Qualcosa è cambiato /3. Siamo in un momento provvidenziale per ritornare alle dimensioni essenziali della fede cristiana come esperienza vissuta e verificarne l'effettiva capacità di interloquire con le esigenze della condizione umana, in tutte le sue dimensioni personali e sociali. Il problema non è quello di essere occidentali o non occidentali.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:23

Gli scenari che si sono aperti dopo l'11 settembre, offrono una grande occasione ai cristiani per capire quanto sia urgente uscire dagli schemi ideologici di lettura della realtà. Tentare di comprendere il compito del Cristianesimo oggi piegandolo a uno schema è un'operazione condannata a non portare da nessuna parte. Uno sguardo al passato recente ci aiuta a capirne i motivi. Proviamo per esempio a tornare indietro di venticinque-trenta anni, e a ricordare il dibattito che fu innescato da talune "teologie della liberazione". Si presentarono come un tentativo di lettura unitaria del reale piegato a un'ideologia, in quel caso un sottoprodotto del marxismo. Una lettura che, pur attingendo a esigenze reali, le sottometteva a uno schema preconcetto. Alla fine quelle teologie sono inevitabilmente svanite, hanno esaurito ogni argomentazione: tramontata l'ideologia di base, esse non hanno saputo reggere le sfide della realtà. Che tendenze hanno sostituito, oggi, quelle correnti? Possiamo indicare sinteticamente due filoni. Da una parte, sono emerse teologie per così dire "regionali", cioè focalizzate su taluni aspetti della vita sociale ritenuti determinanti: è il caso dell'indigenismo, per chi avverte di più questo bisogno, o il femminismo, o l'ecologismo. Ancora una volta, si parte dalla percezione di un bisogno reale, come possono essere le preoccupazioni per l'ambiente, o per la condizione della donna, o delle minoranze indigene in taluni paesi. Ma la proposta resta piegata a uno schema dominante, e si tenta di subordinare la forza dell'annuncio cristiano a uno di questi moduli, che non sono in grado di interagire fino in fondo con il bisogno esistente. Il secondo filone della stagione in cui ci troviamo in questa fase storica è quello del dialogo con le religioni, quando venga letto in chiave di pluralismo religioso. Se per talune teologie della liberazione lo strumento concettuale fu un certo marxismo, nel caso delle teologie pluraliste si incontrano la fine della parabola della post-modernità relativista e certi accenti delle religioni del mondo. L'esito fondamentale di questa fusione è quello di una lettura della situazione che in pratica chiama i cristiani ad auto-relativizzare la pretesa di verità della fede. Se negli anni Settanta e Ottanta con la teologia della liberazione si cercava, tutto sommato, un modello unitario di lettura e di trasformazione socio-economica del mondo, in seguito con le "teologie regionali" si è tentato di dare risposta settoriale alle fatiche e ai problemi che urgono di più. Oggi la situazione è di una globalizzazione veramente reale, in cui emergono le dimensioni planetarie del fenomeno delle religioni: si pensi all'immigrazione a volte massiccia, alle facilitazioni nelle comunicazioni per cui anche in villaggi sperduti del terzo mondo si ha un'antenna parabolica, e a tanti altri aspetti riguardanti il mondo globalizzato. Un primo approccio superficiale a realtà del genere porta a conclusioni insoddisfacenti, come quella secondo la quale la diffusione globale delle religioni comporta l'autorelativizzazione della pretesa di verità del Cristianesimo. Se dal '500 in poi le scoperte geografiche furono l'occasione dicono alcuni di una relativizzazione geografica (si scoprivano altri popoli, l'Europa non era più il centro del mondo...), oggi saremmo in una fase in cui la presenza delle religioni costringerebbe noi cristiani a portare fino all'ultimo le conseguenze della post-modernità ridimensionando la questione della verità: siamo e non possiamo che essere una fra le altre possibilità di significato e di felicità che concorrono nell'agone pubblico. Una certa concezione di tolleranza e di dialogo come fine a se stessi sarebbero gli strumenti per portare avanti questo svuotamento della pretesa di verità che sin dall'inizio ha caratterizzato la presenza cristiana nel mondo. Occidentali e non Occidentali La tentazione diventa quindi oggi quella di affrontare il problema solo in termini di schieramento pro o contro l'Occidente nel suo rapporto con altre culture o religioni, sostituendo la vecchia analisi marxista o illuminista con altre forse più adatte. Il dato di fatto è però che né i programmi ideologici forti come quelli di trent'anni fa, né i programmi deboli come i più recenti, sono in grado di reggere la sfida della complessa vita umana personale e sociale che, malgrado tutto, grida l'esigenza di verità, eternità, giustizia. Tanto è vero che allora queste proposte fallirono, e oggi di fronte alle esigenze che l'11 settembre ha risvegliato ci si trova in un'impasse che prova che non siamo giunti a una risposta soddisfacente. Quello attuale diventa così un momento provvidenziale per ritornare alle dimensioni essenziali della fede cristiana come esperienza vissuta. La situazione, se affrontata in questi termini, ci costringe innanzitutto alla verità della nostra esperienza cristiana (conversione) e alla verifica esistenziale della sua effettiva capacità di interloquire con le esigenze della condizione umana, in tutte le sue dimensioni personali e sociali. Il primo problema che noi abbiamo non è quello di essere occidentali o non occidentali, e cristiani. Il problema essenziale è quello di essere cristiani tout court. Certamente, per quelli tra noi che sono cristiani occidentali, questo implica anche un giudizio sul rapporto che abbiamo con l'Occidente moderno e postmoderno e il suo influsso nelle altre culture e religioni, e in questo giudizio vanno integrate a pieno titolo tutte le risorse delle scienze naturali e umanistiche. Tuttavia la questione decisiva è la riscoperta in termini di esperienza di ciò che l'annuncio cristiano pone nel mondo e che riassumerei in due fattori che si richiamano a vicenda. Il primo è una concezione dell'uomo come immagine di Dio, che appare ai nostri occhi nella sua esperienza elementare come esigenza infinita di verità, di bene, libertà, giustizia, felicità. Dunque un uomo in grado di conoscere e amare la realtà, in grado di lasciarsi colpire da essa e di abbracciarla e non condannato a considerarla come illusione, come gioco delle apparenze. È questa la grandissima responsabilità che abbiamo, se vogliamo servire la nostra civiltà e dunque il rapporto e il dialogo con qualsiasi altra cultura e religione. Urge il recupero netto di questa percezione dell'umano la cui dignità risiede proprio nella sua esigenza infinita, che permette di riconoscerlo come rapporto immediato con il Mistero di Dio. La seconda dimensione è appunto la riscoperta di Cristo come avvenimento presente, la cui novità non si può dedurre da nessuno schema preconcetto di lettura del reale, sia esso filosofico, culturale o quant'altro. È riconoscibile soltanto dove accade e l'uomo in attesa è in grado di riconoscere la corrispondenza unica con questo evento quando lo incontra, straordinario eppure impensabilmente corrispondente. Quando l'iniziativa del Mistero di Dio che si è fatto uomo, Gesù Cristo, si incontra con la libertà dell'uomo storico, quello è il luogo dove come esperienza rinasce certamente l'umano, rinasce la cultura, in termini che consentono di uscire dallo steccato, dagli schieramenti, perché potenzialmente completa sin dall'origine. Da qui vengono tutte le conseguenze culturali, etiche, giuridiche, politiche. Partendo da qui si può riguadagnare la grandissima ricchezza di elaborazione di queste conseguenze che esiste in una tradizione. Nel mio caso personale essa è quella occidentale ma ovviamente ce ne sono altre, dove il Cristianesimo è stato fecondo nel declinare lo spessore personale e sociale che nasce da questo incontro unico tra l'uomo e i popoli e l'avvenimento di Gesù Cristo. Torna alla mente l'intervento di Papa Benedetto XVI quando ha fatto il bilancio del quarantesimo anniversario della chiusura del Concilio. Egli propone di uscire da una dialettica di contrapposizione ideologica dove come ideologia occidentale si può indicare quella illuminista , rifuggendo dalle inutili contraddizioni, evitando la negazione degli elementi positivi che la modernità ha veramente offerto. In questo modo risulterà anche chiaro che l'avvenimento cristiano, per la novità che porta, provoca ogni schema umano (ogni cultura umana) ad aprirsi a un'altra misura. Questa è la vera natura della "contraddizione" che la Chiesa pone nel mondo per il fatto stesso di esistere in quanto permanenza della pretesa di Cristo. La nostra responsabilità è proprio quella di testimoniare questa novità che apre le misure umane e consente di parlare con chi è della tua tradizione o di un'altra, perché sei immerso nell'unico evento nella storia che non preclude niente di ciò che è umano, di ciò che è dato agli uomini dal Creatore e che Gesù Redentore ha riscattato dai limiti che il male, il peccato, la sofferenza, la morte attestano con tragica imponenza tutti i giorni. Efficacia Umana Qual è la modalità di questa responsabilità nell'oggi? Il discorso svolto fin qui potrebbe infatti essere ancora vago. La modalità stabile con cui assolvere il compito che la Provvidenza ci assegna si può descrivere come educazione, cioè come il suscitare un soggetto umanamente compiuto in quanto partecipe dell'avvenimento di Cristo. Per raggiungere questo scopo la categoria portante è quella di testimonianza. Nella testimonianza stanno insieme il fatto che da una parte l'avvenimento non si può prevedere e dunque non si può assolutamente imporre, e dall'altra esso corrisponde radicalmente all'attesa dell'uomo. Qual è la modalità con cui oggi usciamo dai modelli ideologici di interpretazione? È la testimonianza. Possiamo venire incontro all'esigenza del mondo moderno e postmoderno, che rifiuta i grandi sistemi ideologici, a partire dall'originalità dell'evento cristiano. Il Cristianesimo ha la pretesa inconcepibile di identificare la verità con una Persona nella storia. La modalità più adatta di testimonianza sono le opere che nascono dalla fede, in campo educativo, sociale, caritativo e imprenditoriale. Esse esprimono l'iniziale risposta al bisogno che noi tutti abbiamo di un senso del lavoro, della famiglia, degli affetti, della socialità e sono in grado di venire incontro anche al bisogno degli altri e di stabilire quello spazio di scambio, di incontro, di aiuto reciproco che sono diversi dalla contrapposizione di schemi ideologici di lettura. Se l'11 settembre ci richiama a qualcosa di nuovo, è alla verità dell'evento cristiano. Oggi ci vengono tolte le illusioni che magari si potevano avere in un'altra epoca, vale a dire che cercando un modello ideologico di lettura saremo più efficaci. Mentre siamo testimoni dell'efficacia umana dei luoghi dove viene testimoniata questa novità, sia all'interno della cultura occidentale, sia nell'incontro e dialogo con altre posizioni. Per quanto riguarda infine e specificamente il dialogo religioso e la sua portata culturale, si dimostra ancora decisivo il criterio di educare per far crescere il soggetto ecclesiale. La Chiesa cattolica, per sua natura, senza aggiunte, è una realizzazione storica del richiamo vicendevole tra universalità e concretezza particolare. È nella natura stessa dell'esperienza cristiana vissuta nella Chiesa, il darsi simultaneamente, richiamandosi reciprocamente e non escludendosi, dell'appartenenza a un popolo sui generis, uno e unico in tutto il mondo, e la sua realizzazione che è sempre e comunque particolare, storicamente contestualizzata, vale a dire secondo una diversità di lingua, cultura, tradizione, eredità umana così ricca come vediamo in tutte le espressioni che nel tempo e nello spazio ha avuto la cattolicità della Chiesa. Abbiamo bisogno che questa stupefacente corrispondenza di universale e particolare, come viene realizzata nel corpo vivente della Chiesa, non venga tradita e sostituita da uno schema particolaristico (vedi i nazionalismi) o universalistico (vedi i filantropismi vari), che subentrano come prodotti succedanei di questa unità. Per questo occorre che la Chiesa sia la Chiesa ed è nostra responsabilità viverla, sostenerla e diffonderla come esperienza vissuta.

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