Un giornalista arabo rimpiange il passato cosmopolita delle metropoli arabe e scrive: “Proibire il burkini non è una vittoria della miscredenza, così come consentirlo non è una vittoria dell’Islam”

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:35

Pubblicato in «al-Watan», 1/9/2016. Traduzione dall’arabo di Michele Brignone

Dichiaro in primo luogo la mia parzialità: preferisco lo sconcio bikini, e in secondo luogo il mio attaccamento per tutte le forme di bellezza della nostra lunga storia e in particolare per l’abbigliamento della donna egiziana nella sua età dell’oro, prima dell’invasione wahhabita del Paese.

Quando vedo i film dei bei tempi andati, mi addolora pensare al nostro caro Egitto, con le sue strade pulite e suggestive, le statue che fastosamente abbellivano le città. Esprimo la mia meraviglia per il decoro e l’eleganza di tutti, persone benestanti e persone semplici […]. Quanta gioia mi davano l’eleganza, la grazia e l’educazione che c’erano nei rapporti tra le persone e che piacere provavo ad ascoltarle quando si salutavano con un “buona giornata”! (Naharek sa‘id), loro che trattavano le donne da signore e gli uomini da pascià. La convivenza era fondata sull’amore e sulla magnanimità tra tutte le religioni e le nazionalità e tutti vivevano in pace e sicurezza all’ombra di questa patria tollerante.

Finché un giorno, alla metà degli anni 70, hanno iniziato a diffondersi nel nostro Paese le idee wahhabite ed è iniziato il tempo dei veli. È stata soffocata la brezza leggera che avvolgeva la nostra vita di letizia e bellezza e sono stati rimossi dalle nostre strade i tanti colori che davano gioia agli occhi e al cuore […] Così è andata spegnendosi la nostra vita briosa, che anche le nostre voci contribuivano a rendere bella: l’appello alla preghiera, che lanciato dagli shaykh ‘Abd al-Basit e Mustafa Isma‘il ci ammaliava, è diventato roba da urlatori, e abbiamo perso la sua dolcezza e la sua melodia. Dalle nostre strade sono scomparse la bellezza e la creatività e al loro posto si sono insediate la volgarità e la rozzezza. La generosità delle relazioni è stata sostituita dalla mancanza di gusto, e la società ha iniziato a contrastare l’eleganza e la bellezza. L’empatia e la compassione si sono eclissate e oggi abbiamo paura di chi una volta ci era compagno di vita.

Quanto alla donna e alla sua immagine di una volta, con la sua bellezza, il suo splendore e la sua seduzione, mi costerna pensare al declino e alla regressione di cui è diventata vittima. Mi stupisce pensare quanto la donna egiziana si sia allontanata dalla sua bellezza, dalla sua grazia, dal suo fascino, dalla sua eleganza, dalla sua dolcezza a causa dell’abbigliamento wahhabita, che le ha sottratto la sua femminilità con il pretesto del pudore e dell’occultamento, che però non la riparano e non la difendono dalle molestie e dai molestatori. Anzi, nell’era del wahhabismo le molestie sono aumentate, e sotto i suoi veli si è diffusa la depravazione. La volgarità ha invaso le nostre strade e le nostre case, trasformando le nostre donne in corpi ambulanti, privi di armonia. Nel passato nessuno si sarebbe azzardato a molestare una donna che indossasse la minigonna o il costume da bagno, naturalmente nei limiti imposti dalla decenza. Il massimo della molestia era una parola gentile sull’eleganza o sulla bellezza, ma dalla nostra bocca non usciva mai una parola oltraggiosa […]

Ma per tornare al nostro tema, e cioè quell’abito in stile Isis che è il burkini e che vuole competere con il bikini come se gli fosse paragonabile per eleganza e bellezza, vorrei fare alcune considerazioni partendo da una domanda: perché la donna musulmana, che, persuasa dall’autorità religiosa, ha scelto il pudore e la castità, lasciando alle donne miscredenti la licenza, la sconcezza e l’impudenza, insiste a frequentare insieme a loro le spiagge della nudità e della seduzione? Chi ha rinunciato a questo mondo e alle sue meraviglie, e desidera solo il gradimento di Dio, non deve forse lasciare le spiagge sconce a chi ha scelto invece il fuoco dell’inferno? […]

O donna musulmana, il mio consiglio, senza ambiguità o ipocrisia, è questo: non osteggiare i Paesi in cui puoi godere di una libertà che non ti è riconosciuta nel tuo Paese musulmano; e non sottrarti al divieto di questo abbigliamento adducendo che si tratta di una guerra contro l’Islam. Proibirlo non è una vittoria della miscredenza, così come consentirlo non è una vittoria dell’Islam e dei musulmani. Non fornire alle correnti estremiste l’occasione di sfruttare la tua posizione ostile […] Non è questo il campo in cui combattere. Il vero campo di battaglia è quello della scienza, della cultura, della tecnologia, della sussistenza per i popoli, e non il bikini o il burkini o se la Francia o altri Paesi lo proibiscono. […].

Domando: ti hanno proibito di indossare l’hijab? Aggiungo che ti hanno proibito di portare il niqab nei luoghi pubblici per ragioni di sicurezza. E ti chiedo: ai seguaci delle altre religioni hanno proibito di esibire i propri simboli religiosi nelle scuole statali? Ti rispondo di sì. Questo Stato rispetta il proprio sistema, e questo è il messaggio che ti lascio.

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