Come si trasforma l’Islam dalla terra d’origine all’Europa delle migrazioni

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:28

È iniziato lunedì 5 febbraio in un tribunale di Bruxelles il processo di Salah Abdeslam, terrorista francese naturalizzato belga di origini marocchine, unico sopravvissuto del commando jihadista che nel novembre 2015 ha attaccato Parigi. Tra gli attentatori c'era anche Abdelhamid Abaaoud, un altro belga. Di lui e del suo rapporto con le tradizioni del Paese di origine avevamo scritto qui.

Dopo gli attacchi di Parigi si è scritto molto su Abdelhamid Abaaoud, il giovane considerato la mente degli attentati e rimasto ucciso nel blitz di Saint-Denis del 18 novembre scorso. Se ne sono ricostruite la biografia, dalla nascita nel quartiere di Molenbeek, a Bruxelles, all’adesione allo Stato islamico, e la personalità di piccolo delinquente, diviso tra il jihad e le belle donne.

C’è però un aspetto della sua vita che è rimasto nascosto e merita di essere raccontato: è la storia delle sue origini. Oltre che come “al-Beljiki” (il belga), Abaaoud era noto anche con il soprannome di al-Sussi, cioè proveniente dal Suss, la regione dell’estremo sud-ovest marocchino. Ripercorrere le vicende di questa terra e dei suoi migranti significa osservare la metamorfosi dell’Islam nel corso dell’ultimo secolo. Nonostante la collocazione periferica, il Suss è stato culla di dinastie e punto di partenza delle grandi epopee politico-religiose che, generate dall’incontro tra coesione tribale e fervore religioso, ispirarono a Ibn Khaldun la celebre teoria sulla dialettica tra civiltà rurale e civiltà urbana.

Quando tra Ottocento e Novecento la pressione coloniale francese si estende al Marocco, le tribù del sud si rivoltano. Anche allora risuona la chiamata al jihad, così come in passato era avvenuto tante volte in occasione delle aggressioni esterne e in particolare di quelle portoghesi. Anche allora si risvegliano fantasie millenariste. E anche allora dissidenza tribale e lotta “sulla via di Dio” si fondono in un unico movimento, secondo una dinamica non troppo diversa da quella che sta trasformando la storia e la geografia di Iraq e Siria. Eppure, all’epoca il jihad è diverso dal jihadismo odierno.  È una guerra difensiva con i suoi codici e i suoi limiti e non la via d’accesso privilegiata a un’esperienza più autentica all’Islam.

“Salafismo dotto”

I francesi riescono a “pacificare” il Suss e a imporre il loro dominio. È l’inizio di un profondo cambiamento allo stesso tempo politico e culturale. Questa evoluzione è annotata nell’opera di Muhammad Mukhtar al-Sussi (lo stesso “cognome” del nostro jihadista belga), un importante letterato nato nel 1900 in una famiglia di esperti di scienze religiose, che in una monumentale raccolta enciclopedica sulla storia della sua regione descrive tra le altre cose il passaggio da una società permeata dalla religione e dai suoi valori alla pervasività del nuovo ordine coloniale, con le sue macchine, i telefoni, le nuove fogge nell’abbigliamento, le nuove tecniche di coltivazione.

A questo stile di vita al-Sussi oppone il recupero “salafita” della Tradizione islamica (con la T maiuscola) e il conseguente abbandono delle tradizioni (con la t minuscola), che nel corso del tempo si sono aggiunte all’Islam corrompendolo: culti ancestrali, superstizioni, venerazione di santi, che pure tanta importanza hanno nella vita della popolazione. Ma in al-Sussi questa Tradizione non si trova né in una immaginaria età dell’oro, né in un’imitazione ossessiva del comportamento dei primi musulmani, bensì nella pratica storica di uomini e istituzioni della sua “dotta” terra (così la definisce in uno dei suoi libri).

Oltre al radicamento religioso descritto da al-Sussi, un altro fenomeno caratterizza la società del Marocco sud-occidentale, ricco di sapienza e devozione, ma povero di risorse: la consistente emigrazione verso le città della costa atlantica e del nord del Marocco, un’emigrazione dalla spiccata dimensione familiare e solitamente temporanea.

Chi parte lo fa con l’aiuto di un fratello o un parente e sa che un giorno tornerà a casa, avvicendandosi con altri della famiglia. Inoltre, anche chi rimane lontano per molto tempo, cerca moglie nella tribù natale, anche se poi quest’ultima raramente accompagna il marito. La fedeltà al paese d’origine garantisce il mantenimento di un legame forte con la sua cultura e anche con la sua vita religiosa.

Con la costruzione di nuove vie di comunicazione, il progressivo sviluppo di un’economia moderna e i contatti con l’Europa, l’emigrazione dal Suss assume proporzioni più ampie e si estende oltre i confini del Marocco, arrivando in particolare in Francia, Belgio, Olanda. Nel caso belga, i primi arrivi datano degli anni ’20. Poi, nel 1964, un accordo belga-marocchino segna l’inizio di un flusso regolare e regolamentato. Da quanto sappiamo, il padre di Abdelhamid si trasferisce negli anni ’70.

“Salafismo ignorante”

Per molti anni la presenza marocchina non pone particolari problemi di convivenza. Poi però le cose cambiano: l’Arabia Saudita promuove a Bruxelles la costruzione di una moschea e di un centro islamico che, nell’indifferenza iniziale delle autorità locali, diventano un centro d’irradiazione della predicazione salafita. Altre moschee, di varia affiliazione, contribuiscono a diffondere nella capitale belga un Islam rigorista ed esclusivista. Se quello di Mokhtar al-Sussi era una salafismo “dotto”, questo è “ignorante”, per riprendere la formula con cui Olivier Roy descrive la religiosità del mondo globale: una visione del mondo ipersemplificata ma chiara, molte norme e poca cultura.

Perfetta per chi come Abdelhamid, l’attentatore di Parigi, è smarrito, sradicato, e magari ha subito l’effetto estraniante di una società ipersecolarizzata. Non sappiamo esattamente dove Abelhamid sia stato sedotto da questo Islam. Probabilmente in carcere, più che alla moschea, anche se questo in fondo non importa poi molto. Certo è che non è lo stesso Islam di suo padre e dei suoi nonni. In un libro del 2011 lo studioso tunisino Hamadi Redissi scriveva che “l’islam è in preda alla confusione perché ha perso la sua identità rigida e non perché l’ha conservata”. Questo dice la storia di Abdelhamid Abaaoud, jihadista belga.