Rifiutando un laicismo intransigente, il presidente francese si è presentato come “il garante della libertà di credere e di non credere”

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:54:37

Il presidente Emmanuel Macron è stato ricevuto il 9 aprile al Collège des Bernardins, centro culturale della diocesi di Parigi in un magnifico edificio medievale restaurato, dove è stato invitato dalla Conferenza episcopale di Francia. In quest’occasione ha pronunciato un discorso di oltre un’ora che segna una svolta, se non storica, quantomeno nel modo in cui la Chiesa può collocarsi e allo stesso tempo avere uno spazio riconosciuto nella società francese.

 

Rifiutando nettamente un laicismo intransigente, che vorrebbe che tutte le religioni fossero privatizzate, emarginate ed escluse dallo spazio pubblico, il presidente si è presentato come “garante della libertà di credere e di non credere”, ma non come “l’inventore o il promotore di una religione di Stato che sostituisca alla trascendenza divina un credo repubblicano”. Ha affermato che i “legami tra la nazione francese e il Cattolicesimo sono indistruttibili”, e che “la Francia è resa più forte dall’impegno dei cattolici”. 

 

Lo scopo di Macron era chiaramente “riparare” il legame “danneggiato” tra Chiesa e Stato, non come aveva fatto Nicolas Sarkozy nel 2007 ricordando semplicemente la storia che darebbe dei diritti ai cattolici, ma affermando che “la linfa cattolica deve contribuire ora e sempre a far vivere la nostra nazione”, anche se “questo Paese continua a essere diffidente nei confronti delle religioni”. Il presidente Macron ha notato come “la politica si fosse ingegnata […] tanto a strumentalizzare quanto a ignorare” i cattolici, mentre questi si fanno portavoce di “questioni che riguardano tutti noi, tutta la nazione, e l’umanità intera”, e “nel dialogo con le altre religioni”.

 

Il presidente ha inoltre esortato i credenti a non trincerarsi in un ghetto, continuando innanzitutto ad agire, come già fanno, per alleviare la miseria in tutte le sue forme “in un momento di grande fragilità sociale”. Questa non è una visione da leader di un partito, ma da uomo di Stato consapevole di come le religioni aiutino a vivere e a volte addirittura a sopravvivere in un mondo in cui i progressi non impediscono i malfunzionamenti e favoriscono l’individualismo anziché la solidarietà. Macron ha poi esortato i cattolici a partecipare ai dibattiti, a farsi sentire, a non temere di essere “inopportuni” e porsi come “voce che sa essere scomoda”.

 

Ed è qui che il capo di Stato ha mostrato dei limiti. La Chiesa, ha detto, può fare delle “raccomandazioni” che però non devono essere “ingiuntive”. Macron ha dichiarato con fermezza che spetta alle istanze democratiche, al suo governo e infine a lui stesso deliberare ed emanare le leggi che tutti devono rispettare. Così facendo il presidente ha preso le distanze da monsignor Pontier, arcivescovo di Marsiglia e presidente della Conferenza episcopale, che nell’accoglierlo aveva sollevato il problema dei migranti e della bioetica.

 

Nel primo caso, ha precisato, occorrerà conciliare i “principi di umanità” con la cautela necessaria di fronte ai “massicci flussi” migratori. Quanto alla fecondazione assistita, le “madri surrogate” e l’eutanasia, ma anche le famiglie “allargate” e le coppie omosessuali, non si possono dare risposte semplici in nome di principi astratti. Macron ha aggiunto che la Chiesa stessa dovrebbe esserne consapevole quando accompagna persone in situazioni difficili, in cui la sfida è trovare il male minore e stabilire in maniera empirica l’essenziale da preservare.

 

È forse su questo punto che il presidente si è mostrato più audace, o innovatore, ma allo stesso tempo più frustrante. In effetti si è spinto molto più lontano dei suoi predecessori, anche di quelli che non hanno nascosto di essere cattolici praticanti, come Charles de Gaulle o Valéry Giscard d’Estaing, e non cattolici “per tradizione”, come Georges Pompidou, Nicolas Sarkozy e lo stesso François Mitterrand. In effetti si è arrischiato a menzionare ciò che, dal suo punto di vista, implica la fede dall’interno per così dire, e non soltanto dall’esterno a motivo del ruolo che essa svolge nella società. In merito ai migranti, ha fatto riferimento a Papa Francesco per giustificare quello che ha definito un “umanismo realista”, un equilibrio difficile da raggiungere e da rivedere costantemente, tra l’ideale dell’apertura incondizionata, le capacità concrete d’integrazione e la necessità di “mantenere l’ordine repubblicano”

 

Analogamente, per quanto riguarda i problemi etici posti dalle nuove tecnologie di manipolazione della vita e l’evoluzione dei costumi, il presidente ha sottolineato le tensioni che secondo lui devono o dovrebbero sentire i credenti tra le loro convinzioni e la loro visione dell’uomo da un lato, e il “reale”, il divieto di giudicare l’altro e le scommesse il cui rischio non può essere evitato, dall’altro. Questa è la ragione per cui ha concluso dicendo che “il nostro scambio non deve fondarsi sulla solidità di alcune certezze, ma sulla fragilità di ciò che ci interroga e talvolta ci getta nello sconcerto”. 

 

Questo “noi” è sconcertante. Non si può che essere toccati da quella che è indubbiamente la “confessione”, molto personale e molto ragionevole allo stesso tempo, di una spiritualità abbastanza informata sul Cristianesimo e probabilmente condivisa da molti, ma il cui fondo è una crisi perpetua, considerata normale, perfino sana, benché scomoda. Spetta ai cattolici dire fino a che punto la tensione che vivono tra il Venerdì Santo e il mattino di Pasqua li renda diversi dai non credenti che, come il presidente Macron, si dicono così vicini a loro.

 

 

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