Il ruolo delle scuole teologiche tradizionali contro le falsificazioni dell’estremismo
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:56:27
Spesso mi viene chiesto: “Ma dove sono i leader musulmani e cosa fanno contro il terrorismo, per la pace e per la difesa dei cristiani in Medio Oriente?”. Avete mai sentito parlare del Forum di Abu Dhabi per la Pace nelle società musulmane? Si tratta forse della più recente piattaforma di cooperazione internazionale tra rappresentanti istituzionali, teologi, giuristi, docenti universitari, intellettuali e maestri spirituali del mondo islamico. L’ultimo appuntamento si è tenuto a dicembre 2016. La prima riunione annuale del Forum si è svolta nel marzo del 2014 promossa sempre nella capitale degli Emirati Arabi Uniti dal ministro degli Esteri shaykh ‘Abd Allah bin Zayed al-Nahayan e dallo shaykh ‘Abd Allah bin Bayyah. Occorre soffermarsi su questo anziano maestro spirituale, nato e cresciuto in Mauritania, e poi trasferitosi a Tunisi dove ha perfezionato gli studi giuridici. Lo shaykh ‘Abd Allah bin Bayyah ha prima ricoperto la carica di ministro dell’Educazione, poi di ministro di Giustizia e infine di vice presidente della Repubblica della Mauritania. La sua straordinaria preparazione dottrinale gli è stata riconosciuta persino nel regno dell’Arabia Saudita, dove è stato titolare della cattedra di studi sul Corano e la lingua araba presso l’università del Re ‘Abd al-Aziz di Gedda e nominato a presiedere alcuni dei più noti consigli internazionali di carattere giuridico. La sua formazione è sempre stata accompagnata da un riferimento preciso alla spiritualità e all’ortodossia degli ordini contemplativi del sufismo. Testimone del sapere interiore ed esteriore dell’Islam, shaykh Bin Bayyah ha sempre promosso l’opportunità di una rappresentanza pubblica di questa identità dottrinale a beneficio del risveglio intellettuale del mondo musulmano e in antitesi agli estremismi violenti. Coerentemente con questa prospettiva, Bin Bayyah era già attivamente presente tra i sapienti del primo storico documento di concertazione intra-religioso tra le diverse scuole e rappresentanze musulmane mondiali (The Amman Message, 2004) e anche in quello sul dialogo tra cristiani e musulmani (A Common Word, 2007), così come nella “Lettera ad al-Baghdadi” (2014), nella quale smonta le pretese di giustificazione teologica del sedicente califfo dell’Iraq e della Siria. Non è un caso quindi se, a partecipare ogni anno ad Abu Dhabi al Forum per la Pace nelle società musulmane, ci siano proprio i rappresentanti internazionali di questo percorso di concertazione, sensibilità e declinazione dottrinale avviato ad Amman nel 2004 anche in risposta alla tragedia dell’11 settembre 2001 e per salvaguardare l’autenticità dell’identità spirituale e dottrinale della civiltà islamica dal terrorismo di al-Qaeda e dalla corruzione dei movimenti politici. Dal 2014, il Forum ha visto la partecipazione del Principe Ghazi bin Muhammad bin Talal della famiglia hashemita del regno di Giordania, del direttore dell’ISESCO prof. ‘Abd al-Aziz Uthman al-Twaijri, del ministro degli Affari religiosi del regno del Marocco, prof. Ahmad Tawfiq, dello shaykh della moschea di al-Azhar del Cairo, prof. Ahmad Tayyeb, oltre al consolidato network di intellettuali musulmani già conosciuti in Occidente e in Vaticano come Din Shamsuddin dall’Indonesia, Muhammad Sammak dal Libano, Sayyed Ata Allah Mohajerani dall’Iran, Faisal bin Muammar del KAICIID di Vienna, Aref Nayed dalla Libia, Mustafa Sherif dall’Algeria, Yahya Pallavicini dall’Italia, Hamza Yusuf Hanson dagli Stati Uniti, Hisham Hellyer dal Regno Unito, ‘Abdellah Boussouf dal Belgio e Muhammad Bechari dalla Francia. Ciò che colpisce di questa occasione di scambio tra autorevoli musulmani provenienti dalle varie regioni del mondo è anche l’eterogeneità di alcune interpretazioni, ad esempio, dal mufti Taqi Uthmani del Dar al-Ulum in Pakistan al rettore Muhammad al-Ruki della prestigiosa università Qarawiyyin di Fes, dal ministro degli Affari islamici del Sudan ‘Imar Mirghani Husayn al segretario generale della Lega islamica mondiale Muhammad Abd al-Karim al-‘Issa dal regno dell’Arabia Saudita. C’è in questo universo un riflesso della complessità e dell’unità nella diversità della comunità islamica contemporanea. Una differenza non soltanto di culture e lingue e nazionalità ma anche di sfumature di forme e priorità interpretative del diritto, della politica, dell’educazione e della spiritualità islamica. Il tutto diventa ancora più difficile e articolato se si affrontano le relazioni tra tradizione e modernità, Oriente e Occidente, nazionalismi confessionali e Stato laico, tutela identitaria e collaborazione interculturale, dialogo interreligioso e proselitismo, diritti umani e doveri religiosi. Ma non è forse simile anche in ambito ebraico e cristiano, indù e buddhista? Non possiamo negare che a cementare questa nuova fase di concertazione internazionale contribuisce l’urgenza condivisa di reagire tutti insieme alla degenerazione del fondamentalismo e del terrorismo che abusa della forma islamica per destabilizzare l’intero sistema internazionale, compreso il mondo islamico, uccidere migliaia di innocenti tra i quali molti musulmani e sedurre migliaia di giovani con la falsa promessa di farli diventare eroi del jihad. Interessante, in questa prospettiva, l’invito accolto quest’anno a intervenire come relatori nel Forum dal consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la prevenzione alle atrocità criminali, Adam Dieng, e dall’inviato speciale del presidente della Commissione europea per la promozione della libertà religiosa al di fuori dell’Unione europea, Jan Figel. Quattro considerazioni conclusive: l’importanza di un network interdisciplinare, il contributo fondamentale dei referenti musulmani occidentali, il rinnovamento della cooperazione interreligiosa e il valore aggiunto delle scuole spirituali. L’importanza della interdisciplinarietà è motivata dalla coscienza che il male del terrorismo colpisce contemporaneamente vari settori della vita pubblica e soltanto tramite un coordinamento tra la società civile, gli esperti nei campi dell’educazione e della sicurezza, i referenti religiosi e le istituzioni nazionali e internazionali si potrà affrontare seriamente ed efficacemente questa minaccia. Il ruolo dei musulmani occidentali assume in questa situazione un ruolo doppiamente utile. Da un lato, possono rappresentare una sintesi costruttiva tra identità islamica e contesto europeo fungendo da antidoto a quanti pretendono mettere in conflitto le due realtà. Dall’altro lato, i musulmani occidentali sembrano poter contribuire all’interno della comunità islamica in Europa ma anche in Oriente a una relazione più armoniosa della coerenza della sensibilità religiosa con le varie correnti del pensiero secolarizzato, evitando le confusioni e le strumentalizzazioni del radicalismo. A gennaio 2016, il network del Forum per la Pace nelle società musulmane ha partecipato all’organizzazione di una tappa di grande rilievo ospitata dal regno del Marocco a Marrakesh. In questa circostanza, la piattaforma si è allargata con la presenza di rabbini ed esponenti della comunità ebraica internazionale, vescovi e sacerdoti cristiani del Cristianesimo cattolico, ortodosso e protestante e ha prodotto la Dichiarazione di Marrakesh nella quale si ribadisce la libertà e la dignità di ogni minoranza religiosa e culturale presente nel mondo islamico. Sviluppare alcune corrispondenze del dialogo intra-religioso anche a beneficio del dialogo inter-religioso significa assumersi la funzione di tutelare non soltanto la specificità della propria religione ma anche il diritto di ogni credente e creatura e cittadino nel mondo. Infine, la conoscenza e il rispetto dell’identità autentica della religione islamica dalle falsificazioni dell’estremismo non può prescindere dal concorso dei maestri e delle correnti spirituali e scuole teologiche tradizionali, che assicurano l’educazione e la coerenza con lo spirito della fede piuttosto che la propaganda del formalismo. Il contributo di questi sapienti con i loro consigli sulle linee guida per le politiche di gestione della libertà e del pluralismo religioso diventa significativo soprattutto nell’adattamento ai tempi e ai contesti della dimensione del sacro per la coesione sociale, la crescita della coscienza interiore e il nobile ruolo della famiglia dei credenti sinceri e virtuosi.