Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:38:56

"Che una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà. ... La pace è un bene che passa tutte le barriere perché è un bene per tutta l'umanità". Questa umanità, cui si è riferito nel suo appello del 1 settembre il Papa, aveva dei volti precisi nel campo profughi di Marj El Khokh dove Avsi e Oasis hanno promosso ieri un momento di riflessione, silenzio e preghiera in risposta all'invito, e provocazione, di Francesco. Aveva i volti delle centinaia di famiglie di profughi siriani che due anni fa hanno cominciato ad arrivare in questo pezzo di terra sassosa nel Libano meridionale, a pochi passi dal confine con Israele. Si sono installati qui, provenienti dalla regione di Idlib, città della Siria settentrionale, per scappare da una guerra che sembra arrivata proprio in questi giorni a un apice di drammaticità. Oggi a Marj El Khokh vivono un migliaio di persone, di cui 450 bambini, molti dei quali non sono mai andati a scuola. Erano già poveri in Siria, qui lo sono ancora di più. Avsi sostiene la loro vita quotidiana con progetti diversi, provvede ai beni di prima necessità e promuove dei corsi di alfabetizzazione per i bambini e tante delle loro madri, conosciuti nome per nome, storia per storia. Sono arrivati qui, alcuni con evidenti ferite da guerra, tutti con l'attesa di una tregua. Le tende sono organizzate alla meglio, alcune circondate da fiori alti e rossi che le donne seminano in cerca di qualcosa di bello, come erano solite fare a casa loro. All'interno si sono creati dei gruppi, spesso esclusivi e dalle relazioni violente. C'è prostituzione al campo, a volte atti di violenza nelle e tra le famiglie, tra i bambini. Ma proprio qui, in questa realtà di tensione e di dramma, oltre centocinquanta profughi, bambini e adulti, uomini e donne, hanno partecipato al semplice gesto della preghiera per la pace. A presiederla il capo della locale comunità musulmana sunnita, Jihad al-Saadi, e don Daniele Awike, parroco melkita di Marjeyoun. Un gesto essenziale: un ragazzo, il figlio dello shaykh locale, ha recitato la breve sura 93, che insegna a soccorrere quanti sono nel bisogno. Subito dopo una volontaria di Avsi ha letto in arabo il testo dell'appello del Papa. In un breve momento di silenzio comune ciascuno ha pregato secondo la propria tradizione religiosa, per concludere con l'invocazione "Maria regina della pace prega per noi". Evidente lo sguardo curioso dei bambini e degli adulti, quasi perplessi dal concorso strano di persone mai viste nel loro campo e dalla preghiera insieme, del tutto inedita. Agli operatori Avsi, a Marco, Chiara, Niccolò, Maria, Roni...sono abituati; non tanto al prete cristiano, ad altre persone che dai villaggi vicini hanno voluto partecipare, ai soldati spediti per tenere sotto controllo la situazione per ogni evenienza, e a Oasis. Nuova anche la collaborazione tra Avsi e Oasis, l'una impegnata da sempre sul campo con gli ultimi del mondo, l'altra creata dal cardinal Scola per sostenere culturalmente le comunità cristiane del mondo islamico e a promuovere l'incontro e il dialogo tra cristiani e musulmani. Due realtà diverse, ma entrambe provocate, ciascuna nel suo specifico, dallo stesse parole del Papa che ascoltate dal Medio Oriente risuonano con particolare intensità. In quella ferita dei profughi che stanno lontano da casa, come vite sospese, si è innestato un incontro breve, sotto il sole libanese, e sotto il controllo dei satelliti militari, una domanda di pace che ha assunto tutto il suo valore proprio perché' in comunione con tante altre simili proposte vissute in tutto il mondo.