L’inclusione della teologia musulmana nelle università del Vecchio Continente

Questo articolo è pubblicato in Oasis 28. Leggi il sommario

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:57:38

L'enseignement universitaire.jpgRecensione di Francis Messner, Moussa Abou Ramadan (a cura di), L’enseignement universitaire de la Théologie musulmane. Perspectives comparatives, Cerf, Paris 2018

 

Uno degli aspetti più dibattuti della presenza islamica in Europa è la formazione dei musulmani, ritenuta, non a torto, una strada obbligata per la costruzione di un Islam europeo. Il libro curato da Francis Messner e Moussa Abou Ramadan, entrambi professori all’Università di Strasburgo, analizza questa tematica dalla prospettiva particolare, ma centrale, dell’insegnamento universitario della teologia islamica. Infatti, se sono numerose le iniziative messe in campo dai musulmani stessi per garantire la trasmissione intergenerazionale della fede, a partire dai corsi impartiti all’interno delle moschee, è chiaro che “il caso serio” della formazione è soprattutto la possibilità di integrare le scienze islamiche in un percorso di studi superiori.

 

 

 

In generale sono due i motivi per cui questo tipo di formazione è ritenuto decisivo: da un lato vi sono considerazioni di ordine pubblico, ben riassunte nella formula secondo cui «un imam vale due gendarmi» (p. 154), come scrive Jean-François Husson parafrasando una battuta sul ruolo dei parroci attribuita a Napoleone; dall’altro la necessità di garantire ai musulmani una “cura spirituale” adeguata, radicata nel patrimonio islamico, ma capace di fare i conti con il contesto europeo. Il panorama attuale, tuttavia, si distingue più per le carenze che per i successi. Trattando il caso spagnolo, Ferreiro Galguera scrive che «ci sono corsi di insegnamento dell’Islam nelle scuole pubbliche (gestite dallo Stato). Ci sono anche cappellani musulmani negli ospedali e nelle carceri. Sappiamo inoltre che l’Islam fa parte integrante della nostra storia e della nostra cultura. Ma manchiamo di studi seri e approfonditi di teologia islamica. Non abbiamo neppure gli strumenti legali per regolamentarli. E temo che si tratti di una lacuna comune a numerosi altri Stati membri dell’Unione europea» (p. 147). Effettivamente, il primo ostacolo con cui devono misurarsi i progetti di inclusione delle scienze islamiche tra gli insegnamenti universitari è lo statuto problematico delle discipline teologiche, e in particolare degli insegnamenti “confessionali”, in diversi Stati    europei. Ma a questa difficoltà d’inquadramento si aggiunge la frammentazione interna delle comunità islamiche europee, che complica l’individuazione di interlocutori con i quali elaborare percorsi comuni.

 

Il primo problema è meno rilevante nei sistemi che accolgono la teologia nelle università pubbliche: è il caso per esempio della Germania, dove tra il 2011 e il 2012 sono nati cinque istituti incaricati di insegnare le scienze religiose islamiche, ospitatati nelle Facoltà di Teologia delle Università di Tubinga, Osnabrück, Münster, Francoforte e Norimberga. Tuttavia, come spiega Omar Hamdan, uno dei professori a cui è stato assegnato questo tipo d’insegnamento a Tubinga, «i metodi d’insegnamento dispensati negli istituti di Scienze della sharī‘a occidentali si distinguono da quelli praticati in Oriente, dove l’acquisizione avviene attraverso un apprendimento mnemonico e con una trasmissione diretta delle informazioni e delle conoscenze» (p. 243). Un programma simile è nato in Olanda, in particolare alla Vrije Universiteit di Amsterdam, dove, nel quadro di un Centro di Teologia islamica annesso alla Facoltà di Teologia, sono stati attivati una licenza di tre anni in teologia islamica e un master sull’accompagnamento spirituale dei musulmani. Questi corsi prevedono moduli di discipline islamiche, ai quali si aggiungono «corsi contestuali» sull’Islam e la cultura europea (p. 191). Tuttavia, anche negli ambienti giuridici che agevolavano questo tipo di approccio, non sono mancate le difficoltà. Descrivendo il percorso che ha portato al progetto della Vrije Universiteit, Yaser Elletthy afferma che la rappresentanza dei musulmani è «effettivamente un problema» (p. 183), e che «l’insegnamento della teologia islamica in un contesto universitario occidentale comporta numerose sottigliezze rispetto allo stesso insegnamento nel mondo musulmano» (p. 192).

 

In altri contesti si sono battute strade diverse. È avvenuto per esempio in Belgio, con il progetto di formazione continua in “Scienze religiose: Islam” organizzato tra il 2007 e il 2015 dall’Università cattolica di Lovanio. Qui, come spiega Abdessamad Belhaj, si è voluto contribuire all’elaborazione di una «teologia musulmana universitaria e riflessiva» (p. 216), fondata sulla convergenza e sulla fecondazione reciproca tra scienze umane e scienze islamiche, più che sul loro semplice accostamento. Una visione simile è condivisa da Mehdi Azaiez, che nel suo insegnamento di teologia islamica all’Università cattolica di Leuven (la controparte fiamminga di Louvain) scommette sui metodi critici moderni, in particolare per accostarsi al testo coranico.

 

Un’ulteriore possibilità è quella degli Istituti Superiori islamici. Si tratta in questo caso di enti privati, nati a partire dagli anni ’90, in particolare in Francia, per rispondere «alle attese della gioventù musulmana in cerca di una formazione islamica che seguisse le strade del ritorno del religioso e dei processi identitari» e al «bisogno urgente di formazione dei quadri religiosi, in un contesto di islamizzazione o di reislamizzazione di una parte della popolazione francese» (p. 285). Tra di essi si distinguono in particolare l’Istituto al-Ghazali della Grande Moschea di Parigi e l’Istituto Europeo di Scienze umane, sempre a Parigi. Come segnala Samir Amghar, con l’eccezione dell’Istituto al-Ghazali e di pochi altri, questi centri «veicolano un Islam fortemente segnato dall’ideologia dei Fratelli musulmani», e, nonostante i tentativi di adattamento al contesto europeo, rimangono soprattutto luoghi di diffusione di una «normatività islamica» (p. 302).

 

La varietà di queste esperienze mostra che ancora non si è affermato un modello e suggeriscono che difficilmente se ne affermerà uno. Gli esperimenti tentati riflettono infatti la pluralità allo stesso tempo della presenza islamica in Europa e degli assetti istituzionali dei Paesi in cui i musulmani vivono. 

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Michele Brignone, Dove si formano i musulmani europei, «Oasis», anno XIV, n. 28, novembre 2018, pp. 135-137.

 

Riferimento al formato digitale:

Michele Brignone, Dove si formano i musulmani europei, «Oasis» [online], pubblicato il 22 novembre 2018, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/dove-si-formano-i-musulmani-europei.

Tags