Chi sono i pensatori che vogliono islamizzare la conoscenza

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:41

Questo articolo è l'introduzione a È la conoscenza che porta alla salvezza e a La rinascita dell’Islam comincia nelle università

 

Modernizzazione dell’Islam o islamizzazione della modernità: la formula è ricorrentemente usata per descrivere due possibili modalità di interazione tra la tradizione islamica e l’epoca moderna. Secondo la prima, l’Islam è chiamato a fare propri i valori fondanti della modernità (libertà, uguaglianza, etc.). La seconda invece, senza proporre un semplice ritorno al passato, intende svuotare le grandi istituzioni moderne dei loro contenuti occidentali per infondervi un carattere religioso. È così che, soprattutto tra le correnti islamiste, nasce l’idea dello “Stato islamico”, della “rivoluzione islamica”, dell’“economica islamica”, e via dicendo.

 

Tuttavia, negli stessi anni in cui, dopo il fallimento del socialismo arabista, l’Islam si candida a trasformare l’ordine politico mediorientale, prende forma una corrente per la quale la risposta al malessere delle società musulmane non è l’islamizzazione delle strutture politiche ed economiche, ma quella della conoscenza. All’origine di questo programma si trovano principalmente tre pensatori: Sayyed Hossein Nasr, Syed Muhammad Naquib al-Attas e Ismail Raji al-Faruqi. Il primo, nato nel 1933 in Iran, è oggi professore di Studi islamici alla George Washington University dopo avere ricoperto diversi incarichi accademici sia in patria che negli Stati Uniti e dopo una formazione improntata a una spiccata interdisciplinarietà. Insoddisfatto dall’aridità del positivismo scientifico con cui si confronta nel suo primo anno di studi in fisica al MIT di Boston, Nasr intraprende una ricerca esistenziale che trova risposta nel tradizionalismo, fra gli altri, di René Guénon e nel sufismo. Non è tuttavia la fine del suo interesse per il mondo naturale. Ottiene infatti il dottorato ad Harvard con una tesi sulle concezioni della natura nel pensiero islamico, pubblicata nel 1964 con il titolo di An Introduction to Islamic Cosmological Doctrines, che inaugura la sua riflessione accademica sulla necessità di riaprire il sapere scientifico alla metafisica.

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Se Nasr è il primo a concepire la necessità di ripensare la scienza moderna alla luce della trascendenza religiosa, è Naquib al-Attas a coniare il termine “islamizzazione della conoscenza”. Lo fa nel suo Islam and Secularism, pubblicato per la prima volta nel 1978 e di cui proponiamo un estratto in questo numero di Oasis. Al-Attas nasce due anni prima di Nasr, nel 1931, nella città giavanese di Bogor, all’epoca nell’India olandese e oggi in Indonesia. La sua vita di studioso è assorbita da due grandi filoni: la tradizione islamica malese, che per lui non è l’espressione di un’identità particolaristica ma una declinazione dell’universalità dell’Islam, e il rapporto tra quest’ultimo e il sapere moderno. Al-Attas, la cui formazione è avvenuta anche nell’università britannica e canadese, afferma senza mezzi termini che il concetto di conoscenza sviluppato dall’Occidente, e diffusosi in tutto il mondo, «ha portato il disordine nei Tre Regni della Natura: animale, vegetale e minerale». Gli occidentali hanno infatti eliminato la religione e la rivelazione dal loro orizzonte, trasformando la scienza in uno strumento efficacissimo nello sfruttare la natura, ma incapace di comprenderne la finalità, che non può essere separata dall’intenzione del creatore.

 

Contro questa visione, che tramite le istituzioni educative si è insinuata anche nel mondo musulmano, occorre recuperare una concezione unitaria del sapere, capace di abbracciare la dimensione metafisica e quella empirica dell’esistenza. Come Nasr, anche al-Attas è fortemente influenzato dalla tradizione intellettuale sufi, per la quale il cuore non è meno importante della ragione e l’esperienza spirituale non è meno reale di quella materiale. Per lui, escludere Dio dall’ambito della conoscenza non è solo moralmente riprovevole, ma anche (e forse soprattutto) epistemologicamente sbagliato. La conoscenza, infatti, «viene da Dio ed è interpretata dall’anima attraverso le sue facoltà spirituali e fisiche».

 

I musulmani sono perciò chiamati a una grande operazione di ridefinizione delle scienze, sia di quelle naturali che di quelle umane e sociali, che devono essere emendate dai concetti di derivazione occidentale per essere informate da una concezione islamica. Non si tratta di un’impresa fine a se stessa, ma di un progetto con uno scopo molto chiaro: reintrodurre tra i musulmani un’idea e una pratica educativa corretta. Nell’Islam, scrive al-Attas, scopo dell’educazione è «produrre un uomo buono». Ciò avviene attraverso la trasmissione dell’adab, un concetto che nel corso dei secoli ha assunto il significato di “etichetta”, “buone maniere”, ma che nel pensiero dello studioso malese ha una portata molto più vasta e indica la capacità di stabilire il giusto ordine fra le cose, di discernere «ciò che serve all’uomo per comportarsi bene e con successo in questa vita e nell’aldilà».

 

Se la riforma della conoscenza è finalizzata a trasformare tutte le istituzioni educative, il luogo privilegiato di questa grande operazione è l’università, che, afferma al-Attas, deve tornare a essere una struttura unitaria, in cui, come nel corpo umano, le diverse facoltà stanno in un rapporto di interdipendenza reciproca.

 

L’attenzione per il mondo universitario caratterizza anche l’opera di Ismail al-Faruqi, filosofo americano di origine palestinese, nato nel 1921 e assassinato nel 1986, insieme alla moglie, mentre si trovava nella sua casa in Pennsylvania. Ma in Faruqi, il progetto di “Islamizzazione della conoscenza”, che è anche il titolo del libro da cui è tratto il secondo brano di questa sezione, assume una valenza più politica e immediatamente operativa. Egli è infatti convinto che la ristrutturazione dei sistemi educativi islamici sia funzionale alla rinascita della umma e dettaglia con una certa precisione come questi vadano riorganizzati, di quali libri di testo debbano disporre e come possano essere finanziati. Il suo obiettivo è il superamento del sistema vigente in tutto il mondo musulmano, fondato sul dualismo tra istituzioni educative religiose e scuole e università pubbliche secolari. Nella visione di Faruqi deve invece esistere un unico sistema, che integri sapere religioso e sapere profano e nel quale ogni studente sia obbligato a ricevere un’istruzione religiosa «a prescindere dal suo ambito di specializzazione».

 

Tuttavia questo è solo un primo passo: non basta accostare i diversi tipi di discipline, bisogna invece portare la conoscenza moderna «all’interno della struttura portante della tradizione islamica, dopo averne accuratamente selezionato gli elementi da eliminare e quelli da correggere, da emendare o da reinterpretare secondo la loro conformità alla visione del mondo, ai valori e ai concetti dell’Islam».

 

Come i riformisti di fine Ottocento, Faruqi lamenta il letargo in cui sono piombati i musulmani dopo i primi, gloriosi secoli della storia islamica, lasciando all’Occidente il beneficio di mettere a frutto il sapere che essi erano stati in grado di produrre. A differenza dei suoi predecessori, però, il pensatore americano-palestinese ritiene che non sia sufficiente riappropriarsi della conoscenza e della forza sviluppate dall’Occidente, perché occorre prima di tutto risolvere la contraddizione tra il sapere occidentale e la visione islamica del mondo.

 

L’opera di al-Attas e di Faruqi non è rimasta confinata alla sfera delle idee, ma si è concretizzata in due progetti specifici: l’Istituto Internazionale per il Pensiero e la Civiltà Islamici, creato all’interno dell’Università Islamica Internazionale della Malesia e poi riassorbito nelle strutture di quest’ultima e l’Istituto Internazionale del Pensiero Islamico, fondato nel 1981 in Virginia, negli Stati Uniti.

Con la sua critica all’empirismo, all’utilitarismo e alla frammentazione del sapere moderno, la riflessione di questi pensatori ha qualcosa da dire anche al di là dei confini del mondo musulmano. Insistendo sulla dimensione metafisica dell’esistenza, essa può peraltro trovare interlocutori attenti in altre tradizioni religiose, che condividono preoccupazioni simili sulle derive dello scientismo. C’è tuttavia il rischio che questo progetto non si limiti al legittimo desiderio di ampliare gli attuali orizzonti della scienza, ma punti a creare un sapere assoluto ed esclusivo che si sostituisce integralmente a ogni altra forma di conoscenza.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Michele Brignone, Non è vera scienza se non è aperta a Dio, «Oasis», anno XV, n. 29, luglio 2019, pp. 90-92.

 

Riferimento al formato digitale:

Michele Brignone, Non è vera scienza se non è aperta a Dio, «Oasis» [online], pubblicato il 13 settembre 2019, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/islam-riforma-della-conoscenza.

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