Recensione di Bernard Heyberger, Les chrétiens au Proche-Orient. De la compassion à la compréhension, Payot, Paris 2013.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:27

Dalla compassione alla comprensione. Al tempo dello Stato islamico, parlare dei cristiani d’Oriente in questi termini potrebbe sembrare sconveniente. Ma non lo è. Non solo perché il libro di Bernard Heyberger, direttore di studi all’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi è uscito nel 2013, dunque prima che si scatenasse la terribile ondata di violenza contro i cristiani iracheni e siriani (anche se neppure allora la condizione dei cristiani era particolarmente felice). Ma anche perché la storia e la questione dei cristiani in Medio Oriente meritano di essere conosciute e comprese in tutta la loro durata e in tutta la loro ampiezza. L’alternativa è lanciare periodicamente l’allarme sul rischio della loro scomparsa dalla scena mediorientale per poi tornare puntualmente a disinteressarsene una volta passata l’emergenza. Lo afferma esplicitamente l’autore: «non si tratta di negare le discriminazioni e le violenze inflitte ai cristiani […]. Non si tratta neanche di indifferenza davanti ai feroci attacchi che hanno dovuto recentemente subire in Iraq o in Egitto. Ma ci sembra che vedere i cristiani nell’Islam solo come vittime perenni della maggioranza musulmana o come figure esemplari del martirio non permetta né di analizzare la loro situazione attuale, né di comprendere il loro uso del passato, né di rendere omaggio alla loro vitalità e alla loro reattività. I cristiani d’Oriente possono infatti offrire una chiave per pensare le relazioni tra l’Occidente e il Vicino Oriente». Costruito a partire dai seminari tenuti dall’autore all’EHESS, il libro tocca sinteticamente ma con grande acume e competenza alcuni aspetti e momenti fondamentali della presenza cristiana in Medio Oriente. Ne emerge un quadro che restituisce ai cristiani il ruolo di soggetti attivi delle società mediorientali e li sottrae alla fissità archeologica cui vorrebbero relegarli alcune ricostruzioni stereotipate della loro storia. Infatti, se i cristiani possono vantare un radicamento più che millenario nella regione, il loro modo di esserci è il frutto dell’interazione costante con gli eventi che hanno progressivamente trasformato il Medio Oriente. Lo dimostra la tanto dibattuta quanto delicata questione demografica. Contrariamente alla raffigurazione piuttosto consolidata di un assottigliamento lineare e progressivo della presenza dei cristiani orientali a partire dalla conquista islamica, i dati a disposizione dimostrano un andamento diverso: se il XX secolo ha effettivamente segnato un consistente arretramento della popolazione cristiana (in termini relativi, ma non in termini assoluti), il secolo precedente è stato caratterizzato da un certo dinamismo demografico, conseguenza di una minore mortalità e di una maggiore fertilità rispetto ai musulmani. I fatti occorsi e i processi avviati negli ultimi 150 anni sono stati particolarmente gravidi di conseguenze per le comunità cristiane. Il declino e la fine dell’Impero ottomano, la spartizione del Medio Oriente per opera delle potenze europee, la nascita dei nazionalismi e degli Stati nazioni, le guerre mondiali, la creazione dello Stato di Israele, l’ascesa dell’Islam politico e infine le Rivoluzioni del 2011 hanno inciso in profondità sugli equilibri religiosi, culturali ed etnici della regione. In questa lunga e tumultuosa fase storica ruoli e posizioni dei cristiani sono stati estremamente variabili a seconda della comunità e del contesto di appartenenza. Se per esempio alcuni, soprattutto i greci sia cattolici che ortodossi, sono stati protagonisti della «presa di coscienza araba degli abitanti del Medio Oriente», altri, come gli armeni (o oggi i cristiani iracheni e siriani di diverse confessioni e riti) hanno pagato un altissimo prezzo in vite umane. Tra questi due estremi si colloca un'ampia gamma di situazioni, dai rapporti altalenanti dei copti egiziani con il potere, all'evoluzione dell’influenza maronita in Libano (non più, come tra le due guerre, garanti dello Stato, ma pur sempre componente imprescindibile dell’eccezione libanese), alla generale difficoltà di adattamento alle condizioni create dalle più recenti Rivoluzioni arabe. Al di là di queste differenze, su tutti i cristiani grava la pesante ipoteca della frammentazione confessionale e comunitaria. Nella complessità della questione, un dato sembra purtroppo acquisito: oltre a influire sulla condizione dei cristiani, i mutamenti più recenti hanno finito per intaccare anche la cultura della convivenza e una certa «condivisione del sacro», tanto che «nel complesso, gli adepti delle due grandi religioni monoteiste non sono forse mai stati tanto lontani nelle loro credenze e nelle loro pratiche come lo sono oggi». Alla fine del libro Heyberger prospetta tre possibili esiti degli sconvolgimenti politici in corso nei Paesi arabi: una democrazia fondata sulle libertà individuali; il riconoscimento ai cristiani di diritti specifici in quanto comunità; una guerra civile o un caos nei quali i cristiani, senza essere protagonisti, verrebbero presi in ostaggio e diventerebbero «vittime di strategie politiche o mafiose superiori». In qualsiasi caso, da quello più favorevole a quello più infausto, la sorte che toccherà ai cristiani sarà la sorte che toccherà anche a tutta la regione. Tentare di comprendere la loro storia conviene a tutti.