Il progetto di ricerca 2019 di Oasis, realizzato grazie al sostegno della Fondazione Cariplo, ha studiato la presenza islamica in Italia, con un’attenzione particolare ai suoi riferimenti intellettuali

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:22

All’inizio degli anni ’90, i musulmani in Italia erano circa 150.000. Oggi si stima che abbiano raggiunto i 2 milioni e mezzo, circa il 4% della popolazione residente. Col crescere di questa presenza è anche aumentato il numero degli studi che se ne occupano. Le ricerche svolte in questo ambito hanno preso le mosse da due prospettive particolari: da un lato quella giuridica, che tende a indagare l’organizzazione dei musulmani in Italia, i loro rapporti con le istituzioni pubbliche e l’interazione tra la normatività islamica e l’ordinamento giuridico italiano; dall’altro quella sociologica, che analizza la presenza islamica soprattutto nel quadro del fenomeno migratorio, focalizzandosi sui processi di inclusione/esclusione, sui rapporti famigliari e generazionali, sulle forme di leadership. Più recentemente, con la crescita anche in Europa del terrorismo jihadista, si sono aggiunti gli studi sulla radicalizzazione islamista in Italia, un tema che ha peraltro monopolizzato l’interesse dei media.

 

Minore attenzione è stata finora dedicata alle tradizioni discorsive, per usare la terminologia dell’antropologo americano Talal Asad, presenti nell’Islam italiano. Alla luce di queste considerazioni, la Fondazione Oasis ha intrapreso quest’anno un progetto di ricerca intitolato “L’Islam in Italia. Un’identità in formazione”, reso possibile dal sostegno della Fondazione Cariplo.

Il logo del progetto di ricerca 2019 di Oasis

 

Lo scopo del progetto, che combina i metodi dell’islamologia con quelli della sociologia e dell’antropologia e mira a mantenere una prospettiva comparata con quanto avviene nell’Islam Europeo, è indagare l’identità religiosa, o le identità religiose, dei musulmani italiani, attraverso l’analisi dei discorsi che sostengono e orientano la loro vita. Come infatti ha osservato Asad «è piuttosto fuorviante suggerire, come hanno fatto alcuni sociologi, che a essere rilevante nell’Islam sia l’ortoprassi e non l’ortodossia, il rituale e non la dottrina. È fuorviante perché tale affermazione ignora la centralità del concetto di “modello corretto” al quale una pratica istituita dovrebbe conformarsi, un modello che nelle tradizioni islamiche come in altre è trasmesso da formule autorevoli».  

 

L’interesse per i discorsi non intende dunque trascurare l’importanza delle pratiche, secondo un dualismo che oppone, come due universi non comunicanti, la tradizione intellettuale islamica – l’Islam “dei libri” – e il vissuto concreto dei musulmani. Questo approccio, ispirandosi in particolare alla Sociologia dell’Islam di Salvatore, punta invece a indagare come determinate forme islamiche di conoscenza plasmino l’azione, le istituzioni e gli stili di vita dei musulmani italiani. Per far questo il progetto di Oasis si concentrerà in particolare sulle fonti discorsive delle comunità islamiche italiane, cioè sulle tradizioni, sulle istituzioni e sulle personalità (predicatori, sapienti, intellettuali) che esse considerano particolarmente autorevoli e che contribuiscono a definire la loro interpretazione della realtà. Allo stesso modo, un’attenzione specifica sarà rivolta alle diverse iniziative messe in campo da associazioni e centri islamici per la formazione dei propri aderenti.

 

La concentrazione sulla dimensione discorsiva rimanda necessariamente alle grandi tendenze in atto nel mondo musulmano e nell’Islam europeo, che sono i contesti in cui spesso si trovano o da cui provengono i centri e le figure a cui guardano le comunità musulmane italiane. Per limitarsi a qualche esempio tratto dall’esperienza di alcune organizzazioni islamiche presenti in Italia, l’Unione delle Comunità Islamiche Italiane (UCOII) invita gli imam delle moschee che essa coordina a consultare «i pareri e le fatwa pubblicati dal Consiglio europeo per la Fatwa e la Ricerca», un’istituzione con sede a Dublino, fondata e presieduta per molto tempo dal “Global Mufti” Yusuf al-Qaradawi; la Confederazione Islamica Italiana ha invece un punto di riferimento nel Consiglio europeo degli ulema marocchini e più in generale nelle istituzioni religiose ed educative marocchine; nelle comunità bangladesi è particolarmente diffusa l’influenza del movimento missionario Tablighi Jamaat, mentre non è probabilmente possibile capire l’impegno e le attività dell’associazione Partecipazione e Spiritualità Musulmana prescindendo dall’opera dello shaykh marocchino Abdessalam Yassine.

 

Tale prospettiva si colloca al di là del dibattito sull’effettiva evoluzione, ricorrentemente evidenziata dai sociologi e spesso auspicata dalle autorità pubbliche, da un Islam in Italia (o in Europa) a un Islam italiano (o europeo). Riconoscendo la natura translocale dell’Islam, la ricerca punta piuttosto a comprendere quali identità religiose si stiano formando nell’interazione tra tradizioni discorsive transnazionali e il contesto italiano.  

 

In questo senso, il progetto vuole essere un contributo alla conoscenza delle tendenze di lungo periodo dell’Islam in Italia, in modo da spostare l’attenzione dall’emergenza terroristica che ha dominato il dibattito pubblico degli ultimi anni, riducendo l’Islam a un problema di ordine pubblico, e contribuire a una riflessione più serena, ma anche più approfondita.

 

Bibliografia

Talal Asad, The idea of an anthropology of islam, Center for Contemporary Arab Studies, Washington 1986.

Alessio Menonna, La presenza musulmana in Italia, Fact sheet, Fondazione Ismu, giugno 2016 http://www.ismu.org/wp-content/uploads/2016/07/Menonna_Musulmani_Fact-sheet_Giugno-20161.pdf

Armando Salvatore, The sociology of Islam. Knowledge, Power and Civility, Wiley Blackwell, Chichester 2016.

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