Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:59
A che cosa serve il dialogo tra cristiani e musulmani? La risposta, a prima vista, sembrerebbe ovvia: con i tanti fronti di tensione aperti nel mondo e spesso intrecciati a dinamiche religiose, è evidente che gli uomini di fede che hanno a cuore il futuro dell’umanità hanno un compito insostituibile da svolgere per la promozione della pace. Ma il dialogo si può fermare davvero qui? O non è forse vero che - per chi lo prende sul serio - anche “lasciarsi raccontare dall’altro” è un’esperienza quanto mai preziosa per il credente, soprattutto oggi che anche in Europa le migrazioni portano sempre di più cristiani e musulmani a vivere fianco a fianco?
Su questo specifico tema la Fondazione Oasis ha chiamato a confrontarsi lo scorso 2 ottobre al Collegio San Carlo di Milano tre voci molto significative nel campo del dialogo islamo-cristiano: il
dottor Amer al-Hafi, del
Royal Institute for Interfaith Studies di Amman (l’istituzione da dove nacque qualche anno fa l’iniziativa della lettera dei 138 saggi musulmani sul dialogo islamo-cristiano), il
professor Bassam Tibi (siriano da più di cinquant’anni in Germania dove ha insegnato relazioni internazionali divenendo il principale punto di riferimento sul tema dell’Euroislam) e
don Andrea Pacini (sacerdote dell’arcidiocesi di Torino, tra i maggiori esperti sull’Islam in Italia anche per i suoi studi condotti con la Fondazione Agnelli).
Due lingue che si completano a vicenda
Amer al-Hafi si è detto convinto del ruolo del dialogo anche nella comprensione della propria identità religiosa. “La mia esperienza di primo musulmano giordano ad aver studiato a Roma all’Angelicum - ha raccontato - mi dice che non si riesce a capire pienamente una religione senza conoscere anche l’altra. Cristianesimo ed Islam sono come due lingue che si completano a vicenda. E proprio quanto sta succedendo nel mondo, anziché allontanarci, deve spingerci a percorrere più in profondità questa strada, per purificare ciascuno la propria visione di Dio e ritrovare la sua misericordia”.
Ha rimandato a sua volta a
Nostra Aetate, il documento conciliare sul dialogo interreligioso di cui proprio in queste settimane ricorrono i cinquant’anni, don Andrea Pacini. Documento in cui si dice che “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo” nelle altre religioni. “C’è un’ipotesi positiva di fondo, anche impegnativa”, ha osservato Pacini. Ricordando anche il versante più esigente, ma forse anche più fecondo: quello del dialogo sulla spiritualità. “Gli scritti dei monaci di Tibhirine sono un grande esempio in questo senso - ha commentato. Ma per citare anche un tema specifico: io cristiano guardando un musulmano sono stimolato a ricomprendere la trascendenza di Dio. Mi aiuta a essere più fedele a Gesù Cristo, che pur essendo Colui che si è fatto prossimo a me al punto da farsi carne, resta comunque il Dio Trascendente. Ed è questo a ricordarmi che la vita di fede non è rimanere là dove sono, ma un esodo da noi stessi verso Dio”.
Identità solide capaci di riconoscersi a vicenda
Un dialogo così, però, può nascere solo da identità solide e capaci di riconoscersi a vicenda. Ed è proprio questa la principale preoccupazione espressa da Bassam Tibi, guardando al contesto di oggi. “Io di origini siriane ed esponente di quella che a Damasco era storicamente una famiglia di muftì vedo i profughi arrivare in Germania e mi chiedo: ci sarà un’integrazione vera? - ha ammonito. Nei campi profughi oggi non c’è dialogo; vedo solo imam che corrono a reclutare persone per costruire società parallele dentro i Paesi europei. E il problema non sta nell’immigrazione in sé, ma nella debolezza dell’Europa che non è più capace di affermare una sua identità forte a partire da un’idea laica di cittadinanza. Un sistema di valori - a partire da quelli della tolleranza e della parità di diritti per le donne - che sono il frutto della sua storia e che anche l’Islam, se vuole vivere in mezzo a noi, deve accettare”.
Balcani e l'uccisione dell'Islam europeo
C’è un’esperienza recente particolarmente allarmante secondo Tibi: quanto è successo nei Balcani. “La cosa più terribile avvenuta in Kosovo - ha ricordato - è stata l’uccisione dell’Islam europeo, sostituito oggi dal wahhabismo. Per questo oggi voi cristiani dovete aiutare il mondo musulmano lottando sì contro l’islamofobia, ma anche contro l’islamismo. Perché il dialogo non serve a farsi le coccole, ma a risolvere i conflitti”.
Il primo passo resta però conoscersi a vicenda. E su questo Amer al Hafi ha rivolto un appello particolare ai giovani: “Tenete gli occhi aperti - ha detto agli studenti presenti al dibattito - e prendetevi tempo per leggere. Non fermiamoci ai preconcetti, anche nel rapporto tra le religioni. La scienza ci insegna che il 97 per cento dell’universo è buio, solo il 3 per cento è illuminato dalle stelle. È un’immagine che dovremmo sempre tener presente perché la stessa proporzione può valere anche per il nostro cuore: è più ciò che non conosciamo dell’altro rispetto a quanto sappiamo. Non affrettiamoci sempre a giudicare”.
“Ad avere paure non c’è nulla di male - ha chiosato in conclusione don Pacini. Il punto è affrontarle non pensando al dialogo interreligioso sempre e solo a partire dalle situazioni più estreme. La strada maestra resta l’incontro quotidiano con le persone concrete: è da lì che nascono la conoscenza e la fiducia reciproca che permettono di superare le paure”.
Questo articolo sarà pubblicato nel numero di novembre 2015 di Mondo e Missione.