Una settimana di notizie e analisi dal Medio Oriente e dal mondo musulmano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:17

Nella notte tra mercoledì e giovedì si è verificato un attacco terroristico di matrice xenofoba nella città di Hanau in Germania, come ha confermato la procura che indaga sulla strage. Nove persone, per la maggior parte di origine straniera, sono rimaste uccise nei pressi di uno “shisha bar”. La Stampa ricostruisce il percorso di vita degli ultimi mesi dell’attentatore di estrema destra, Tobias Rathjen, dalla radicalizzazione online alla stesura di una lettera di rivendicazione della strage. Deutsche Welle ha scritto che questo attacco si inserisce in un preoccupante contesto di crescita dell’estrema destra violenta, che lancia una lunga ombra sul futuro del Paese, come riferisce anche il New York Times. La BBC allora si chiede se la Germania abbia fatto abbastanza negli ultimi anni per frenare l’odio nei confronti degli stranieri, mentre ISPI mette in risalto la composizione demografica della città in cui è avvenuto l’attentato: ad Hanau il 20% della popolazione è infatti di origine prevalentemente turca, curda e siriana. Limes propone a sua volta una panoramica dei cambiamenti demografici in Germania, dove ormai un terzo della popolazione ha un background migratorio.

 

 

Un nuovo atto del dramma siriano

 

In questi giorni è diventato virale il video di un papà siriano che per distrarre la figlia di quattro anni dalla tragedia della guerra ha ideato un trucco: ogni volta che cade una bomba si ride, facendo sembrare la guerra un gioco. Ma la ragione per cui la questione siriana è tornata alla ribalta nell’ultima settimana è un’altra. Nel nord del Paese si sta infatti verificando un esodo immane: sono quasi un milione i cittadini siriani che da Idlib hanno lasciato e stanno lasciando le loro abitazioni per sfuggire ai bombardamenti governativi e dirigersi verso la Turchia, che però ha chiuso il confine. Il New York Times mostra il dramma senza fine della popolazione siriana con un reportage multimediale. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, gli sfollati che stanno abbandonando il nordovest della Siria sono 823mila, come se l’intera Umbria si fosse svuotata, ci ricorda Vita.it, e la metà di questi sono bambini, la maggior parte dei quali già nati in tempo di guerra. La stessa popolazione bloccata al confine turco ha perso le speranze di un intervento esterno, come raccontano più persone sempre al New York Times. Un’altra testimonianza arriva invece da Mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo di Aleppo dei greco-melkiti, che in un’intervista a Vatican News, riferisce gli sforzi per cercare di dare un minimo di sollievo agli aleppini, che devono affrontare temperature glaciali e la svalutazione della moneta.

 

Con la sua azione il presidente siriano Bashar al-Assad, appoggiato dalla Russia, sta mettendo in atto la tattica dello “spopolamento” già utilizzata in precedenza durante il conflitto, annientando col pretesto della minaccia terroristica le ultime sacche ribelli. Le forze governative e i contingenti da Mosca hanno così quasi raggiunto Al Atarib, a circa 25 chilometri dal confine con la Turchia. Foreing Affairs ipotizza un possibile ruolo che potrebbero avere gli Stati Uniti ora: invece di usare la forza, è più semplice costringere il dittatore siriano a sedersi al tavolo dei negoziati facendo leva sulla crisi economica che sta attanagliando la Siria, al punto che Assad si trova in difficoltà perfino nel pagare le proprie campagne militari.

 

 

La vita degli uiguri al tempo del Coronavirus

 

Un video della CNN mostra le condizioni di vita degli uiguri, la popolazione musulmana turcofona dello Xinjiang, nei campi di detenzione cinese. Le persone rinchiuse sono circa 2 milioni; le ragioni per cui sono internate in quelli che la Cina chiama vocational training centers? Possedere un passaporto, avere troppi figli o lasciarsi crescere la barba. Sebbene l’internamento degli uiguri costituisca una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo, The Intercept si chiede perché se ne senta così poco parlare. Si tratta peraltro di uno dei 56 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti dal governo cinese. La loro già difficile condizione potrebbe ora essere aggravata dalla diffusione del Coronavirus, che nei campi d’internamento rischia di propagarsi con estrema facilità, come riporta The Guardian. Anche i cristiani in Cina stanno facendo i conti con la nuova epidemia. La Croix riporta alcune testimonianze.

 

 

Macron contro l’islamismo

 

In un discorso pronunciato il 18 febbraio il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che il “separatismo islamista” non ha posto sul suolo di Francia. Secondo quanto riportato da Le Figaro infatti, Macron ha dichiarato che l’islamismo è incompatibile con i valori repubblicani. Anche Le Monde riprende le stesse dichiarazioni, mettendo in evidenza che l’Eliseo non intende “stigmatizzare i musulmani”, quanto creare un Islam di Francia. France24 sottolinea la volontà del presidente di mettere fine a un programma creato nel 1977 che permette a nove Paesi (tra cui Algeria, Marocco e Turchia) di inviare imam in Francia per fornire lezioni di lingua e cultura straniera, ma che non è soggetto ad alcun controllo da parte delle autorità francesi. Slate fa quindi il punto sulla situazione dell’Islam in Francia. Quelle di Macron sono comunque dichiarazioni che non suonano nuove, visto che l’Eliseo aveva già proposto di riorganizzare l’Islam in territorio francese, secondo quanto espresso sempre da Macron in un’intervista del 10 febbraio a Le Journal du Dimanche. Un’utile sintesi delle intenzioni del presidente francese può essere letta in italiano su Agi: tra le principali, limitare i finanziamenti dall’estero per la costruzione di moschee e fissare dei chiari criteri di formazione per gli imam.

 

 

Escalation di violenza in Mali

 

È di qualche giorno fa il rapporto di Human Rights Watch che descrive l’escalation di violenza in Mali, soprattutto nei confronti dei civili, per opera dei gruppi jihadisti armati. Questo sta spingendo Bamako a cercare un accordo con i gruppi terroristici, come riporta il Financial Times. La situazione in Mali è precipitata negli ultimi tempi, ma le tensioni nel Sahel non sono nuove, tanto che da anni stazionano nell’area forze francesi, di cui parla Le Figaro. Forze che a quanto pare aumenteranno nei prossimi mesi vista la decisione dell’Eliseo di inviare altre 600 unità per ingrossare le fila dell’Operazione Barkhane. Ma anche l’Italia è presente sul territorio con dei contingenti. Tuttavia, come descrive ISPI, al nostro Paese sembra mancare una visione strategica d’insieme: se da una parte la diplomazia e la cooperazione allo sviluppo stanno dando i loro frutti, la missione Misin nel Sahel ha evidenziato delle carenze sul piano militare.

 

La presenza jihadista nel Sahel recluta soprattutto giovani ragazzi appartenenti all’etnia fulani, facendo così crescere la tensione già esistente con le altre etnie del Paese. Questi conflitti, esacerbati dai cambiamenti climatici e dalla povertà della regione, sono destinati a restare irrisolti se non si interviene con soluzioni di lungo periodo. La Comunità di Sant’Egidio ha visitato la capitale del Mali, Bamako, e ha raccontato la situazione in uno dei campi profughi, dove le diverse etnie sono tenute separate per evitare scontri.

 

 

IN BREVE

 

Libia: secondo l’ultimo rapporto stilato dalla Munich Security Conference il contesto libico rischia di diventare “una nuova Siria”.

 

Afghanistan: dopo un lunghissimo spoglio, Ashraf Ghani è uscito come vincitore dalle ultime elezioni, tuttavia la situazione del Paese resta ancora in bilico, come racconta The Guardian.

 

Turchia: l’imprenditore e filantropo Osman Kavala è stato riarrestato dal governo turco. La CNN dà un resoconto delle proteste di Gezi Park del 2013 in cui Kavala era coinvolto.

 

Iran: oggi venerdì 21 febbraio si tengono le elezioni presidenziali in Iran. Avvenire descrive cosa ci si potrebbe aspettare da questa tornata elettorale, mentre questa infografica di ISPI dà una chiara rappresentazione del complesso meccanismo di governo iraniano.

 

Sempre in Iran, due persone a Qom sono morte dopo essere state contagiate dal Coronavirus. Per questa ragione, secondo quanto riportato dal The Times of Israel, l’Iraq ha al momento chiuso il confine e sospeso i voli aerei tra i due Paesi.

 

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