Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:43:17

L’Indipendent in un pezzo dal titolo The many faces behind the veil ha indagato sul tema promuovendo un’ampia inchiesta a partire dalle esperienze di alcune donne musulmane di diversa estrazione sociale e culturale, interrogate sul velo integrale sì o no. Ne è nato uno spaccato tanto colorito quanto articolato del mondo femminile musulmano, una sorta di carotaggio che non riesce però a entrare nel merito del senso profondo del dibattito apertosi in Francia: vanno multate le donne che portano il velo che copre il viso in pubblico o per la strada? Tale tipo di velo è un simbolo religioso o no? Perché la Francia sembra temere ciò che richiama un simboli religioso? L’Indipendent sembra sostenere che in fondo il velo è più che il simbolo della sottomissione delle donne, un modo tutto sommato liberante di esprimere la propria identità. The Economist esagerando i titoli come gli conviene, presenta la vicenda come una “guerra”. In un pezzo dal titolo The war of French dressing. France's ban on the burqa svela la scossa che la proposta francese di bandire il burqa dai luoghi pubblici starebbe provocando tra gli analisti americani convinti in genere che l’Europa sia troppo compiacente nei confronti del diffondersi dell’Islam. L’Economist ritiene che la questione burqa scavalchi la questione laicità: il velo non sarebbe - come dice Sarkozy e molti musulmani compreso Dalil Boubakeur, rettore della Moschea di Parigi - un segno religioso, non una prescrizione musulmana, ma un’invasione del salafismo. Il commento finale dell’Economist lascia intendere che se tutte le democrazie liberali sono chiamate a cercare un compromesso tra libertà e sicurezza, questa eventuale legge francese potrebbe essere vista da qualcuno come il tentativo di imporre dei costumi occidentali a chi viene da altre tradizioni. Il Wall Street Journal in un pezzo dal titolo Parting the Veil sostiene la posizione di chi vuol lasciare che le donne si vestano come piace a loro. Altrimenti si corre il rischio che lo Stato arrivi a forzare la “liberazione” di persone che non si sentono affatto oppresse: «Bandire il velo è un po come curare i sintomi». La Francia non risolverà il problema della presenza dei musulmani al suo interno con “codici sull’abbigliamento” per il WSJ, che tuttavia riconosce un prezioso valore a questo dibattito: la Francia sta costringendo tutti ad affrontare una domanda radicale: «Quanta tolleranza devono i paesi occidentali a una minoranza spesso intollerante?». Il NewYork Times si è esposto sul dibattito con un editoriale dal titolo tagliente: The Taliban Would Applaud, nel quale si pone sullo stesso piano – come una violazione dei diritti umani – l’imposizione alle donne da parte dei talebani di coprirsi completamente il volto con un burqa e l’eventuale divieto francese per le donne velate di usufruire di servizi e luoghi pubblici. Perché, scrive il NYTimes «le persone devono essere libere di prendere tali decisioni da sole, non farsele imporre dai governi o dalla polizia». E aggiunge: «I Talebani saranno contenti. Il resto del mondo dovrebbe dichiarare la sua contrarietà». Per il NYTimes in fondo questo dibattito sul burqa sarebbe un pretesto del governo per distogliere la pubblica attenzione dal problema della disoccupazione e dirottarla sulla paura verso l’Islam. Laurent Joffrin, direttore di Libération, evidenzia come chi propone questo divieto sia da vedere come un “maniaco” dell’identità nazionale, per il quale le donne, già vittime del velo, diverrebbero anche criminali da fermare e multare pubblicamente. Un divieto che sarebbe preso da parte dei musulmani come un attacco esplicito nei loro confronti. Le Figaro dà voce sia alle comunità religiose per le quali una tale legge non sarebbe né d’aiuto né opportuna (Burqa: les religions ne voient pas l'efficacité d'une loi, di J.M. Guenois) e al commissario per le Pari Opportunità, Yazid Sabeg, per il quale una legge simile sarebbe un vero e proprio errore politico. Una posizione ripresa anche da Le Parisien/Aujourd'hui en France. Le Monde mostra come la comunità musulmana si senta estranea rispetto al dibattito in corso (La communauté musulmane entière se sent prise en otage par le débat sur la burqa, di Laure Belot et Stéphanie Le Bars) che la coinvolgerebbe solo di striscio, l’impossibilità che si costituisca un consenso pieno su questa legge e infine come il burqa in sé sia sintomo di un disagio nei confronti di quei musulmani immigrati incapaci di accettare le regole dell’occidente (La burqa, symptôme d'un malaise, di Abdennour Bidar) Al Watan, quotidiano algerino in arabo e francese, ha dedicato negli ultimi mesi alcuni articoli e interviste a questo tema. Un paio di titoli aiutano a cogliere la posizione favorevole a questo divieto del giornale: La burqa emprisonne la femme, in cui si intervista una studiosa siriana, Randa Kessis, convinta che il burqa costituisca una minaccia per la laicità, e ancora Interdire la burqa pour éradiquer le « cancer » islamiste, articolo che riprende la posizione di Fadéla Amara, sottosegretario del governo francese, espressa anche in un’intervista rilasciata al Financial Times.