La risposta passa attraverso un ritorno alle fonti dell’Islam e una rivalutazione delle interpretazioni che possono averle distorte nel corso dei secoli

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:36

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Recensione di Pierre Manent, Situation de la France, Desclée de Brouwer, Parigi 2015

Pierre Manent è uno specialista di filosofia politica. Nonostante la sua fama internazionale (insegna regolarmente negli Stati Uniti), è stato fino ad oggi poco presente sui media. E non se ne lamentava affatto. Il suo ultimo libro, Situation de la France [La situazione della Francia] (Desclée de Brouwer, settembre 2015), l’ha reso famoso un po’ dappertutto. Manent afferma la necessità in Francia di un “compromesso” con l’Islam, il quale occupa ormai uno spazio sempre più grande. Lo si è accusato di predicare, di fronte alle pretese di una religione che nega la “laicità”, considerata uno dei valori fondamentali della Repubblica francese, una vile resa, analoga a quella descritta qualche mese prima da Michel Houellebecq nella sua distopia Soumission [Sottomissione] (Flammarion, gennaio 2015): il romanziere immagina che alcuni musulmani finiscano per imporre la sharî‘a in Francia dopo aver arbitrato l’antagonismo, ormai privo di un reale contenuto, tra la “sinistra” e la “destra”.

Gli attentati a Charlie

Soumission è uscito qualche giorno prima degli attentati contro il settimanale satirico Charlie Hebdo (e contro un supermercato kasher), che ne hanno provvisoriamente oscurato il valore di allerta. È stato proprio la vacuità dei discorsi consensuali dopo questi avvenimenti a spingere Pierre Manent a reagire, semplicemente riprendendo le analisi delle sue opere precedenti per proporre una diagnosi dello stato morale della Francia, da cui il titolo del libro. La pertinenza di questo quadro è corroborata dalla strage del 13 novembre 2015.

Prima constatazione: dall’umiliazione del giugno 1940 e dalla perdita delle colonie, e massimamente dell’Algeria nel 1962, la nazione dubita di se stessa e le istituzioni europee si sono sviluppate senza proporre un ideale motivante. Secondo fatto significativo: la “modernità” destabilizza costantemente se stessa. Essa intende liberarsi delle leggi date da Dio, dalla natura o dalle generazioni precedenti e ne promulga continuamente di nuove destinate a legittimare aspirazioni individuali, ma che fatalmente si scoprono presto insufficienti e limitanti. Terzo punto chiave: la convinzione ottusa che le religioni possano e debbano rimanere questioni strettamente private, e quindi l’incapacità di ammettere che esse giocano di fatto un ruolo culturale e sociale.

La separazione tra Stato e Chiesa

Questa interpretazione riduttiva del fenomeno religioso, dice Manent, è servita a realizzare in Francia la separazione tra le chiese e lo Stato. Ma il modus vivendi laico con il Cattolicesimo, che si adatta, avendola concepita, all’“autonomia della sfera temporale”, non è applicabile all’Islam, che è indifferente ai diritti dell’uomo e all’identità europea così come al nazionalismo tipicamente francese e alla secolarità come cemento di una società multiculturale. Il filosofo suggerisce dunque di riconoscere i musulmani che vivono in Francia “così come sono”, in un “compromesso” con cui “si rinuncia all’idea vana e discretamente accondiscendente di ‘modernizzare’ autoritariamente i loro costumi” (Situation de la France).

Eppure non è una questione di concessioni unilaterali: “Le restrizioni che il nostro regime politico è tenuto, a mio parere, a imporre ai costumi musulmani tradizionali riguardano la proibizione della poligamia e del velo integrale”. Occorre anche che le comunità islamiche non rimangano controllate dai Paesi arabi che le finanziano. Positivamente, l’integrazione passerà per l’istruzione e in particolare per l’apprendimento della lingua francese, quando invece “lo Stato che è all’opera da 40 anni tende a privare l’educazione dei suoi contenuti”. In poche parole: “I musulmani francesi troveranno il proprio posto […] nella società francese soltanto se essa li accoglierà secondo la sua verità e secondo la loro”.

Dunque non c’è nulla di arrendevole nel realismo predicato da Pierre Manent, da buon discepolo di Raymond Aron (1905-1983). Nonostante non sia mai stato di “sinistra”, sin dal 1957 Aron aveva compreso come l’Algeria non potesse rimanere francese, poiché non lo era mai veramente diventata. Ma, alla chiaroveggenza del maestro, l’allievo aggiunge una dimensione spirituale.

È in quanto “associazione di matrice cristiana”, scrive, che la società francese può “fare spazio a una forma di vita con la quale non si è mai veramente mescolata su un piano di parità”. Questo richiede che i cattolici “si consegnino a un corpo civico più ampio” di quello che essi formano e che aprano così la strada a “quel movimento dell’anima che è contemporaneamente restringimento e allargamento, umiliazione ed elevazione”.

La matrice cristiana

Tratteniamo la formula “di matrice cristiana”, che ritorna più volte, fino all’ultima frase del libro, per indicare l’impronta che Pierre Manent considera indelebile in Francia e in Europa come modello sempre fecondo del “bene comune” da condividere. Allo stesso modo, egli sottolinea il posto che sono chiamati a occupare gli ebrei: “La parte che essi svolgono ormai nella vita del mondo richiede loro di giocare un ruolo di mediazione, che risponde […] alla vocazione più profonda del giudaismo”.

Le obiezioni a Situation de la France non sono tutte prive di fondamento. Le migliori sono arrivate da Alain Finkielkraut (anche lui filosofo nato nel ’49, anche lui ebreo agnostico come Raymond Aron, eletto recentemente all’Académie française, difensore dell’“alta cultura” contro la mediocrità deturpante dell’egualitarismo spontaneista promosso allo stesso tempo dalla sinistra radicale e dalla demagogia commerciale). L’Islam – ha fatto notare – comporta altre caratteristiche inaccettabili, a cominciare dalla sottomissione delle donne e czl disprezzo per la libertà di opinione, compresa quella religiosa (dibattito con Pierre Manent su Le Figaro del 13 ottobre 2015).

Tuttavia, la questione è forse sapere se i musulmani che vivono in Occidente troveranno nella propria tradizione le risorse spirituali per raccogliere una sfida che l’Islam non ha mai dovuto affrontare: quella di collocarsi in una situazione in cui l’Islam non è né dominatore né oppresso. Dallo spargimento di sangue in nome di Allah perpetrato con una cieca ferocia il 13 novembre 2015, i musulmani francesi si trovano in una situazione delicata. Il riconoscimento auspicato da Pierre Manent rischia di diventare più complesso. È ugualmente discutibile che basti a riconciliare con la “modernità” occidentale quelli, tra i loro giovani, che arrivano all’odio. Che garanzia possono fornire della loro volontà di vivere con il resto dei concittadini se non rinunciano a nulla di ciò che considerano essenziale nell’Islam? La risposta passa, probabilmente, attraverso un ritorno alle fonti della loro religione e una rivalutazione delle interpretazioni che possono avelre distorte nel corso dei secoli. Il rispetto critico che si impara a scuola può aiutare, in questo caso, ed è per questo che Pierre Manent ha senza dubbio ragione a insistere sui problemi dell’educazione.

 
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