Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:42

“Allargare l’orizzonte di riferimento degli uni e degli altri, non solo giustapporlo: è il punto cruciale del periodo di transizione che noi attraversiamo”: con la sua visita ufficiale al comitato scientifico della Fondazione Oasis, riunito a Tunisi dal 18 al 20 giugno, Moncef Marzouki, Presidente della Repubblica tunisina uscita dalla rivoluzione, eletto dalla nuova Assemblea Costituente, ha sorpreso chi lo ascoltava per l’affilatezza con cui si addentrava nelle corde più profonde della questione messa a tema: “La religione in una società in transizione. Come la Tunisia interpella l’Occidente”. Senza esitazione né ambiguità, Marzouki, di fronte alla cinquantina di persone provenienti dal Medio ed Estremo Oriente e dall’Europa, ha espresso la necessità per uno Stato democratico di riconoscere la libertà di coscienza: “La sfida che ormai affrontiamo – ha dichiarato - non riguarda più solo il problema del dialogo tra le religioni o le civiltà, né la protezione paternalistica delle minoranze religiose da parte di uno stato autoritario. Il problema della libertà religiosa non deve essere pensato separatamente dalla questione della cittadinanza e quindi della democrazia e dall’insieme dei suoi valori e meccanismi”. Tutti, per Marzouki, sono invitati a partecipare al dibattito di costruzione di una nuova Tunisia, a prescindere dalla propria appartenenza religiosa: “Di fronte alle difficoltà create dalla paura, le incomprensioni e l’estrema tensione nervosa che caratterizza i periodi di transizione – ha affermato Marzouki - bisogna tener duro. Se bisogna difendere la libertà di coscienza è perché essa è il fondamento di un tipo di appartenenza moderna che è la cittadinanza. Oggi l’appartenenza religiosa fonda l’appartenenza a una comunità di fede, non l’appartenenza a una comunità nazionale. Si può essere cittadini tunisini essendo musulmani, cristiani, ebrei o atei”. Se più di uno dei cristiani presenti provenienti dal Medio Oriente non ha nascosto la sorpresa suscitata dal sentire pronunciare quest’affermazione sulla libertà di coscienza - che supera allargandola la libertà di culto - da parte del Presidente di un Paese a stragrande maggioranza musulmana, tutti hanno rilevato come Marzouki avesse ripreso e fatto suoi alcuni dei passaggi chiave dell’intervento del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano e presidente di Oasis, letto il giorno prima in apertura dei lavori. Nel suo testo introduttivo il cardinale aveva tracciato il percorso di Oasis dalla sua fondazione a oggi: “Il punto sorgivo di tutta la nostra intrapresa – ha spiegato Scola - è esplorare le dimensioni della vita cristiana, attraverso il confronto tra le diverse modalità espressive che essa assume, offrendo dove possibile un sostegno di tipo culturale a quelle tra di esse che faticano maggiormente. Tuttavia in quest’idea iniziale era già contenuta in nuce la successiva apertura verso i credenti musulmani. Il modo di vivere la propria fede infatti non può prescindere dalla considerazione del contesto in cui essa si colloca. Il che, applicato al Medio Oriente, significa: non è possibile separare le minoranze cristiane dalle società musulmane in cui vivono. Mi sembra questa una delle ragioni profonde per cui il dialogo tra i credenti non può ridursi a una «scelta stagionale o strategica», ma rappresenta «una necessità vitale», per riprendere la parole di Benedetto XVI a Colonia”. Tuttavia, la “fase due” dell’incontro con le società musulmane ha condotto implicitamente a una “fase tre”: come i paesi investiti dalle rivoluzioni interpellano l’Occidente. Oasis infatti ora, mossa dalle circostanze storiche, sta verificando come sulla crisi attuale, ad esempio, cristiani e musulmani di ogni latitudine possano illuminarsi a vicenda. Nel suo testo di apertura il cardinale ha analizzato le componenti della crisi in Occidente, che si presenta come crisi dell’universale di una religione, o meglio dell’interpretazione culturale predominante che essa aveva assunto nel corso del Medioevo, ed ha mostrato come proprio la presenza musulmana stia ricordando all’Occidente che invece la questione dell’universale, e dell’universale religioso in particolare, resti centrale. Ma se “l’Islam interpella a sottoporre a revisione il modello che l’Occidente ha elaborato, senza per questo rinnegare le indubbie acquisizioni in termini di convivenza civile” - ha rilevato ancora Scola - “è chiaro che vale anche il processo inverso, poiché l’Islam, a detta di molti suoi pensatori, è chiamato a pensare in modo nuovo il tema della libertà. Nell’esperienza travagliata del rapporto che il Cristianesimo ha instaurato con la modernità politica, tra rifiuto, illusione passatista e assunzione critica delle istanze positive, si possano rinvenire elementi utili anche per i popoli musulmani e per la domanda di libertà che le loro rivoluzioni hanno così potentemente messo in campo”. Proprio in questo senso Oasis parla di un’illuminazione reciproca, di un’oggettiva rilevanza culturale che il Cristianesimo oggi assume per l’Islam, e viceversa. Su queste piste si sono sviluppati i lavori del comitato internazionale, il primo giorno tutto dedicato allo studio del caso tunisino, attraverso i contributi di esponenti di punta della stagione attuale, di posizioni sia laiche che a forte riferimento islamico. Il giurista Yadh Ben Achour, ha richiamato la questione della libertà di coscienza come la più alta forma di libertà che va tutelata come fondamento di uno Stato autenticamente democratico; Malika Zeghal dell’Università di Harvard, ha spiegato cosa definisce uno Stato musulmano oggi e come si presenta il profilo di quello uscito dalla rivoluzione tunisina; Ajmi Lourimi, uno dei pensatori di punta di an-Nahda, il partito islamista di maggioranza relativa oggi in Tunisia, ha illustrato il ruolo della religione nello spazio pubblico, indicando che in uno Stato di diritto la legge non deve distinguere tra chi porta la barba (i salafiti) e chi no, ma tra chi la rispetta e chi non la rispetta; Riadh Chaibi, incaricato di organizzare il prossimo congresso di an-Nahda, ha tentato la definizione di un partito a riferimento religioso; Ridha Chkoundali, economista, ha tracciato il nesso tra economia e post-rivoluzione; Abdelmajid Charfi, islamologo di fama internazionale, si è interrogato sulla conciliazione tra Islam e pluralismo; Mousaddak Jlidi, fondatore della Lega tunisina per la cultura e il dialogo, si è espresso su transizione democratica e rivoluzione; Lotfi Hajji, capo di al Jazeera in Tunisia, ha raccontato l’esperienza di un collettivo per la difesa della libertà di coscienza, composto da islamisti e laici, nato a Tunisi anni prima della rivoluzione; Abderrazek Sayadi, ha sviluppato il nesso tra individuo e comunità e infine mons. Maroun Lahham, Vicario patriarcale dei Latini in Giordania e già arcivescovo di Tunisi, ha offerto la sua testimonianza di cristiano davanti alle rivoluzioni arabe. La seconda giornata ha invece lasciato spazio alla reazione di esponenti di altri Paesi musulmani arabi e non arabi e dell’Occidente di fronte alle provocazioni emerse. E così, grazie a una sequenza incalzante di testimonianze dirette, Oasis ha potuto percorrere le vie del Marocco, della Libia, dell’Algeria, dell’Egitto, della Bosnia, del Pakistan, dell’Indonesia, ma anche dell’Europa, per comprendere la rilevanza e le ricadute degli sviluppi delle rivoluzioni per la dignità e la libertà del mondo arabo sul resto del mondo. Già nelle precedenti edizioni di questo incontro annuale della rete internazionale di Oasis era emersa da più parti la necessità di un lavoro culturale comune per comprendere la fase di transizione che investe il mondo arabo e non solo, ma l’incontro di Tunisi - che solo tre giorni prima dell’inizio era stato messo in crisi dal coprifuoco deciso dal Governo tunisino dopo alcuni atti violenti dei salafiti nel Paese - è stato per Oasis una conferma del metodo scelto: passare attraverso l’esperienza delle comunità cristiane locali e degli interlocutori musulmani per tentare di leggere una storia che, segnata dal processo del meticciato di civiltà e di culture, chiede di essere pienamente vissuta e orientata verso una vita buona. Pubblicato su Osservatore Romano, 21 giugno 2012