Una settimana di notizie e analisi dal Medio Oriente e dal mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:23

I musulmani in India, vittime del nazionalismo induista

 

Nei giorni scorsi in India si sono verificati scontri tra la comunità indù e quella musulmana, in seguito ai quali si è arrivati a imporre il coprifuoco a Delhi, dopo che si sono registrati 38 morti e più di 300 feriti, tra cui una cinquantina di poliziotti, i quali, secondo quanto riporta il New York Times, si sono schierati dalla parte dei militanti induisti. Molte moschee sono state vandalizzate e bruciate. Il Times propone un reportage fotografico sulle violenze nei confronti della comunità musulmana, che è stata duramente colpita. Ma l’escalation dell’ultima settimana è solo l’apice delle proteste che continuano da mesi e la cui causa è da ricercare nel Citizenship Amendment Act (CAA), la legge che fissa i criteri per l’acquisizione della cittadinanza indiana e che esclude le comunità musulmane dei Paesi limitrofi. Gli scontri si sono verificati in concomitanza della visita di Donald Trump, e forse non è un caso. Come Trump si è fatto promotore dell’America first, anche Narendra Modi da anni promuove un nazionalismo che a livello interno consiste in politiche a favore degli indù a discapito di altre minoranze, soprattutto quella musulmana, come descrive Le Monde, che ricorda anche i pogrom anti-musulmani del 2002 nella regione del Gujarat. Sembra ormai evidente che questa comunanza di intenti a livello politico tra Trump e Modi possa trovare terreno fertile anche sul piano economico, tanto per gli investimenti immobiliari di Trump in India di cui parla il Washington Post, quanto per l’accordo da tre miliardi di dollari che prevede la fornitura di armamenti ed elicotteri da parte di Washington. Secondo quanto scritto anche dalla BBC, quindi, l’India è il nuovo perno della politica americana in Asia, una mossa strategica per cercare di isolare e contrastare la Cina nello scacchiere asiatico.

 

 

L’attacco alla Turchia a Idlib

 

Un attacco aereo ha ucciso almeno 33 soldati turchi nei pressi di Idlib, nel nordovest della Siria, riporta CBS News. Secondo il New York Times ora si rischia uno scontro diretto tra la Russia e la Turchia, che è un membro della NATO. Ankara ha infatti chiesto una riunione di emergenza per valutare il possibile intervento degli altri Stati membri dell’organizzazione. Le preoccupazioni per un’escalation sono espresse anche da Al Monitor, che tuttavia sottolinea l’inconsistenza delle politiche turche attuate finora. La BBC ha ricostruito la situazione attuale partendo dagli accordi che erano stati stipulati tra Russia, Siria, Iran e Turchia nel 2017, i quali però non hanno avuto seguito. La carta che sta giocando la Turchia ora quindi non è solo militare, ma anche umanitaria: dopo l’arrivo di quasi un milione di profughi siriani al confine, Ankara ha dichiarato che non bloccherà più la frontiera, ma permetterà ai rifugiati siriani il libero passaggio verso l'Europa, scrive Middle East Eye. Le condizioni dei rifugiati sono tragiche, al punto che l’ONU definito quella siriana «la peggior crisi umanitaria del XXI secolo e la peggiore dopo la Seconda guerra mondiale». Ne parla La Croix, che descrive la rassegnazione di chi si trova a Idlib. Il Guardian infine parla delle possibilità che si aprono ora per il conflitto, in costante evoluzione.

 

 

Il Coronavirus in Iran e nel resto del Medio Oriente

 

Dopo aver colpito l’Iran il Coronavirus si è diffuso in Medio Oriente. L’Iraq e gli altri Paesi della regione hanno bloccato tutti i voli da e per l’Iran, mentre l’Arabia Saudita ha sospeso il pellegrinaggio alla Mecca per ragioni di sicurezza. Secondo le fonti ufficiali iraniane, riportate da Reuters, le morti per Coronavirus in Iran finora sono state più di 20 e gli infetti oltre140, tra cui anche alcune figure chiave del governo. Tuttavia ci sono forti dubbi sui numeri forniti dal governo e altre stime, molto più elevate, circolano a livello informale tra i medici, scrive Le Monde. Accuse prontamente respinte da Teheran in base a ciò che riporta la BBC. Bloomberg ammonisce: non ci si può fidare del governo iraniano, come dimostrato in precedenza dal caso dell’abbattimento dell’aereo ucraino. Passata la necessità di tutelare le elezioni della settimana scorsa, in futuro l’Iran potrebbe ammettere le proprie colpe nella gestione dei contagi. Come ci si aspettava, gran parte dei seggi in Parlamento sono passati sotto il controllo dell’area conservatrice, anche se il basso coinvolgimento della popolazione è una sconfitta per l’ayatollah Khamenei, che aveva lanciato ferventi appelli alla partecipazione al voto. Come ricorda Bloomberg, a causa delle sanzioni americane, l’economia e in particolare le strutture sanitarie del Paese vertevano già in condizioni precarie. Sebbene Teheran si ostini a sminuire le conseguenze che avrà il virus sull’economia, il nuovo governo per restare in piedi dovrà affrontare una serie di questioni cruciali, tra cui la svalutazione della moneta e la perdurante crisi economica. Come è evidenziato da questa analisi di Haaretz, la strada per le elezioni presidenziali del giugno 2021 sarà ora tutta in salita per Rouhani e le componenti moderate del governo.

 

 

Isis e Al-Qaeda nel Sahel

 

Secondo quanto scrive il Washington Post, i gruppi terroristici affiliati rispettivamente ad Al-Qaeda e al sedicente Stato islamico stanno unendo le forze nel Sahel per riuscire ad avere un maggior controllo del territorio. La risposta a questa minaccia tuttavia non può essere solo militare: è così che le forze del G5 Sahel, che raggruppano gli eserciti di Mauritania, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mali, hanno deciso di opporsi al terrorismo anche ideologicamente,  “Corano alla mano”, come racconta Le Figaro. D’altra parte, invece, il disimpegno americano sembra cominci a toccare anche quest’area del mondo. Foreign Policy però avverte: andarsene dal Sahel vorrebbe dire lasciare ulteriore spazio di manovra in Africa a Cina e Russia. Oltre i meri calcoli strategici, invece, La Croix racconta di un’iniziativa tra musulmani e cristiani in Nigeria: colpiti entrambi dalla follia terroristica di Boko Haram, hanno deciso di promuovere il dialogo interreligioso e lanciare delle campagne di sensibilizzazione nelle chiese e nelle moschee.

 

 

L’Egitto dopo Mubarak

 

Martedì 25 febbraio è morto a 91 anni l’ex-presidente egiziano Hosni Mubarak, in una clinica del Cairo, dove era da tempo ricoverato. La sua carriera è iniziata come delfino di Sadat per terminare poi con le proteste di piazza Tahrir del 2011, a seguito delle quali si è ritirato. Dopo la breve parentesi del governo Morsi, l’Egitto di oggi sembra continuare sulla stessa traiettoria dei tempi di Mubarak, fa notare ISPI. L’unica differenza riguarda il rapporto con i Fratelli musulmani, che oggi sono completamente esclusi dall’arena politica. Secondo il Sole24Ore, invece, la brutalità del regime odierno fa rimpiangere il trentennio guidato dal “Faraone” che, anche se non era riuscito a mantenere il ruolo di guida dell’intera regione dell’Egitto, aveva almeno garantito crescita economica e stabilità interna. Secondo Foreign Policy nell’Egitto odierno sono rintracciabili anche altri elementi di continuità, ovvero proprio le ragioni che hanno portato alla caduta di Mubarak. Questo significa che la Primavera araba in Egitto ha avuto successo come protesta, ma non come rivoluzione, e il sogno di un nuovo Egitto resta incompiuto.

 

 

IN BREVE

 

Secondo quanto riportato da La Croix, Khaled Ben Omar Batarfi è il nuovo capo di Al-Qaeda nella Penisola araba.

 

L’Arabia saudita ha ordinato l’arresto di una rapper per un video apparso su YouTube intitolato “Mecca girl”, scrive la CNN.

 

In Tunisia, Il governo guidato dal primo ministro tunisino Elyes Fakhfakh ha ottenuto la fiducia parlamentare dopo uno stallo di quattro mesi, racconta Bloomberg.

 

Secondo quanto scrive Gilles Kepel su Le Monde gli ultimi sconvolgimenti nel mondo arabo stanno portando a un completo rovesciamento del modello “petro-islamista”, iniziato con la crisi del petrolio del 1973.

 

Sempre Bloomberg riporta la decisione di Trump di voler chiedere un risarcimento al Sudan per gli attacchi terroristici alle ambasciate statunitensi prima dell’11 settembre 2001.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA