Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:49:39

Nonostante i fraintendimenti e le strumentalizzazioni, dunque, la lectio magistralis di Joseph Ratzinger a Ratisbona sembra aver dato l’avvio a uno scambio di messaggi che non va sottovalutato. Come sappiamo, le autorità islamiche sono spesso influenzate dai regimi dei paesi in cui hanno sede, ma in questo caso sembra che l’esigenza di non interrompere una comunicazione a livello religioso abbia avuto il sopravvento rispetto sia a possibili reticenze sia a orientamenti più o meno imposti. Infatti, il documento non si attarda sugli spunti polemici che avevano predominato nell’intervento precedente, ma cerca di risalire all’essenza delle rispettive tradizioni per individuarne gli elementi comuni. Se abbondano le citazioni coraniche, non mancano quelle bibliche, con uno stile forse un po’ ridondante - tipico della prosa araba – ma sostanzialmente onesto e fondato sulla necessità della ricerca di armonia tra le due principali confessioni religiose mondiali. È vero che il messaggio non si rivolge esplicitamente anche agli ebrei, enumerati come i cristiani tra le ‘genti del libro’ dal credo islamico, ma da un lato è comprensibile che non si sia voluto allargare (e complicare) una tematica già di per sé delicata e del resto ben contestualizzata dalla ricorrenza e dall’altro colpisce favorevolmente che nelle citazioni bibliche non sia stato omesso pretestuosamente l’incipit che si rivolge esplicitamente a loro: «Ascolta, Israele…» , termine quest’ultimo persino tabù in certi ambienti. Anche nel linguaggio traspare uno sforzo di avvicinamento, laddove si sottolineano i due comandamenti principali che accomunano il messaggio ebraico-cristiano e quello musulmano: amore di Dio e amore per il prossimo. Elementi quali l’assoluto monoteismo, il timore e l’obbedienza dovuti al Creatore – assi portanti della concezione islamica - non vengono dissimulati per compiacenza, ma riletti in una prospettiva universale che tenta di oltrepassare differenti sensibilità e forme diverse di espressione col chiaro intento di far emergere tendenze e preoccupazioni condivise. L’unico punto debole sembrerebbe il fatto che si tratta evidentemente di un documento pensato e scritto in funzione dei suoi destinatari, ma sarà anche nostro compito dare ad esso il dovuto rilievo perché pure nel mondo islamico sia conosciuto e valorizzato, specialmente laddove sono presenti minoranze discriminate e varie forme di tensioni se non di conflitti che coinvolgono la sfera etnico-religiosa. Limitarsi a dire che si poteva fare di più o, ancor peggio, snobbare del tutto queste parole pretendendosi i soli autentici detentori di capacità critiche ed autocritiche significherebbe lasciar cadere un’opportunità che invece consapevolezza e senso di responsabilità indurrebbero a valorizzare, nell’interesse comune. Chiudiamo queste brevi riflessioni con la citazione di un passo letterario emblematico a tale proposito: «Quelle razze che vivevano porta a porta da secoli non avevano avuto mai né il desiderio di conoscersi, né la dignità di sopportarsi a vicenda. I difensori che, stremati, a tarda sera abbandonavano il campo, all’alba mi ritrovavano al mio banco, ancora intento a districare il groviglio di sudicerie delle false testimonianze; i cadaveri pugnalati che mi venivano offerti come prove a carico, erano spesso quelli di malati e di morti nei loro letti e sottratti agli imbalsamatori. Ma ogni ora di tregua era una vittoria, anche se precaria come tutte; ogni dissidio sanato creava un precedente, un pegno per l’avvenire. M’importava assai poco che l’accordo ottenuto fosse esteriore, imposto, probabilmente temporaneo; sapevo che il bene e il male sono una questione d’abitudine, che il temporaneo si prolunga, che le cose esterne penetrano all’interno, e che la maschera, a lungo andare, diventa il volto. Dato che l’odio, la malafede, il delirio hanno effetti durevoli non vedo perché non ne avrebbero avuti anche la franchezza, la giustizia, la benevolenza. A che valeva l’ordine alle frontiere se non riuscivo a convincere quel rigattiere ebreo e quel macellaio greco a vivere l’uno a fianco all’altro tranquillamente?». (M. Yourcenar, Memorie di Adriano)