Una settimana di notizie e analisi dal Medio Oriente e dal mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:22

Lunedì 17 giugno, alle 16:50 ore locali, è venuto a mancare l’ex Presidente egiziano Muhammad Morsi mentre si trovava in un’aula di tribunale al Cairo. Il primo presidente eletto della storia egiziana era accusato di tentata evasione, offesa a pubblico ufficiale, terrorismo e collaborazione con Hamas. Morsi stava già scontando nel carcere di massima sicurezza a Torah una condanna a vent’anni per aver ordinato l’uccisione di manifestanti antigovernativi e una condanna all’ergastolo per spionaggio a favore del Qatar.

 

Morsi, 67 anni, aveva trascorso gli ultimi sei anni in prigione, dove era sottoposto a un regime molto rigido. Come evidenziato da tre parlamentari britannici, a Morsi era precluso l’accesso alle cure per il diabete e per i problemi al fegato. L’ex Presidente era inoltre trattenuto in isolamento per 23 ore al giorno e gli era impedito di vedere i famigliari. Le condizioni in cui si trovava Morsi avevano già attirato l’attenzione di Human Rights Watch, che a seguito della morte ha invitato le autorità egiziane a indagare sulle circostanze della sua scomparsa. Morsi è stato immediatamente seppellito nella periferia del Cairo senza funerali di Stato e senza giornalisti.

 

L’elezione di Morsi nel giugno 2012 aveva per la prima volta portato al potere un’esponente dei Fratelli musulmani in Egitto, dopo oltre 50 anni di relazione altalenante con lo Stato egiziano. In realtà, Morsi era stata una scelta di ripiego, dopo che il più quotato Khairat al-Shater era stato dichiarato non idoneo per vizi procedurali. Come ricostruisce Shadi Hamid su The Atlantic, Morsi non era né uno stratega né una figura carismatica, e ha macchiato la propria presidenza con alcuni gravi errori, come la scelta di attribuirsi più poteri, di varare una Costituzione contraddittoria, di non cooptare l’esercito e di non scendere a patti con altre forze non islamiste.

 

Per quanto le etichette di «dittatore» o «faraone» sembrino inadeguate, Bloomberg evidenzia come gli errori di Morsi abbiano non solo condannato la sua presidenza, ma anche sancito la fine dell’esperimento democratico egiziano. Sebbene molti analisti abbiano con il tempo riformulato le critiche a Morsi, i giudizi in Egitto restano per la maggior parte negativi, a causa delle ambizioni islamiste giudicate eccessive e anti-democratiche.  Il successo dell’Islam politico ha così avuto vita breve. La morte di Morsi rappresenta di conseguenza uno spartiacque dall’elevato valore simbolico: è la tappa finale di un processo contro-rivoluzionario che ambiva a restaurare l’ordine precedente.

 

Sul futuro della Fratellanza, invece, vi sono visioni divergenti. Secondo il politologo François Burgat, la crisi dei Fratelli è interna all’organizzazione, mentre è ancora intatta la capacità di attrarre la popolazione. Morsi potrebbe così diventare un martire e quindi un simbolo in grado di mobilitare le masse. I Fratelli costituiscono ancora unaalternativa ai regimi al potere oggi, come dimostrano gli ottimi risultati ottenuti in tre Paesi strutturalmente diversi quali il Libano, la Tunisia e l’Iraq. Diversamente, Peter Hessler sul The New Yorker sostiene che l’inclusione dei Fratelli nella lista delle organizzazioni terroristiche da parte di al-Sisi, il comprovato fallimento del partito-movimento al potere e l’incapacità di attrarre le persone abbiano segnato l’inizio della fase discendente della Fratellanza. Secondo Hessler è difficile pensare a Morsi come a un simbolo ed è altrettanto difficile immaginarsi un ritorno sulla scena politica dei Fratelli musulmani, anche sul lungo periodo.

 

In questo scenario non c’è da sorprendersi che la morte di Morsi abbia suscitato reazioni numerose e contrastanti nella regione.

 

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha espresso il suo cordoglio indicendo una giornata di preghiera per giovedì. Morsi, nelle parole di Erdogan, è un «martire» ucciso da «tiranni». Sulla stessa lunghezza d’onda c’è anche il Qatar, molto vicino ai Fratelli. L’emiro Tamim al-Thani ha espresso via Twitter «profonda tristezza per la morte improvvisa» di Morsi. Ad esprimere cordoglio per la scomparsa dell’ex Presidente vi sono anche il quotidiano libanese al-Akhbar e il giornale online egiziano Arabi21. Tutte queste espressioni di solidarietà, unite alla diffusione della Fratellanza in Egitto, aiutano a comprendere perché Il Cairo, nelle ore successive alla divulgazione della notizia, abbia proclamato lo stato di allerta.

 

D’altra parte, come riportato da Al-Arabiya, il governo egiziano ha respinto con forza la richiesta dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani di approfondire le cause del decesso. L’istanza è infatti stata bollata come un tentativo di politicizzare la questione. Il sito emiratino The National si è esposto ancora di più contro Morsi, sottolineando la sua inadeguatezza come leader, gli errori commessi in Egitto e l’incapacità di presentare in modo credibile il proprio Paese a livello internazionale. Ma è in particolare ai Fratelli musulmani che il sito emiratino rivolge le critiche più severe, riportando come la Fratellanza abbia escluso tutti quelli che non si riconoscevano nel partito-movimento, di fatto tradendo l’orientamento salafita dominante in Egitto nel corso di tutta la sua storia.

 

Anche i media israeliani hanno dato spazio alla notizia della morte dell’ex Presidente. Il sito Israel Yahom ha messo in luce il cordoglio espresso da Hamas per la scomparsa di Morsi. Al contrario, la maggior parte della popolazione di Cisgiordania e Gaza ha preferito evitare di esporsi, secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz. Sempre secondo Haaretz, la principale preoccupazione di Israele in questo momento è che in Egitto prendano vita vasti movimenti di protesta. Sulla questione si è espresso anche Benjamin Netanyahu, che si è detto certo che al-Sisi è in pieno controllo della situazione.

 

Il Sinodo maronita in Libano

 

Il Sinodo annuale della Chiesa maronita, tenutosi in Libano fra il 5 e l’8 giugno e poi fra il 10 e il 15 giugno, si è chiuso sabato con una preoccupante nota conclusiva: il Medio Oriente si sta svuotando della popolazione cristiana.

 

Fatta eccezione per la realtà libanese, in Siria, Giordania, Egitto e Cipro si sta registrando «un’emorragia umana». Basti pensare, ad esempio, al caso siriano, dove in 5 anni il numero dei cristiani è passato da 400.000 a poco più di 40.000.

 

Come sottolineato in questo articolo di L’Orient Le Jour, i vescovi maroniti, pur restando fiduciosi, riconoscono come parte di questo fenomeno di svuotamento sia irreversibile. Le comunità cristiane locali tendono a spostarsi, dando così vita a fenomeni di diaspora religiosa. Di fronte a questa emigrazione, si legge nel comunicato finale del Sinodo, aumenta la necessità di formare sacerdoti missionari e di finanziare queste comunità in crescita.

 

Nel documento conclusivo si trovano anche riflessioni sulla Chiesa maronita e sulla situazione in Libano. Per quanto riguarda la riforma della Chiesa maronita, il Sinodo ha individuato nella liturgia il fattore unificante. Per quanto concerne il rapporto con Beirut, il Sinodo ha incoraggiato lo Stato a riprendere il programma di microcredito per l’acquisto di abitazioni, in modo da incentivare le giovani coppie sposate a restare nel Paese.

 

La responsabilità saudita nell’omicidio Khashoggi

 

Anche se ancora vago e spesso contraddetto dai fatti, procede il progetto di rinnovamento dell’Islam e dello spazio pubblico in Arabia Saudita lanciato dal Principe ereditario Muhammad Bin Salman.

 

Come riporta Bloomberg, alcune fonti anonime interne al Regno hanno fatto trapelare l’indiscrezione che è in programma un allentamento delle norme che regolano il consumo di bevande alcoliche. In Arabia Saudita è infatti vietato acquistare e consumare alcolici, al punto che si è formato un fiorente mercato nero che ricorda vagamente il proibizionismo americano.

 

Nonostante non vi siano conferme da parte delle autorità, è già notevole che questa voce abbia iniziato a circolare. L’idea sarebbe quella di creare zone di consumo (come il distretto finanziario Re Abdullah o la nuova metropoli Neom), in modo da attrarre turisti e investitori.

 

Allo stesso modo, riporta Gulf News, a Gedda era in programma l’apertura di una discoteca halal, in cui uomini e donne avrebbero potuto ballare insieme. L’inaugurazione, in programma per la sera di mercoledì scorso, è però stata posticipata in seguito all’intervento della GEA, l’agenzia governativa per l’intrattenimento, che ha riscontrato delle irregolarità. Se infatti i poteri della polizia religiosa sono stati limitati, le autorità hanno promulgato una norma sulla «pubblica decenza» che regola il modo di vestire e di comportarsi negli spazi pubblici del Regno. La poca definizione di quanto contenuto nel decreto permetterebbe inoltre l’esercizio arbitrario del controllo e dell’eventuale repressione.

 

La narrativa proposta da Riyadh di riforma religiosa e socioeconomica, che ha già in sé evidenti contraddizioni, si scontra inoltre con l’atteggiamento tenuto da Riyadh in politica estera, nell’ambito dei diritti umani e nei confronti dei dissidenti.

 

Proprio nella giornata di mercoledì veniva infatti pubblicato il report dell’Alto Commissario per i Diritti Umani, redatto da Agnes Callamard e incentrato sull’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi. Secondo quanto ricostruito sul Guardian dai giornalisti Nick Hopkins e Stephanie Kirchgaessner – per altro già minacciati in passato dall’Arabia Saudita in seguito alla rivelazione di possibili dissensi fra Re Salman e MBS – i risultati dell’indagine non si conciliano con la presa di distanza di Riyadh nelle giornate successive alla scomparsa di Khashoggi.

 

Secondo la Callamard, né le indagini turche né quelle saudite sono attendibili. D’altra parte, ci sono «prove credibili del coinvolgimento di ufficiali sauditi di alto grado, incluso il Principe ereditario». «Non c’è ancora la certezza di colpevolezza […]», si legge ancora nel report, «ma l’omicidio di Mr. Khashoggi è esemplificativo di uno schema mondiale di omicidi mirati contro giornalisti e operatori dei media». Anche l’iniziativa saudita di processare 11 membri del commando sospettato dell’omicidio è stata criticata dalla Callamard, che invoca un processo trasparente.

 

Le reazioni da Riyadh non si sono fatte attendere. Dopo le dichiarazioni di domenica rilasciate da MBS al giornale filo-saudita Asharq al-Awsat, che anticipavano il report e che denunciavano l’omicidio come un «crimine spiacevole», è intervenuto anche il Ministro degli Affari esteri. Come riporta Al-Arabiya, Adel al-Jubeir ha affermato che il report contiene «chiare contraddizioni e accuse senza fondamento, che minano la credibilità del documento».

 

IN BREVE

 

Regno Unito e USA: il Parlamento britannico dichiara fuori legge la vendita delle armi all’Arabia Saudita, in seguito al loro utilizzo contro i civili in Yemen. Anche il Senato americano ha bloccato la vendita di armi ai Paesi del Golfo.

 

Rifugiati: secondo UNHCR, il numero di persone in fuga da guerre e conflitti nel 2018 è stato di oltre 70 milioni, il numero più alto di sempre.

 

Iran: dopo l’abbattimento di un drone americano, che secondo Teheran aveva invaso lo spazio aereo iraniano, il Presidente Trump ha annunciato che avrebbe colpito la Repubblica Islamica, salvo poi ritrattare.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis