L’incontro di Bari tra i Vescovi dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum si richiama all’impegno del “Sindaco Santo”. Perché, e in che cosa, la sua proposta è ancora attuale

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:17

Si apre oggi a Bari l’incontro “Mediterraneo Frontiera di Pace”, che su iniziativa della Conferenza Episcopale italiana riunisce circa 60 vescovi tra i Paesi rivieraschi del Mare Nostrum. Riconoscendo l’urgenza di riflettere sulle tensioni e sui drammi da cui è segnata quest’area, l’evento si situa esplicitamente nel solco dell’azione intrapresa da Giorgio La Pira negli anni ’50 e’60 del secolo scorso, quando il “Sindaco Santo”, su suggerimento dell’allora re del Marocco Muhammad V, fece di Firenze un crocevia di incontro e dialogo tra i popoli affacciati su quello che lui definiva il «Lago di Tiberiade allargato».

 

Per capire che cosa è in gioco oggi, può essere utile ripercorrere alcuni aspetti di quell’esperienza. Lo farò tornando a una conferenza tenuta a Cagliari nel 1973 – e che abbiamo ripubblicato in uno dei primi numeri di Oasis – in cui lo stesso La Pira riassumeva i principi ideali del suo impegno. È un testo che ho riletto più volte negli ultimi anni, restando in ogni occasione sorpreso dalla distanza che sembra irrimediabilmente separarlo dalla situazione e dal linguaggio attuali. Parlando dell’origine delle sue iniziative, La Pira affermava di non aver avuto «mai altro scopo che quello di aiutare l’emergenza storica dei popoli arabi […] e di aiutarli nel loro processo di liberazione e di emancipazione storica, sociale, economica e politica dalle potenze occidentali». A impressionare in questo contesto sono tra le altre cose nomi e aneddoti riportati dall’ex Sindaco di Firenze, come l’episodio della telefonata che egli fece dall’ambasciata egiziana di Roma insieme a Taha Hussein e a Fanfani per esprimere a Nasser la sua vicinanza nel momento drammatico della crisi di Suez nel 1956. Difficile non percepire immediatamente uno stridente contrasto tra l’Italia di ieri e di oggi. Difficile anche non constatare la disastrosa evoluzione di molti Paesi nordafricani e mediorientali.

 

La Pira guardava con speranza alla nascita degli Stati arabi indipendenti: l’Egitto di Nasser, appunto, l’Algeria dell’F.L.N., la Tunisia di Bourguiba, il Marocco di re Muhammad V… Oggi l’Egitto è ripiombato nell’autoritarismo più spietato (una deriva iniziata proprio da Nasser) dopo la parentesi infelice del governo islamista; in Algeria ricorre proprio in questi giorni il primo anniversario delle proteste che hanno messo in discussione il regime nato dalla lotta di liberazione nazionale; la Tunisia fatica a trovare una strada dopo la rivoluzione del 2010-2011 e il Marocco, che pare godere di una salute migliore dei suoi vicini, deve ancora fare i conti con contraddizioni e profonde disuguaglianze.

 

Che cosa può significare oggi aiutare i popoli arabi nel loro «processo di emancipazione storica»? Il pensiero corre spontaneamente alla domanda di libertà, giustizia e dignità emersa prepotentemente nel 2011 e tornata a farsi sentire nel corso dell’ultimo anno, dal Libano all’Algeria e all’Iraq. Su questo tema è opportuno un confronto tra i Vescovi. Chiese e comunità cristiane sono infatti divise tra chi sostiene l’aspirazione delle piazze arabe a liberarsi da regimi dispotici e corrotti, e chi invece vede in questi ultimi un male minore rispetto al caos e alla violenza che la loro caduta genererebbe.

 

Colpisce poi l’anno in cui La Pira trae il bilancio della sua azione, confermandone la validità: il 1973, il momento in cui si apre un nuovo ciclo storico, segnato dall’ascesa dell’islamismo finanziato dai petrodollari. Il Sindaco di Firenze, che credeva nella missione comune delle tre religioni abramitiche, era preoccupato dall’incombere della minaccia nucleare e non immaginava forse gli effetti dirompenti che il settarismo e l’integralismo religioso avrebbero avuto sui Paesi del Mediterraneo.

 

Alla luce di tali cambiamenti e delle devastazioni create dalle recenti crisi, l’ambizione dei cristiani può apparire più modesta. Oggi nessuno avrebbe probabilmente la pretesa di ricavare un progetto politico direttamente dalla visione profetica di Isaia riguardo all’unità dei popoli. Né affermerebbe con la stessa convinzione di La Pira che «questa età apocalittica […] è quella in cui l’utopia diventa storia; il sogno diventa realtà». Che cosa rimane dunque del «sogno» coltivato dal politico cattolico?

 

Tre aspetti, strettamente interconnessi, mi paiono non soltanto ancora attuali, ma quanto mai necessari nell’attuale fase storica. Il primo è di carattere metodologico. Il Sindaco di Firenze fondava la sua azione su «un’idea madre, un’ipotesi di lavoro», costituita nella fattispecie da tre elementi: un giudizio sull’età «apocalittica della storia del mondo», una concezione della teleologia generale della storia e una teologia specifica della storia mediterranea. In un’epoca segnata dall’appiattimento tecnocratico della politica, è urgente recuperare la capacità e il coraggio di elaborare visioni sintetiche, che abbraccino in un solo sguardo aspetti solo apparentemente distanti gli uni dagli altri, come la teologia, l’economia, la politica.

 

In secondo luogo, c’è ancora molto da imparare dalla forte tensione ideale che, alimentata da una fede incrollabile, animava l’impegno di La Pira. Se i giudizi storici di quest’ultimo sono in parte superati, resta valida la sua visione di un Mediterraneo pacificato a partire dall’incontro tra le religioni, che ha peraltro trovato un nuovo slancio nella Dichiarazione sulla Fratellanza umana. Nel momento in cui la politica internazionale è più che mai dominata da interessi materiali e di potenza, non è ingenuo ricordare che, come insegnava Maritain, vero realismo è preferire la giustizia che genera benessere duraturo ai benefici immediati, ma effimeri, del calcolo machiavellico.

 

Il terzo aspetto riguarda in particolare i credenti. La Pira collocava le sue iniziative nel segno della collaborazione attiva ai disegni della Provvidenza. Oggi molti cristiani, soprattutto in Europa, vivono i grandi cambiamenti in atto a livello globale con rassegnato sconforto. Continuare a coltivare la speranza di Abramo (in spe contra spem) è il mandato che “il Sindaco Santo” consegna a noi e a tutti i popoli del Mediterraneo.

 

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