla capacità razionale dell’uomo di svelare da solo i misteri dell’ambiente che lo circonda e del suo coinvolgimento nell’esistenza e di concepire, a partire dai risultati delle speculazioni basate su tali premesse, i valori etici e morali che guidano la sua vita. Nella speculazione filosofica non può esserci certezza, nel senso della certezza religiosa basata sulla conoscenza rivelata come compresa e sperimentata nell’Islam[1]; per questa ragione la conoscenza e i valori che indirizzano la visione del mondo e guidano la vita di una civiltà come questa sono soggetti a una revisione e un cambiamento costanti. […]

 

In uno schema come questo, le verità fondamentali della religione sono considerate mere teorie o sono del tutto abbandonate in quanto illusioni futili. I valori assoluti sono negati e i valori relativi affermati; niente può essere certo, fatta eccezione per la certezza che niente può essere certo. La conseguenza logica di un simile atteggiamento verso la conoscenza, che determina ed è determinata dalla visione del mondo, è negare Dio e l’aldilà e affermare l’uomo e il suo mondo. L’uomo è deificato e la Divinità è umanizzata; il mondo diventa l’unica preoccupazione dell’uomo al punto che persino la sua propria immortalità consiste nella perpetuazione della sua specie e della sua cultura in questo mondo. […]

 

Fiducia nel potere della sola ragione umana di guidare l’uomo nella vita; accettazione della validità della visione dualistica della realtà e della verità; affermazione della realtà dell’evanescenza dell’esistenza su cui si fonda una visione secolare del mondo; adesione alla dottrina dell’umanesimo; emulazione della presunta realtà universale del dramma e della tragedia nella vita spirituale, trascendente o interiore dell’uomo, ciò che rende il dramma e la tragedia componenti reali e dominanti della natura e dell’esistenza umana: considerati nel loro insieme, a mio avviso sono questi elementi a costituire la sostanza, lo spirito, il carattere e la personalità della cultura e della civiltà occidentale. Sono questi elementi a determinare, in quella cultura, il suo concetto di conoscenza e lo scopo di quest’ultima, la formulazione dei suoi contenuti e la sistematizzazione della sua diffusione. Pertanto, la conoscenza che attualmente viene sistematicamente propagata in tutto il mondo non è necessariamente la vera conoscenza, ma quella pervasa dal carattere e dalla personalità della cultura e della civiltà occidentale, ricolma del suo spirito e finalizzata al suo scopo. E sono quindi questi elementi a dover esser identificati, separati e isolati dal corpo della conoscenza, così che quella conoscenza possa essere distinta da ciò che è imbevuto di questi elementi, perché questi elementi e ciò che ne è imbevuto non rappresentano la conoscenza in sé, ma determinano solo la forma caratteristica in cui la conoscenza è concepita, valutata e interpretata secondo uno scopo conforme alla visione del mondo della civiltà occidentale. Ne consegue anche che, a parte l’identificazione, la separazione e l’isolamento di questi elementi dal corpo della conoscenza, che sicuramente altereranno le forme e i valori concettuali e l’interpretazione di alcuni contenuti della conoscenza, così come sono oggi presentati[2], a dover essere modificati sono anche il suo stesso scopo e il suo sistema di sviluppo e diffusione negli istituti d’insegnamento e nel campo educativo. […]

 

Definizione e scopi dell’educazione

[…] Lo scopo della ricerca della conoscenza nell’Islam è instillare la bontà o la giustizia nell’uomo in quanto uomo e soggetto individuale. Il fine dell’educazione nell’Islam è perciò produrre un uomo buono. Cosa si intende per “buono” nella nostra concezione di “uomo buono”? L’elemento fondamentale insito nel concetto islamico di educazione è la trasmissione dell’adab [capacità di comportarsi, NdR], in un senso onnicomprensivo, che abbraccia la vita spirituale e materiale dell’uomo e che instilla la qualità della bontà desiderata. L’educazione è esattamente ciò che il Profeta, la Pace su di lui, intendeva per adab quando disse:

 

Il mio Signore mi ha educato (addaba) e ha reso più eccellente la mia educazione (taʼdīb)

 

L’educazione è instillare e inculcare l’adab nel uomo – è taʼdīb[3]. Quindi l’adab è esattamente ciò che serve all’uomo per comportarsi bene e con successo in questa vita e nell’aldilà. E la definizione dell’educazione, dei suoi scopi e del suo fine è in realtà già contenuta nella breve esposizione di adab qui delineata.

 

Il sistema islamico di ordine e disciplina

[…] L’educazione nell’Islam è un processo che continua per tutta la vita [dell’uomo] sulla terra e ne copre ogni aspetto. Dal punto di vista dell’utilizzo linguistico, dobbiamo constatare che il fatto che nell’Islam il termine ʻilm sia stato applicato per ricomprendere la totalità della vita – spirituale, intellettuale, religiosa, culturale, individuale e sociale – significa che il suo carattere è universale e che è necessario per guidare l’uomo alla salvezza. Nessun’altra cultura e civiltà ha mai utilizzato, per indicare la conoscenza, un singolo termine che comprenda tutte le attività della vita dell’uomo. Forse è questa la ragione per la quale l’organizzazione, la trasmissione e la diffusione della conoscenza sono state concepite come un sistema di ordine e disciplina legato alla kulliyya, un concetto che porta con sé l’idea dell’universale.

Nessun’altra cultura e civiltà ha mai utilizzato, per indicare la conoscenza, un singolo termine che comprenda tutte le attività della vita dell’uomo

Sappiamo che sin dai suoi primordi l’Islam ha significativamente dato avvio al proprio sistema educativo mettendovi al centro la moschea; e con la moschea (jāmi‘), che in alcuni casi ha continuato a essere il suo centro fino a oggi, si sono sviluppate altre istituzioni educative come il maktab [scuola elementare islamica, NdR]; la bayt al-hikma [la casa della sapienza, NdR]; le sedute di studiosi e studenti (majālis); la dār al-ʻulūm [casa delle scienze, NdR] e le madāris [pl. di madrasa, NdR]; e nei campi della medicina, dell’astronomia e delle scienze devozionali, sono sorti gli ospedali, gli osservatori e, nelle confraternite sufi, le zāwiya [monastero, NdR]. Sappiamo anche che le prime università occidentali sono state modellate sulla base degli originali islamici. Tuttavia, ho a disposizione pochissime informazioni riguardo al concetto originale di università all’interno del sistema educativo islamico e alla misura in cui i concetti islamici originali relativi alla struttura dell’università abbiano influenzato le loro versioni occidentali. Ma il carattere generale e la struttura delle odierne università, che sono vere e proprie copie dei modelli occidentali, rivelano ancora tracce significative della loro origine islamica.

 

Lo stesso nome dell’istituzione, che deriva dal latino universitatem [sic], riflette chiaramente l’originale islamico kulliyya. E ancora, a parte il ruolo della medicina nell’istruzione islamica e la sua grande influenza iniziale in Occidente, il concetto anatomico di facoltà, che richiama quello di quwwa, cioè un potere insito nel corpo di un organo, è particolarmente significativo, non solo – mi sembra – nello stabilire la sua origine islamica, ma anche nel dimostrare il fatto che, dal momento che il concetto di “facoltà” si riferisce a un essere vivente in cui sussiste l’attributo della “conoscenza” e che questa conoscenza è il principio dominante che determina il suo pensiero e la sua azione, l’università deve essere stata concepita emulando la struttura generale dell’uomo, quanto a forma, funzione e scopo. Doveva essere una rappresentazione microcosmica dell’uomo e, nello specifico, dell’Uomo Universale (al-insān al-kullī).

 

Ma l’università, come in seguito si è sviluppata in Occidente ed è imitata oggi in tutto il mondo, non riflette più l’uomo. Come un uomo senza personalità, l’università moderna non ha alcun centro vitale persistente, né un principio sottostante permanente che ne stabilisca lo scopo finale. Pretende ancora di contemplare l’universale e persino di possedere facoltà e dipartimenti, come se fosse il corpo di un organo, ma non ha cervello, tantomeno intelletto e anima, se non in termini di una funzione puramente amministrativa di mantenimento e sviluppo fisico. Il suo sviluppo non è guidato da un principio finale e da uno scopo definito, tranne che dal principio relativo che spinge incessantemente alla ricerca della conoscenza, senza alcun orizzonte di un fine assoluto. È un simbolo che è diventato ambiguo – diversamente dal concetto coranico di āya [segno, versetto, NdR] – perché rimanda a se stesso (cioè alla scienza per la scienza) invece che a ciò che deve rappresentare (cioè l’uomo), producendo in questo modo confusione perpetua e persino scetticismo. A causa del fondamento secolare della cultura occidentale, menzionato all’inizio, l’università è orientata verso uno scopo secolare relativo e riflette, perciò, lo Stato e la società secolari e non l’uomo universale. Ma non c’è mai stato, né mai ci sarà, eccetto nell’Islam nella persona del Santo Profeta, la Pace e la Benedizione di Dio su di lui, quell’Uomo Universale (al-insān al-kāmil) che possa riflettersi in una microcosmica rappresentazione come “università”. Né lo Stato né la società possono essere realmente considerati come capaci di possedere un attributo chiamato conoscenza, poiché questo è posseduto solo dall’uomo individuale. E anche se si sostenesse che l’università moderna stia in realtà emulando l’uomo, è di nuovo l’uomo secolare a essere raffigurato; l’animale razionale privo di anima, come un cerchio senza centro. Le varie facoltà e i dipartimenti al loro interno, come le varie facoltà e i sensi del corpo, nell’università moderna sono diventati scoordinati, essendo ognuno preoccupato della sua propria ricerca senza fine; ognuno che esercita, per così dire, il suo proprio “libero arbitrio” e non l’arbitrio coerente di un essere, perché non c’è “essere” – tutto è “divenire”. Può essere giudicato sano e coerente colui che contempla alcune cose e allo stesso tempo accetta qualcos’altro che è totalmente differente da ciò che sta contemplando e che dice ancora qualcosa di totalmente diverso, che ascolta suoni diversi e vede cose ancora diverse? L’università moderna è il simbolo dell’uomo quando si trova in condizione di zulm [ingiustizia, NdR] e tale condizione è mantenuta dall’incoraggiamento, dall’elevazione e dalla legittimazione del dubbio e della congettura come strumenti epistemologici di indagine scientifica. Il Santo Corano rifiuta ripetutamente tali metodi, che considera contrari alla conoscenza. Il dubbio (shakk), la congettura, l’ipotesi (zann), la disputa e il dibattito (mirā’ e jadal), l’inclinazione della mente e dell’anima verso il desiderio naturale (hawā) sono generalmente considerati riprovevoli, tanto più quando sono applicati alla conoscenza o se ne rivestono. Dobbiamo considerare l’importanza del fatto che, nel caso della cultura e della civiltà occidentale e in riferimento alla sociologia della conoscenza, l’Occidente ha definito la conoscenza come sforzo della scienza per controllare la natura e la società. Per quanto riguarda l’uomo come individuo, il miglioramento, l’identificazione e l’elevazione della sua personalità, il desiderio di apprendere l’ordine divino del mondo e la salvezza, l’Occidente non attribuisce più nessun significato o realtà a questo importante scopo – e quindi alla vera natura – della conoscenza. Ciò accade ed è accaduto a causa del fatto che l’Occidente non riconosce alcuna Realtà su cui fissare il proprio sguardo, né una singola e valida Scrittura da confermare e affermare nella vita, o una singola guida umana le cui parole, opere e azioni e il cui intero modo di vivere possano servire come modello da emulare nella vita, come Uomo Universale. […]

 

Osservazioni conclusive e suggerimenti

[…] Visto che abbiamo detto che tutta la conoscenza viene da Dio ed è interpretata dall’anima attraverso le sue facoltà spirituali e fisiche, ne consegue che la definizione epistemologica più adatta di conoscenza, riferita a Dio come sua origine, è l’arrivo (husūl) nell’anima del significato (ma‘nā) di una cosa o di un oggetto; e, riferita all’anima come sua interprete, essa è il pervenire (wusūl) dell’anima al significato di una cosa o di un oggetto della conoscenza. Il Mondo della Natura, come è raffigurato nel Santo Corano, è come un Grande Libro, e ogni suo dettaglio, fino agli orizzonti più lontani e al nostro stesso io, è come una parola che parla all’uomo del suo Autore.

Il Mondo della Natura, come è raffigurato nel Santo Corano, è come un Grande Libro

La parola, così com’è realmente, è un segno, un simbolo, e conoscerlo com’è realmente significa conoscere cosa rappresenta, cosa simbolizza, cosa significa. Studiare la parola come parola, guardandola come se avesse una sua realtà indipendente, significa perdere di vista il vero motivo per cui deve essere studiata, perché non la si considera più un segno o un simbolo, ma come se fosse fatta per rimandare a se stessa, ciò che non rispecchia quello che realmente è. Allo stesso modo, se lo studio della Natura, di qualsiasi cosa, di qualsiasi oggetto della conoscenza che si trova nel Creato, è perseguito per ottenerne la conoscenza; se l’espressione “com’è realmente” è intesa per indicare la sua presunta realtà indipendente, essenzialmente ed esistenzialmente, o la sua perseità, come se fosse qualcosa di ultimo e autosussistente – allora uno studio del genere è privo di uno scopo reale e la ricerca della conoscenza diventa una deviazione dalla verità, che mette necessariamente in dubbio la validità di tale conoscenza. Perché, per com’è realmente, una cosa o un oggetto della conoscenza è altro da ciò che è, e questo “altro” – almeno al livello razionale ed empirico della normale esperienza – si riferisce al suo significato. Per questa ragione abbiamo definito la conoscenza in modo epistemologico come l’arrivo nell’anima del significato di una cosa o il pervenire da parte dell’anima al significato di una cosa. Quando parliamo, come facciamo qui, di “razionale” ed “empirico”, non stiamo aderendo alla grande spaccatura metodologica determinata da ciò che è chiamato razionalismo da un lato ed empirismo dall’altro, poiché qui stiamo riflettendo in un contesto islamico, che non è uguale a quello della filosofia e dell’epistemologia occidentale. Nell’Islam la ragione e l’esperienza sono canali attraverso cui si raggiunge la conoscenza, al livello razionale ed empirico della normale esperienza. Affermiamo che c’è un altro livello, ma anche a quest’altro livello spirituale, la ragione e l’esperienza sono ancora valide, ma in un ordine trascendente. A questo livello, il razionale si è unito all’intellettivo, l’empirico a ciò che appartiene all’autentica esperienza spirituale, come nella testimonianza (shuhūd) e nel gusto (dhawq) interiori e in altri stati interconnessi di coscienza trans-empirica. Questo è il livello in cui il tasawwuf [sufismo, NdR], che ho precedentemente definito come “la pratica della sharī‘a alla stazione (maqām) dell’ihsān [eccellenza spirituale, NdR], diventa il contesto in cui la conoscenza significa unificazione (tawhīd).

 

L’infiltrazione di concetti chiave del mondo occidentale ha generato una confusione che produrrà gravi conseguenze se non arginata

Considerando l’attuale condizione dell’elaborazione e della diffusione della conoscenza nel mondo musulmano, vediamo che l’infiltrazione di concetti chiave dal mondo occidentale ha generato una confusione che produrrà gravi conseguenze se non arginata. Poiché ciò che viene diffuso nelle università e attraverso le università e altre istituzioni educative, dal livello più basso a quello più altro, è una conoscenza pervasa dal carattere e dalla personalità della cultura e della civiltà occidentale e modellata nello stampo della civiltà occidentale, il nostro compito sarà innanzitutto quello di isolare gli elementi che contengono i concetti fondamentali su cui si fonda quella cultura e quella civiltà. Tali elementi e concetti chiave si trovano per lo più in quel ramo del sapere che riguarda le scienze umane. Ma lo stesso processo di isolamento va applicato anche nelle scienze naturali, fisiche e applicate, soprattutto quando riguardano l’interpretazione di fatti e la formulazione di teorie. Interpretazioni e formulazioni appartengono infatti alla sfera delle scienze umane. L’“islamizzazione” dell’attuale conoscenza significa precisamente che, dopo il processo di isolamento a cui abbiamo fatto riferimento, la conoscenza libera dagli elementi e dai concetti chiave [occidentali, NdR] isolati è poi permeata dagli elementi e dai concetti chiave islamici […]. Il nostro prossimo compito importante consisterà nella formulazione e nell’integrazione degli elementi essenziali e dei concetti chiave islamici in modo da produrre una struttura che comprenda la conoscenza di base da usare nel nostro sistema educativo, dai livelli inferiori a quelli superiori, in una gradualità pensata per adattarsi allo standard di ogni livello. La conoscenza di base a livello universitario, da formulare prima di ogni altra, deve essere composta da elementi relativi alla natura dell’uomo (insān); alla natura della religione (dīn) e al coinvolgimento dell’uomo in questa; alla conoscenza (‘ilm e ma‘rifa), alla saggezza (hikma) e alla giustizia (‘adl) rispetto all’uomo e alla sua religione; alla natura del retto agire (‘amal-adab). Questi dovranno riferirsi al concetto di Dio, alla sua Essenza e ai suoi Attributi (tawhīd); alla Rivelazione (il Santo Corano), al suo significato e al suo messaggio; alla Legge Rivelata (sharī‘a) e a ciò che necessariamente ne consegue: il Profeta (la Pace e la Benedizione di Dio su di Lui), la sua vita e la sua Sunna e la storia e il messaggio dei Profeti prima di lui. Dovranno anche riferirsi alla conoscenza dei Principi e della pratica dell’Islam, alle scienze religiose (‘ulūm al-shar‘iyya), che devono comprendere gli elementi legittimi del tasawwuf e della filosofia islamica, incluse le dottrine cosmologiche valide relative alla gerarchia dell’essere e alla conoscenza dell’etica, dei principi morali islamici e dell’adab. A questo bisogna aggiungere la conoscenza della lingua araba e della visione islamica del mondo nel suo insieme. Questa conoscenza di base, integrata e composta come un’armoniosa unità ed elaborata a livello universitario come un modello di struttura e di contenuto per gli altri livelli, deve invariabilmente riflettersi in forme sempre più semplici al livello secondario e primario del sistema educativo. Ad ogni livello, la conoscenza di base deve essere pensata per essere identicamente applicata nei sistemi educativi di tutto il mondo musulmano, visto che la conoscenza di base è obbligatoria per tutti i musulmani (fard ‘ayn)[4]. […]

 

[Testo tratto da Syed Muhammad Naquib Al-Attas, Islām and Secularism, International Institute of Islamic Thought and Civilization, Kuala Lumpur 1993, pp. 133-164 passim.]
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[1] […] Il Nobile Corano menziona tre gradi o livelli di certezza della conoscenza: certezza derivata dall’inferenza, sia deduttiva che induttiva: ‘ilm al-yaqīn [scienza della certezza, NdR] (al-Takāthur [102]:5); certezza derivata dalla visione diretta: ‘ayn al-yaqīn [occhio della certezza, NdR] (al-Takāthur [102]:7); certezza derivata dall’esperienza diretta: haqq al-yaqīn [verità della certezza, NdR] (Al-Hāqqah [69]: 51). Questi livelli di conoscenza certa riguardano la verità, sia manifesta che nascosta, empirica o trascendente; e la conoscenza certa di ciò che è nascosto ha la stessa forza della certezza di ciò che è visibile. Questi livelli di certezza riguardano anche ciò che è percepito dall’organo spirituale di cognizione, il cuore (al-qalb), e si riferiscono alla conoscenza come credenza e fede (īmān).

[2] Con “alcuni contenuti della conoscenza” si fa principalmente riferimento alle scienze umane.

[3] […] Ciò che è qui proposto, che l’educazione significa taʼdīb, in contrapposizione con il termine tarbiya, generalmente accettato, è di primaria importanza e deve essere preso seriamente in considerazione. A mio avviso, tarbiya è un termine relativamente recente usato per indicare “l’educazione”. Tuttavia, semanticamente, il termine non sembra essere appropriato né adeguato per trasmettere il concetto di educazione, che è specifico solo dell’uomo. Fondamentalmente, tarbiya trasmette il significato di “coltivare”, “fruttificare”, “alimentare, allevare, nutrire, causare un aumento della crescita”, “crescere”, “produrre frutti maturi”, “addomesticare”. La sua applicazione nella lingua araba non è limitata esclusivamente all’uomo e il suo campo semantico si estende ad altre specie: ai minerali, alle piante e agli animali; ci si può riferire all’allevamento di bestiame e di pollame, alla piscicoltura e alla coltivazione di piante come a delle rispettive forme di tarbiya. L’educazione è qualcosa che caratterizza solo l’uomo; l’attività inclusa e gli elementi qualitativi insiti nell’educazione non sono uguali a quelli inclusi e insiti nella tarbiya. Inoltre, la tarbiya si riferisce fondamentalmente all’idea del possesso e solitamente è il “possessore” a esercitare la tarbiya sull’oggetto della stessa. Dio, il Sostenitore, il Nutritore, Colui che cura, il Signore e il Possessore di tutto (al-rabb), sta già costantemente esercitando il Suo Dominio su tutte le cose, quindi la tarbiya è qualcosa che deve fare l’uomo. Nel caso dell’uomo, solitamente sono i genitori a esercitare la tarbiya sulla loro prole. Quando l’esercizio della tarbiya è trasferito allo Stato, c’è il pericolo che l’educazione diventi un esercizio secolare, che è ciò che sta accadendo realmente. Inoltre, il fine della tarbiya ha generalmente un carattere fisico e materiale, in quanto ha a che fare esclusivamente con la crescita fisica e materiale. Tuttavia, sappiamo tutti che la vera essenza del processo educativo è impostata verso obiettivi che riguardano l’intelletto, che è proprio solo dell’uomo. Perciò, dobbiamo selezionare un termine preciso per indicare l’educazione che soddisfi il fine e lo scopo dell’educazione, che è produrre un uomo buono. L’unico termine appropriato ed adeguato è taʼdīb. L’errore nella selezione e nell’applicazione dei termini impiegati per i concetti culturali, religiosi e spirituali porta invariabilmente alla confusione nella conoscenza, in teoria e in pratica.

[4] Il termine fard ‘ayn, preso in prestito dal lessico della giurisprudenza islamica, indica appunto che l’obbligo incombe su ogni singolo musulmano, a differenza dei doveri collettivi (fard kifāya) che ricadono sulla comunità nel suo complesso e possono essere assolti da un numero limitato di persone (NdR).   

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Testo di Muhammad Naquib Al-Attas, È la conoscenza che porta alla salvezza, «Oasis», anno XV, n. 29, luglio 2019, pp. 93-103.

 

Riferimento al formato digitale:

Testo di Muhammad Naquib Al-Attas, È la conoscenza che porta alla salvezza, «Oasis» [online], pubblicato il 12 settembre 2019, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/islam-conoscenza-porta-alla-salvezza.

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