Da Amman ad Aqaba ad Anjara, seguendo i percorsi segnati dalla “Our Lady of Peace”, istituto di accoglienza ed educazione per bambini disabili che si è ramificato per tutto il Paese. Fondato dalla comunità cattolica giordana, risponde al bisogno di tutte le famiglie, senza distinzione.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:37

Spunta all’improvviso, di un colore chiaro, tra le colline verdi d’inverno e desertiche d’estate che fanno corona ad Amman. Il campanile della nuova chiesa del Centro Our Lady of Peace funge da segnavia per chi vuol raggiungere questo luogo speciale che da qualche anno accoglie bambini, giovani, adulti e anziani portatori di handicap. Giungono qui centinaia di disabili da tutta la periferia della capitale giordana, perché sanno di trovare un aiuto, una scuola, una fisioterapia, un maestro che insegna a diventare autonomi nel mangiare e nel vestirsi, un laboratorio dove imparare un mestiere...Ma soprattutto una rete di persone che fa percepire loro quanto in fondo sia “conveniente” uscire dalle quattro mura sicure di casa per cominciare ad accettarsi e a farsi accettare come persone diverse, ma con pari diritti, doveri ed opportunità.  Il Centro Our Lady of Peace non si vergogna di chiamare con il loro nome queste persone, “handicappati” o “disabili”, ma preferisce valorizzare un risvolto particolare del loro profilo: disabile è chi ha dei bisogni speciali. Qui all’OLOP questi bisogni speciali vengono riconosciuti e curati in un modo particolare. Perché questa realtà è fatta di una stoffa rara, una trama di fili diversi che la rendono particolarmente resistente. Nel cuore del Medio Oriente, terra agitata e ferita nel profondo, il Centro è stato fondato dalla comunità cattolica guidata da S.E. Mons. Selim Sayegh, vicario episcopale per la Giordania del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Inaugurata ufficialmente nel 2004, quella che poteva apparire una scommessa azzardata è divenuta una realtà articolata e in crescita grazie a una rete di persone, collaboratori volontari, cristiani e musulmani, che ci credono e dedicano buona parte del loro tempo. Una presenza capillare e capace di interagire a vari livelli con la società e con le istituzioni statuali. Perché Our Lady of Peace non è nato da un calcolo alchemico di esperti della disabilità, né da un disegno artificiale studiato al tavolino e poi imposto alla realtà, ma come risposta a una domanda silenziosa e incalzante della società giordana. Secondo i dati statistici ufficiali, infatti, il 10% della popolazione giordana è portatrice di handicap (un dato spiegato da alcuni con la pratica diffusa dei matrimoni tra consanguinei), ma chi entra nelle case dei più bisognosi e poveri, e raccoglie a livello informale richieste e segnalazioni, ritiene che il numero effettivo degli handicappati superi non di poco quello dichiarato nei registri ufficiali. Incalzato da questo dato di fatto, il Vescovo Selim Sayegh già alla fine degli anni ’80 decise che bisognava tentare di rispondere con opere concrete a una situazione che toccava così tante famiglie cristiane e soprattutto musulmane. Da qui, da un sano realismo, è germinata l’opera di Our Lady of Peace. La sede centrale sorge a 15 minuti dal cuore di Amman: una grande casa dove trovano spazio la scuola, la sala per la fisioterapia e la piscina, i laboratori per il computer, alcuni uffici per l’accoglienza e le consulenze, un ampio spazio con numerose camere per l’accoglienza di gruppi che arrivano da tutto il Paese per attività comunitarie, legate soprattutto alla pastorale giovanile. Vicino al Centro sta sorgendo un nuovo edificio. Al momento i lavori sono fermi, ma quando arriveranno i fondi necessari si completerà quella che dovrebbe diventare la casa delle tre suore comboniane che dall’inverno 2009 vivono nel Centro e se ne prendono cura in tutte le sue articolazioni. Sono una piccola comunità ben assortita. Suor Adriana Biollo, italiana, suor Amal Saady, egiziana, e suor Kedesti Techle, eritrea. Suor Adriana, con alle spalle vent’anni in Sudan, oltre ai dieci in Bahrein e un’altra decina tra Israele e Giordania, esile nel corpo ma grintosa nell’agire, è la direttrice del Centro, di cui segue con piglio deciso in particolare l’amministrazione. Suor Kedesti, in Giordania da vent’anni, segue i ragazzini che frequentano la scuola, i più piccoli la mattina, i più grandi il pomeriggio. Alle volte suor Kedesti fa alzare loro lo sguardo verso lo specchio: «Guarda come sei bello!» esclama, iniettando in loro una buona dose di autostima e allegria. Suor Amal, dopo una quindicina d’anni trascorsi tra il Sudan e l’Egitto, lavora per la pastorale giovanile del vicariato, impegnata a promuovere l’amicizia tra i giovani cattolici giordani, esigua minoranza che si ostina a vivere a fondo la propria fede in una terra segnata ad ogni passo dalle moschee e dal richiamo dei muezzin. Alle tre missionarie fanno riferimento sia lo staff di operatori professionali, fisioterapisti, insegnanti, assistenti, che la rete dei volontari.  Tre Principi di Fondo Nel cuore pulsante del Centro di Amman sono diversi i servizi offerti: la scuola per i bambini e i ragazzi dai 6 ai 16 anni, strutturata in classi diverse, che si concentra sull’insegnamento di varie abilità cognitive e manuali, sull’educazione all’autonomia e all’autogestione nei gesti della vita quotidiana, sull’uso del computer e simili; i programmi speciali di sessioni settimanali per persone con gravi disabilità e autismo; i cicli di logopedia e i laboratori di computer avviati ove utile; la fisioterapia per disabili fisici e psichici e l’insegnamento ai genitori o ai familiari delle tecniche e degli esercizi da far eseguire a casa; il laboratorio per la lavorazione della ceramica. A tutto questo si affianca anche un servizio di visite e terapie domiciliari per chi non è in grado di raggiungere il Centro, che funziona a seconda delle richieste che pervengono e delle risorse a disposizione.  Se lo stile di lavoro del personale stipendiato è caratterizzato da un’attenzione particolare alla cura integrale della persona, la linfa vitale del Centro è costituita dai volontari. Sono organizzati in comitati cittadini, lavorano fianco a fianco, cristiani e musulmani, promuovono un’azione continua sia di sensibilizzazione con marce e workshop pubblici sui temi della disabilità e dei diritti delle persone handicappate, sia di servizi pratici come l’accompagnamento nei centri per le terapie, lo svolgimento di pratiche burocratiche, la spesso...Ogni servizio offerto dalla realtà dedicata a Nostra Signora della Pace è gratuito. Non viene richiesto alcun pagamento per le cure, la scuola, l’educazione, il bus navetta, perché il fattore economico non deve diventare mai, secondo i responsabili, motivo di obiezione al servizio offerto. Sono tre i principi di fondo su cui è stato edificato, mattone dopo mattone, il Centro. Il primo è il principio definito umanitario: le persone con disabilità sono uguali sia di fronte alla legge internazionale dei diritti umani, sia di fronte a quella nazionale. Il secondo principio, detto spirituale, consiste nel riconoscimento dell’importanza dell’esperienza di fede per la persona. La società giordana è composta al 96% circa da musulmani e al 4% da cristiani, ma tutti i giordani si considerano prima di tutto uomini di fede. Il terzo principio è connesso all’idea di cittadinanza: tutti, abili e disabili, sono ugualmente cittadini e come tali godono degli stessi diritti. Difendere questi diritti nella famiglia e nella società e affermarli dove non sono rispettati coincide con la promozione di un’effettiva unità del Paese. Ma queste premesse teoriche così come la descrizione tecnica e strutturale del Centro non bastano a cogliere l’impatto della sua presenza sul campo, che non può essere ridotta al semplice gesto del dispensare servizi a persone in difficoltà, di qualsiasi provenienza religiosa e socioeconomica esse siano. Si tratta infatti di un’azione sapiente, che si innesta e si muove tra le potenzialità e le contraddizioni della Giordania, un Paese stretto tra vicini ingombranti come Israele, Iraq e Arabia Saudita. Un’azione inesorabilmente educativa, che scorre a livello profondo in questo lembo di Medioriente e per cogliere la quale occorre percorrere in lungo e in largo il Paese, entrare nelle sue ramificazioni diverse, ascoltare la testimonianza di chi opera come fisioterapista e le ragioni che spingono i volontari a collaborare a vario titolo al progetto. Mafraq Bere il caffè con alcune volontarie musulmane di Mafraq svela un mondo: raccontano come in questa zona poverissima della Giordania, lungo la strada che conduce a Baghdad, un po’ alla volta abbiano scalfito la diffidenza delle famiglie che non volevano esporre al mondo i loro figli handicappati. Hanno cominciato a coinvolgerli in semplici attività, al punto che adesso sono le stesse case di queste famiglie la sede degli incontri comuni di gioco e di apprendimento. A Mafraq, attorno allo spunto offerto da Our Lady of Peace, associazioni diverse operano in sinergia per coprire le aree più povere e svolgere eventuali servizi a domicilio. Nonostante qui i cristiani siano veramente una presenza minima, si è riusciti a mettere in piedi un comitato misto e a promuovere una marcia per i diritti degli handicappati con partenza dalla moschea e arrivo alla chiesa locale. Una marcia cui hanno partecipato esponenti del governo e varie istituzioni, che è stata addirittura pubblicizzata dall’imam nella sua predica del venerdì e che ha contribuito a promuovere nuove leggi statali, come quella che obbliga a ridurre le barriere architettoniche.  Madaba Girare per i vicoli di questa cittadina famosa per i suoi antichissimi mosaici cristiani in compagnia di Ragda Zawiadeh, volontaria di Our Lady of Peace, vuol dire fermarsi ad ogni negozietto e ogni crocicchio per strada. Ragda conosce tutti, ognuno deve salutarla, offrile un tè o aggiornarla sulle ultime novità. Lei, una signora di mezza età, insegnante di educazione fisica e all’occorrenza di inglese, in pensione ma in piena attività anche come consulente per il Ministero dell’Istruzione, ex capo scout, con le tasche piene di dolcetti da regalare a chi incrocia, ha la città in mano: conosce le situazioni di difficoltà, aiuta famiglie con disabili, profughi iracheni che hanno bisogno di aiuto per le pratiche burocratiche e altro...Lei, cristiana, è una delle volontarie del comitato locale misto, che agisce a rete, minuziosamente, per segnalare bisogni e servizi. In una certa misura, Ragda dice lo stile del Centro. Aqaba Ad Aqaba, città che si affaccia sul Mar Rosso, è stata recentemente costruita una nuova sede, proprio a un passo da una moschea, su un pezzo di terra donato dall’amministrazione locale. In tutta la città, porto vivace e sede di varie imprese di servizi che si sono stabilite qui per approfittare della free zone, era operativo un solo centro per i disabili, insufficiente e non specializzato per disabilità gravi. La nuova unità è stata costruita grazie all’azione di promozione e fund raising di un comitato di volontari. Ma la presenza di gruppi di fondamentalisti islamici si fa sentire, anche se non in modo esplicitamente violento. Qui è richiesta prudenza nelle relazioni, attenzione a non esagerare, capacità di mediazione.  Anjara Diversa è Anjara, nel nord del Paese, dove sta muovendo i primi passi una nuova unità, che risente pesantemente della frattura profondissima che oppone comunità cristiana e musulmana, generata più da questioni di appartenenza tribale che religiose. La distanza tra le comunità è tale che – unico caso ad oggi nella rete dei comitati di OLOP – il neonato comitato di volontari è composto solo da cristiani. Eppure, come stanno a dimostrare le mamme musulmane che portano qui i figlioletti disabili per la terapia settimanale, davanti al bisogno concreto si sbriciolano le barriere.  La sede è in una sala della parrocchia, che ha il cuore nel Santuario di Nostra Signora della Montagna, meta di numerosi pellegrinaggi dal Giubileo del 2000 a oggi. Accanto sorge anche una scuola gestita dal Patriarcato di Gerusalemme. È capitato che gli scolari all’uscita siano stati presi a pietrate da loro coetanei di altri istituti. E, una volta, un elettricista musulmano si è rifiutato di riparare l’impianto elettrico della chiesa, perché appunto cristiana. Tutti episodi circoscritti, spiega il parroco, ma espressivi del clima che si respira.  Per non Restare solo a Guardare «Si doveva fare qualcosa per gli handicappati – spiega Mons. Selim Sayegh – ce n’era un bisogno conclamato. Ma non ho voluto costruire una casa che erogasse semplicemente servizi. Ho voluto che il Centro diventasse anche un luogo per accogliere giovani e studenti, per dare loro la possibilità di educarsi all’accoglienza del diverso partendo dalla semplice esperienza della prossimità. Ho pensato a questo Centro e la Provvidenza mi ha decisamente supportato in quest’opera che è in prima istanza educativa». Un’educazione di fondo, integrale, spiega il Vescovo: «Penso a un’educazione che tenga dentro tutti gli aspetti della persona. Certo partiamo da un bisogno immediato e concreto, quello del disabile e dei suoi familiari. Ma attorno a questo bisogno si è costruita una rete viva, fatta di persone all’opera, che partono da un dato comune: il loro essere riferite a Dio. Il loro essere religiose. La loro appartenenza a una comunità religiosa». Questa appartenenza a un’esperienza di fede, spiega il fondatore del Centro, di fatto costringe a una testimonianza: «Io rivolgo spesso un invito ai cristiani: testimoniamo con la vita che Dio è Amore! Ma anche per i miei fratelli musulmani la proposta è la stessa: se affermi che Dio è Misericordioso, provocami con la tua testimonianza concreta. Fammi vedere che Dio è Misericordioso con la tua vita». Per il Vescovo Selim Our Lady of Peace è un luogo dove non si dice che Dio è Amore, ma se ne fa l’esperienza. Non si parla dei valori che tengono in piedi il popolo giordano, ma se ne tocca la concretezza: nelle mani che si protendono verso i più poveri dei poveri, nell’intelligenza creativa delle persone che inventano modi per sfondare i muri della vergogna di chi starebbe sepolto vivo dal suo disagio. È un’educazione continua, generata dall’amicizia contagiosa tra le persone, che un po’ alla volta come un’epidemia positiva si è diffusa. Lo si percepisce partecipando a una riunione del Vescovo con i rappresentanti di vari comitati, uomini e donne cristiani e musulmani. Sono semplicemente amici. «A volte – racconta il Vescovo Selim – sono proprio i musulmani a difenderci dalle frange di estremisti. Anche se non usano la violenza fisica, non si può negare che esista il tentativo di gettare discredito o sfiducia nei confronti di quello che proponiamo o di come agiamo». Non mancano e non sono mancate le difficoltà. «Non è facile scalfire la mentalità consolidata del nostro popolo mediorientale – spiega Majdi Dayyat, presidente del Centro. Di fatto il nostro è stato il primo vero impegno pastorale compiuto al di fuori dei confini della comunità cristiana. Questo ha spiazzato, inutile negarlo, sia i cristiani che i musulmani. Per tanti che aderiscono alla nostra proposta, altrettanti restano fuori. Diffidano dello stile e del modo. Ma noi insistiamo: la realtà ci mostra che stiamo percorrendo una strada feconda perché costringe al confronto continuo. Io posso dirmi veramente cristiano qui in Oriente se mostro e vivo la mia fede in relazione al mio fratello musulmano e viceversa. Non devo rinunciarci. E non posso viverla al chiuso, dentro le mura della Chiesa». Il giovane presidente, che ha seguito passo dopo passo tutta l’evoluzione di Our Lady of Peace, interlocutore ormai accreditato presso il Governo e il Re, spiega che in Giordania soffia un vento particolare: «Vige certamente il rispetto della fede dell’altro, come la legge dello Stato garantisce, ma il rischio è che si creino ghetti: i cristiani facciano quello che credono, ma restino nel loro recinto, non disturbino al di fuori. Our Lady of Peace lavora per mostrare la fecondità per tutta la società di un franco confronto e di una franca e concreta collaborazione tra diversi. Ma sul campo. Sulla pelle delle persone, sia di chi riceve i servizi, sia di chi li offre». «All’ombra della figura di Maria, nostra Signora della Pace, – osserva Mons. Selim – ci siamo un po’ alla volta ritrovati uniti per l’accoglienza e la cura del più povero tra i poveri. Oggi io posso riferire tanti miracoli di cui sono stato testimone oculare in questi anni». Ci sono anche alcuni numeri a documentare questi miracoli: ad Amman e Madaba operano oltre 30 medici che curano gratis chi si presenta con la tessera rilasciata dal Centro, ad Aqaba sono 27. Il numero dei volontari attivi a vario titolo nei vari comitati operanti in Giordania raggiunge quasi quota 200, mentre sono circa una quarantina le persone assunte e stipendiate regolarmente per le varie mansioni nelle diverse sedi. Il bilancio annuale non è proprio leggero, si aggira attorno ai 350.000 dollari, e non è facile da sostenere: «Come facciamo a sostenere tutto? – sorride Mons. Selim. Dove troviamo i soldi? Ricorriamo all’aiuto di Fondazioni internazionali, di enti internazionali, di persone che offrono quello che hanno perché credono nell’impresa che stiamo realizzando. Ma in fondo io penso: potrebbe una madre abbandonare suo figlio che le si getta fiducioso tra le braccia? No! Quindi come potrebbe la Provvidenza abbandonarci in quest’opera?».   Al Centro Our Lady of Peace sarà dedicato il prossimo libro della collana Colere Hominem promossa dalla Fondazione Giovanni Paolo I (Marcianum Press – uscita prevista: fine 2010).


Il Centro OLOP Il Centro OLOP vive grazie al sostegno di chi crede nella sua azione. Per donazioni: AlAhli Bank, Swifieh Branch - Amman  Nome del conto: Our Lady of Peace Centre  Conto Nr. 102349  Informazioni sul Centro: http://www.olopc.org info@olopc.org, adminam@olopc.org  

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