Oggi al-Azhar opera al fianco del governo egiziano per contrastare, sul piano ideologico e religioso, i Fratelli musulmani. Questo dossier speciale, composto da un’introduzione e da tre documenti tradotti dall’arabo, mostra che il rapporto tra la grande moschea-università e il movimento fondato da Hasan al-Bannā non è sempre stato conflittuale. Ma evidenzia anche quanto è cambiato l’orientamento religioso dell’organizzazione oggi guidata da Ahmad al-Tayyib.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:27

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Il 23 febbraio 2019, l’ufficio centrale dei Fratelli musulmani ha pubblicato su ikhwanonline, il sito ufficiale del movimento, una lettera, datata al giorno precedente, dal nome “Consolazione differita e ricompensa meritata”. L’obiettivo di tale missiva era promuovere, in nome dell’Islam, il sacrificio dei “martiri” e il sollevamento rivoluzionario, al fine di eliminare i criminali dei «servizi dello Stato terrorista» egiziano. L’appello alla lotta armata è stato posto sotto il segno del «martire e guida Sayyid Qutb», impiccato dopo dieci anni di prigione sotto il regime di Gamal Abdel Nasser (1918-1970) e ideatore delle «Pietre miliari» per una «avanguardia» musulmana, incaricata di mettersi in azione «per sradicare la jāhiliyya [lo stato di ignoranza] che regna sulla Terra»[1]. Tre giorni dopo, sul sito ufficiale di al-Azhar è stata pubblicata la “Risposta dell’Osservatorio di al-Azhar per la lotta contro l’estremismo alla dichiarazione del gruppo terroristico dei Fratelli”. Gli autori di questo secondo documento accusano direttamente i Fratelli Musulmani di utilizzare a sproposito un versetto coranico, distorcendone l’interpretazione. Nello specifico, gli esponenti di al-Azhar contestano l’uso del concetto di “martiri”, affermano il principio per cui «l’amore per la patria è parte integrante della fede», difendono lo Stato come quadro dell’ordine istituzionale stabilito e accusano «il gruppo terroristico dei Fratelli [di seguire] le orme di Isis» come anche di quei «gruppi estremisti che diffondono il caos».

 

Quarant’anni prima, tuttavia, studiosi di al-Azhar e Fratelli Musulmani manifestavano un consenso di fondo su ciò in cui doveva consistere uno Stato islamico ideale. Esempio di questa convergenza fu la pubblicazione, in una nuova collana della rivista al-Da‘wa, di un progetto di Costituzione islamica preparato dagli studiosi dell’Accademia delle Ricerche Islamiche, che sarebbe dovuto servire da modello per tutti gli Stati a riferimento islamico. Ideatore del progetto fu il Grande Imam della moschea ‘Abd al-Halīm Mahmūd (1910-1978). Laureato alla Sorbona[2], sufi, fondatore di un’associazione per la pubblicazione di testi mistici e professore di teologia,Abd al-Halīm Mahmūd aveva frequentato l’Associazione degli Amici di René Guénon, fondata nel 1953, e aveva pubblicato in arabo Il filosofo musulmano: René Guénon o Shaykh ‘Abd al-Wāhid Yahyā[3]. Fu in questo momento che decise di ricusare e combattere le scienze umane e sociali che lui stesso aveva precedentemente insegnato. Dopo esser diventato preside della Facoltà di scienze religiose nel 1964, accedé al posto di segretario generale dell’Accademia delle Ricerche Islamiche nel marzo 1969. Incoraggiò fortemente la creazione della Kulliyat al-Da‘wa (Facoltà di missione musulmana) e diede avvio all’elaborazione di una codificazione islamica in grado di eliminare tutti gli elementi del diritto europeo introdotti a partire dal XIX secolo. In occasione di un congresso internazionale organizzato da al-Azhar nel 1977[4], al quale fu invitato il pensatore pakistano Abū al-A‘lā al-Mawdūdī (1903-1979), a sua volta impegnato in un processo di epurazione di qualsiasi elemento culturale, giuridico e politico esterno, Abd al-Halīm Mahmūd lanciò il progetto della Costituzione islamica, approvandolo poco prima di morire[5].

 

Il contesto generale dell’epoca era favorevole all’elaborazione di un documento di questo tipo. L’intellighenzia liberale musulmana, attiva tra gli anni ’70 dell’Ottocento e gli anni ’50 del Novecento, aveva perso credibilità per diversi motivi: l’accusa di connivenza con gli ex-colonizzatori inglesi e francesi[6]; la sua tendenza contestatrice nei confronti dei regimi autoritari; la sua relativa indifferenza per le lotte sociali; e, infine, il sospetto di alcuni ambienti religiosi a causa del fatto che i suoi lavori mettevano in dubbio alcuni elementi della tradizione islamica. I nasseriani ed i baathisti, da parte loro, facevano i conti con un bilancio economico che non aveva risposto alle attese e con i fallimenti in politica estera, orientata essenzialmente alla lotta contro Israele. Le forze della sinistra[7], talvolta collaboravano con i governi in carica, talvolta ne subivano la repressione o erano fortemente contestate dai rappresentanti religiosi. Dopo una fase di persecuzione che ne aveva decimato i ranghi, i Fratelli musulmani beneficiarono delle nuove misure di liberalizzazione e di appoggi esterni[8], e diedero a questo momento il nome di Sahwa (“Risveglio”). Al seguito dell’Arabia Saudita, le monarchie del Golfo attraversavano in quel periodo una fase di profonda espansione, stimolata dall’aumento dei prezzi del petrolio e del gas. Grazie a questi proventi, re Faysal (1906-1975) aveva fondato delle università[9] e sviluppato una dinamica unitaria in nome dell’idea di un regime islamico integrale, smarcandosi contemporaneamente sia dal modello liberale del blocco occidentale che da quello comunista[10], con il benestare del partner statunitense[11]. Gli interessi economici, politici, geopolitici e religiosi erano strettamente correlati tra loro, e, che fossero monarchici o repubblicani, i regimi della regione presentavano tutti un carattere autoritario più o meno violento. Persino per quelli che avevano ratificato il Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) l’esercizio delle libertà individuali e l’uguaglianza delle persone restavano subordinati ai loro interessi e alla loro interpretazione del corpus giuridico religioso.

 

Il progetto di Costituzione-modello ottenne un consenso trasversale ai diversi rami dell’Islam integrale, dagli azhariti conservatori ai wahhabiti, passando per i bannaiti [i seguaci di Hasan al-Bannā, NdR], i salafiti di vario orientamento e una parte degli sciiti. Tale modello si basava sullo schema seguente:

 

1.     Ogni Stato islamico deve avere come riferimento supremo la sharīa, concepita dal Grande Imam come «tutto ciò che si trova nei manuali di fiqh», a partire dagli al-ahkām al-islāmiyya (“le normi islamiche”), cioè gli hudūd (“limiti”, espressione che indica le “pene religiose inviolabili”) relativi al furto (amputazione della mano), all’accusa calunniosa di fornicazione (frustate), all’adulterio (frustate), alla rapina e al brigantaggio (condanna a morte, crocifissione, esilio o detenzione). Anche le pene legate all’apostasia (morte) e al consumo d’alcool figurano in questo modello, benché non siano considerate coraniche dal momento che la prima trova fondamento negli hadīth del Profeta e la seconda è stata stabilita per analogia con la pena per l’accusa calunniosa di fornicazione.

2.     La magistratura (“Al-qadā’”) deve essere composta dagli ‘ulamā’ (“studiosi” esperti nelle scienze islamiche), dai fuqahā’ (“giuristi”) e dai qudāt (“giudici”). Essi rappresentano l’autorità decisiva, avendo il compito di trasmettere e interpretare le norme e le regole che essi stessi hanno definito, vigilando sulla loro effettiva applicazione.

3.     L’Imam (“Guida”) è colui che dirige, con le funzioni di un califfo o di un governatore. Comanda le forze dell’ordine e l’esercito e ha l’incarico di applicare le prescrizioni islamiche, imporre le pene previste e, più in generale, di promuovere il bene e perseguire il male secondo la concezione che ne hanno sviluppato gli uomini di religione. In nessun caso l’Imam può contravvenire alla sharī‘a, attribuita a Dio e tutelata dalla magistratura.

4.     Il popolo (sha‘b), o la massa (āmma), ha la vocazione e il dovere di applicare, rispettare e obbedire. A tale condizione, ai cittadini sono garantiti una serie di diritti, tra cui il diritto di essere proprietario e di trasmettere i propri beni e quello d’istruirsi secondo la concezione del sapere definita dagli ‘ulamā’.

 

Nei mesi che seguirono la redazione di tale documento, la logica degli Stati-nazione, alimentata dalle divisioni intra-confessionali, tornò ad avere la meglio sulla logica della umma islamica. All’inizio del 1979, la rivoluzione iraniana mise fortemente in crisi il sistema di consultazione tra gli studiosi musulmani. L’adozione tramite referendum di una Costituzione islamica iraniana[12], fondata sul principio della wilāyat al-faqīh[13] (“potere assoluto del giurista”, cioè l’autorità del giurista-teologo sciita dotato delle stesse prerogative dei santi legislatori, il Profeta e l’Imam[14]) teorizzata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini (1902-1989), apparve inaccettabile agli studiosi e ai giuristi sunniti[15] e venne contestata persino all’interno del clero sciita. L’accordo di pace tra l’Egitto e Israele, giustificato pubblicamente dalle più alte autorità religiose egiziane con grande disappunto di quelle degli altri Paesi, determinò l’esclusione del Cairo dalla Lega araba. Il tentativo infine di rovesciamento dei Saūd dopo la presa temporanea della grande moschea della Mecca minò ulteriormente la leadership saudita[16]. Ciononostante, grazie ai contributi finanziari dei petrodollari e al ruolo crescente dell’OCI (Organizzazione della Conferenza Islamica, divenuta successivamente della Cooperazione Islamica[17]) patrocinata da Riyad, la corrente integrale continuò a prosperare. Un chiaro esempio sono le tre dichiarazioni islamiche dei diritti dell’uomo (pubblicate rispettivamente nel 1981, 1983 e 1990[18]), le quali ripresero diversi elementi contenuti nel progetto della Costituzione islamica. Olivier Carré ha sintetizzato tale armonia dottrinale in una formula:

 

Il Cairo, con il suo islam ufficiale (quello di al-Azhar) come con quello parallelo (quello che al-Azhar ha rifiutato… prima di recuperarlo), rappresenta un centro importante dell’islam contemporaneo. Nella sua versione ufficiale, ortodossa, regolatrice, l’islam del Cairo conforta quello di Riyad e delle città sante. Nella sua forma “parallela”, estremista, allo stesso tempo perseguitata o corteggiata, l’islam del Cairo è in simbiosi con quello di Teheran o di Qom, benché sciita, come anche con quello sunnita dell’Afghanistan, della Siria, della Tunisia, del Marocco ecc[19].

 

Rachid Ghannouchi (n. 1941), leader del movimento al-Nahda, a sua volta parte della galassia bannaita, e autore del saggio Le libertà pubbliche nello Stato islamico (1993), colloca il proprio sforzo intellettuale e organizzativo in questa prospettiva: «Nel “governo islamico” adottato come “sistema statale”, la sovranità e legittimità ultima appartiene alla sharīa e alla Rivelazione, considerate autorità superiori a qualsiasi altra. È alla luce di queste disposizioni che i giuristi, nella loro giurisprudenza, agiscono secondo un processo di deduzione, così come fanno i magistrati nel momento in cui emettono un giudizio. Anzi, sono tutti gli organi dello Stato a ricavare il proprio dinamismo dal quadro della sharī‘a, dei suoi orientamenti e dei suoi obiettivi superiori (“maqāsid”)»[20]. L’invocazione frequente dei thawābit (“principi immutabili”), che presuppongono il riferimento alla sharīa; il richiamo alle distinzioni giuridiche classiche, che riconoscono da una parte la categoria degli huqūq Allah (“diritti di Dio”), inclusa la devozione (“al-‘ibāda”), come doveri rituali dei musulmani svincolati da ogni considerazione di tempo, spazio e persone, e dall’altra gli obblighi sociali (“al-mu‘āmalāt”) soggetti a interpretazioni più circostanziali[21]; tutto ciò servì a mantenere una coesione, in una rivendicazione di ortodossia dotata di un forte potere attrattivo.

 

C’erano tuttavia delle crepe. In Egitto, la corrente integrale si divise riguardo a due questioni fondamentali: l’appoggio o meno all’accordo di pace israelo-palestinese e la giustificazione o meno dell’assassinio del presidente Anwar Sadat (1918-1981). La matrice stessa dei Fratelli musulmani si era scissa con la costituzione del gruppo Al-Takfīr wa-l-Hijra (“Scomunica ed esilio”), responsabile dell’omicidio del presidente della Repubblica, e del movimento Al-Jamā‘a al-Islāmiyya (“Il gruppo Islamico”) i cui membri pianificarono diversi attentati fino al 1997. Il regime di Hosni Mubarak (1928-2020) adottò una duplice strategia: da una parte, una repressione violenta contro qualsiasi persona o organizzazione suscettibile di minacciare il potere, le forze di sicurezza interne, le forze armate o i loro interessi economici; dall’altra, una tolleranza a geometria variabile verso quanti si limitavano a operare nell’ambito educativo, culturale o a livello di società civile. La dirigenza dei Fratelli Musulmani decise di giocarsi la seconda carta: i militanti e simpatizzanti della Fratellanza s’impegnarono nei sindacati, nelle corporazioni, nell’istruzione pubblica e nelle istituzioni di al-Azhar fintantoché il potere li lasciava agire in questo senso. La Fratellanza riuscì persino a presentare dei candidati “indipendenti” alle elezioni legislative, come nel 2005, quando il fenomeno fu importante, benché il sistema elettorale non permettesse realmente un cambiamento democratico.

 

Come nella maggior parte nei Paesi a maggioranza musulmana, sotto la spinta della corrente integrale, la tendenza all’islamizzazione del campo giuridico, culturale, educativo e delle pratiche collettive si è rafforzata nel corso degli ultimi due decenni del secolo scorso. L’alto magistrato Muhammad Sa‘īd al-‘Ashmāwī (1932-2013), difensore dello status quo – un diritto confessionale limitato a fianco di un diritto civile comune – vide nel progetto di codificazione islamica globale un pericolo, rappresentato «da una spaccatura nel sistema giuridico e giudiziario, e nella patria stessa, che annuncia la fine del diritto islamico egiziano contemporaneo, senza che la religione e la sharīa invitino a farlo»[22]. Preoccupati dall’ascesa delle correnti bannaite nel Paese, coloro che detenevano il potere al Cairo sigillarono ulteriormente il sistema, dividendosi allo stesso tempo sulle soluzioni da adottare in merito alla successione del presidente della Repubblica[23]. Essi incoraggiarono inoltre un’altra declinazione dell’integralismo islamico, quella dei salafiti, che si distinguevano dagli eredi di Hasan al-Bannā (1906-1949) per il fatto di non puntare in alcun modo a occupare posizioni di responsabilità all’interno dello Stato. In un memorandum del 30 novembre 2009, i responsabili dei Fratelli sintetizzarono gli orientamenti assunti nel corso dei trent’anni precedenti in materia di obiettivi e di mezzi, cioè la predicazione, l’educazione e l’assistenza sociale, allo scopo di realizzare un più vasto progetto:

 

[…] liberare la patria musulmana – in tutte le sue parti – dai poteri non islamici e aiutare le minoranze musulmane ovunque esse siano, operare per l’avvicinamento tra i musulmani fino a farli diventare una umma unita; edificare uno Stato islamico che applichi efficacemente i precetti dell’Islam e i suoi insegnamenti, che li preservi sul piano interno e che si assuma la responsabilità di promuoverli e trasmetterli all’esterno […]. La rinascita della Umma: la preparazione jihadista volta a costruire un fronte unico davanti agli invasori e ai dominatori che sono tra i nemici di Dio per preparare l’avvento dello Stato islamico ben guidato[24].

 

La mobilitazione di una parte della gioventù egiziana, il 25 gennaio del 2011, che si concluse con il rovesciamento di Mubarak, sorprese gli attori islamisti e rimescolò le carte. Unendosi, seppur in ritardo, alla contestazione popolare, i Fratelli musulmani tornarono in partita, potendo beneficiare della struttura più o organizzata, più disciplinata e più capillare nelle diverse sfere della società. Essi crearono un partito politico grazie al supporto del Qatar e della Turchia e ottennero il benestare delle principali potenze della comunità internazionale. Numerosi diplomatici ed esperti spiegarono che la partecipazione al processo elettorale era una prova della democratizzazione in corso. I Fratelli musulmani risultarono i vincitori delle elezioni legislative del 2011 e formarono una maggioranza parlamentare con i salafiti. Il loro candidato, Mohammed Morsi (1951-2019) vinse le elezioni presidenziali contro un candidato proveniente dai ranghi dell’esercito. Nel suo primo discorso, il vincitore invocò la liberazione dello shaykh ‘Umar ‘Abd al-Rahmān (1938-2017), mentore della Jamā‘a Islāmiyya e condannato dagli Stati Uniti per il suo coinvolgimento nell’attentato al World Trade Center del 26 febbraio 1993. Questa richiesta mostrava la porosità tra il discorso bannaita e le azioni violente commesse in nome dell’Islam, benché queste talvolta fossero state condannate dalla direzione della Fratellanza. La nomina come governatore di Luxor di un membro della Jamā‘a che aveva commesso una serie di attentati contro dei turisti stranieri quindici anni prima, fu un’ulteriore prova di questo fenomeno[25]. La Costituzione redatta dalla maggioranza bannaita e salafita, adottata tramite referendum nel dicembre 2012, stabilì all’articolo 219 una norma che rafforzava il legame tra il futuro sistema legislativo e il corpus giuridico islamico: «I principi della sharīa islamica includono i suoi indici generali, le sue norme metodologiche e giurisprudenziali, le fonti accettate dalle scuole giuridiche sunnite e dalla comunità musulmana (“jamā‘a”)»[26]. L’inserimento di questo articolo sollevò preoccupazioni sia all’interno che all’esterno della comunità musulmana, in particolar modo tra la Chiesa copta, che aveva ritirato i propri rappresentanti dal comitato di redazione.

 

Nel corso della breve esperienza democratica biennale, il tentativo dei Fratelli musulmani di accaparrarsi le varie leve del potere venne fortemente contestato, in particolar modo in seguito alla sospensione della Costituzione, alla realizzazione di un programma onnicomprensivo di islamizzazione[27], al consolidamento della censura e alla moltiplicazione dei processi per “insulto” all’Islam. Una parte della popolazione egiziana insorse nuovamente nel giugno 2013, manifestando in nome del tamarrud (“ribellione”) contro i Fratelli musulmani[28], sostenuta in questo dall’esercito, che depose il governo. Altri manifestanti cercarono allora di restaurare i membri del potere destituito: nel mese di agosto, ogni fazione cercò a colpi di video[29] di far ricadere sull’altra la responsabilità dell’iniziativa violenta. In nome della sicurezza del Paese, i militari stabilirono un regime autoritario più intransigente del precedente nella repressione di qualsiasi movimento di contestazione o dissidenza e allo stesso tempo aperto a un tajdīd al-khitāb al-dīnī (“rinnovamento del discorso religioso”). I Fratelli musulmani si radicalizzarono seguendo il loro nume tutelare, lo shaykh egiziano-qatariota Yūsuf al-Qaradāwi[30] (n. 1926), il quale, facendo appello al fard ‘ayn[31] (“dovere imperativo individuale”), invitò i fedeli alla lotta in nome dell’Islam contro gli autori del colpo di Stato e contro coloro che l’avevano avvallato, tra cui il Grande Imam Ahmad al-Tayyib (n. 1946) e il patriarca copto Tawadros II (n. 1952). A pagare il prezzo di questa esplosione di violenza furono i Fratelli musulmani da una parte, e i cristiani e le forze armate dall’altra. In una dichiarazione, degli esperti religiosi bannaiti giustificarono il dovere religioso di uccidere i responsabili coinvolti nel colpo di stato:

 

I governatori, i giudici, gli ufficiali, i soldati, i mufti, i giornalisti, i politici e tutti quelli la cui partecipazione ha contribuito indiscutibilmente a mettere in atto tale violazione e versare il sangue di innocenti, anche solo per incitamento, sono considerati degli assassini. Pertanto le disposizioni legittime che l’Islam prevede per un assassino devono essere messe in atto. La presenza dello Shaykh al-Azhar [sulla] scena del colpo di Stato e il suo silenzio riguardo ai crimini lo delegittimano e lo rendono complice di questi criminali in tutto ciò che essi hanno fatto. Coloro che collaborano, sostengono o difendono i sionisti, coloro che sono ostili alla resistenza palestinese o che cospirano contro di essa, coloro che distruggono le case [nel] Sinai e trasferiscono in maniera coatta gli abitanti sono dei traditori della religione e della patria e sono nemici di Dio, del suo messaggero e dei fedeli[32].

 

Nel 2014 venne approvata tramite referendum una nuova Costituzione, dalla quale vennero esclusi gli articoli controversi presenti nella precedente legge fondamentale. Il generale Abdel Fattah al-Sisi (n. 1954), eletto presidente lo stesso anno, ottenne dopo qualche esitazione l’appoggio della comunità internazionale, nonostante le numerose violazioni dei diritti dell’uomo che colpirono gli oppositori del nuovo regime, in un contesto regionale caratterizzato dal collasso statale della vicina Libia e dell’espansione territoriale di Isis nei territori tra Siria ed Iraq. Obiettivo principale dell’azione repressiva dello Stato furono i Fratelli musulmani, i quali risposero in due maniere differenti, non senza divisioni al vertice del movimento[33]: sostegno agli attacchi violenti e agli omicidi perpetuati in Egitto; mobilitazione dei media e delle risorse accademiche all’estero per presentarsi come vittime di un potere non solamente oppressore ma anche “islamofobo”[34]. Il primo documento tradotto è permeato di riferimenti religiosi ed è stato pubblicato immediatamente dopo l’esecuzione dei Fratelli musulmani condannati a morte per l’omicidio nel 2015 del procuratore generale Hichām Barakāt[35]. Invece, tre mesi dopo la morte dell’ex presidente incarcerato Mohammed Morsi, lo stesso ufficio centrale dei Fratelli musulmani ha pubblicato un’altra dichiarazione volta a proporre un “fronte unito” di tutti gli oppositori del regime egiziano, nella quale l’unico riferimento religioso è la frase tayyār watanī ‘āmm dhū khalfiyya islāmiyya (“corrente patriottica generale di ispirazione islamica”)[36].

 

La conflittualità che ha caratterizzato la fine del decennio 2010 si inserisce in un contesto di crisi profonda del pensiero sunnita[37]. La dimensione religiosa dei conflitti nel Vicino e Medio Oriente si intreccia ad altre lotte per le quali il tema del jihad è stato invocato frequentemente in maniera esplicita: quella contro la coalizione “giudeo-crociata”; quella contro i rāfidiyyūn (“coloro che rifiutano”, ossia gli sciiti, visti come eretici) o, più specificatamente, contro i nusayrī (“alawiti”), verso i quali sono riemerse le antiche accuse di miscredenza. Lo sfondo di questi sviluppi è costituito dalle guerre civili e regionali in Libia, Siria, Iraq, Yemen, in Afghanistan ed in Sudan[38], dalla guerra fredda tra Arabia Saudita e Iran, dal rafforzamento del dominio israeliano sui territori della Cisgiordania occupata dal 1967, con il conseguente differimento del riconoscimento di uno Stato dei palestinesi, dalla territorializzazione temporanea di Isis e, infine, dalla sua trasformazione in una galassia transnazionale, sul modello di al-Qaeda, di cui è un’emanazione. Il divario nei redditi tra i Paesi, o persino all’interno di una stessa società è tra i più elevati a livello globale. I petrodollari alimentano il commercio d’armi, che va a vantaggio delle principali potenze esportatrici, fattore che limita gli interventi diplomatici richiesti da parte di diverse ONG in nome del diritto internazionale. Allo stesso tempo, le differenti risorse del soft power sono in gioco grazie a dei fondi consistenti: moschee, associazioni, cattedre universitarie, programmi di studio, case editrici, gruppi di lavoro, canali satellitari, social media.

 

La traduzione dei tre documenti che presentiamo vuole permettere una migliore comprensione delle sfide dottrinali del conflitto infra-sunnita contemporaneo che abbiamo introdotto brevemente in questo testo. A quanto ci risulta, il progetto di Costituzione islamica ratificato nel 1978 non è più presente sul portale ufficiale di al-Azhar, né su quelli che ad esso sono associati. I responsabili della moschea non vi hanno fatto direttamente riferimento, né al momento della preparazione della Costituzione egiziana nel 2012, né al momento della preparazione di quella emanata nel 2014. Tuttavia, i Fratelli musulmani ne hanno pubblicato online una parte il 3 settembre 2011 su uno dei loro siti[39].



 

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Note
[1] Sayyid Qutb, Pietre Miliari, citato da Gilles Kepel, Le Prophète et le Pharaon, La Découverte, Parigi 1984, p. 46-47.
[2]‘Abd al-Halīm Mahmūd, Al-Mohâsibî. Un mystique musulman religieux et moraliste, in collaborazione con Louis Massignon, Geuthner, Paris 1940.
[3] ‘Abd al-Halīm Mahmūd, Le philosophe musulman: René Guénon ou Cheikh Abdel Wahed Yehia, Éditions Lagnat al-Bayan al-ʿArabi, Le Caire 1954.
[4] Jacques Jomier, Les congrès de l’Académie de recherche islamiques, «MIDEO», n. 14 (1980), p. 95.
[5] Malika Zeghal Gardiens de l’Islam. Les oulémas d’al-Azhar dans l’Egypte contemporaine, Presses de SciencesPo, Paris 1996, p. 156-158.
[6] Dominique Avon, L’université al-Azhar et les sciences venues d’Europe. Le retournement de la fin des années 1950, «Vingtième siècle. Revue d’histoire», n. 130 (aprile-giugno 2016), p. 45-58.
[7] Les gauches en Egypte XIX-XX siècle, numero speciale dei «Cahiers d’histoire. Revue d’histoire critique», a cura di Didier Monciaurd, nn. 105-106 (luglio-dicembre 2006). In particolare, si veda Tewfik Aclimandos, Les officiers et le communistes. Relations et tensions 1945-1954.
[8] Anna Viden, La fausse rupture de la politique américaine face aux Frères musulmans, in Pierre Puchot (a cura di), Les Frères musulmans et le pouvoir, Galaade éditions, Paris 2015, pp. 308-309.
[9] Nabil Mouline, Les Clercs de l’islam. Autorité religieuse et pouvoir politique en Arabie Saoudite, XVIII-XXI siècle, PUF, Paris 2011, pp. 211-222.
[10] Hamadi Redissi, Le Pacte de Nadjd. Ou comment l’islam sectaire est devenu l’islam, Seuil, Paris 2007, pp .238-239.
[11] Bruce Riedel, Kings and Presidents: Saudi Arabia and the United States since FDR, Brookings Institutions Press, Washinghton DC 2019, pp. 27-84.
[12] Michel Potocki, La Constitution de la République islamique d’Iran 1979-1989, L’Harmattan, Paris 2004, p. 120.
[13] Pierre-Jean Luizard, Histoire politique du clergé chiite XVIII-XXI siècle, Fayard, Paris 2014, pp. 203-215.
[14] Mohammad Ali Amir-Moezzi e Christian Jambet, Que’est-ce que c’est le chiisme?, Fayard, Paris 2014, p. 219.
[15] Olivier Roy, L’impact de la révolution iranienne au Moyen-Orient, in Sabrina Mervin (a cura di), Les mondes chiites et l’Iran, Khartala/IFPO, Paris 2007, pp. 29-42.
[16] Gilles Kepel, Jihad. Expansion et déclin de l’islamisme, Gallimard, Paris 2000, p. 76. Stéphane Lacroix, Les Islamistes saoudiens, une insurrection manqué, PUF, Paris 2010, pp. 110-122.
[17] Blandine Chelini-Pont, L’organisation pour la Coopération islamique. Voix mondiale des Musulmans?, «Diplomatie, Grand dossier “Gèopolitique des religions”», n. 16 (settembre 2016), pp. 67-71.
[18] Consiglio Islamico d’Europa, Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo, Parigi, 19 settembre 1981; Mohammad Amin al-Amidani, Les droits de l’homme et l’islam. Textes des Organisations arabes et islamiques, Publications de la Faculté de Théologie protestante, Università Marc Bloch, Strasbourg 2003, p. 67; Traduzione in inglese della dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo del 1990 disponibile sul sito della Biblioteca dell’Università del Minnesota, http://hrlibrary.umn.edu/instree/cairodeclaration.html
[19] Olivier Carré, L’utopie islamique dans l’Orient arabe, Presse de la Fondation National des Sciences politiques, Paris 1991, pp. 81-82.
[20] Rāshid al-Ghannūshī, Al-hurriyyāt al-‘āmma fī-l-dawla al-islāmiyya, Dār al-mujtahid li-l-nashr wa-l-tawzī‘, Tūnis 2011 (1° edizione 1993), p. 401.
[21] Gudrun Krämer, La politique morale ou bien gouverner à l’islamique, «Vingtième siècle. Revue d’histoire», n. 82 (2004), pp. 131-143.
[22] Muhammad Saïd al-Ashmawy, L’islamisme contre l’islam, La Découverte/Al-Fikr, Paris/Le Caire 1989, p. 106.
[23] Tewfik Aclimandos, Splendeurs et misères du clientélisme, «Égypte-Monde arabe », n. 7 (2010), pp. 197-219.
[24] Estratto del memorandum (in lingua araba) del 30 novembre 2009 che definisce il Codice generale dei Fratelli musulmani in riferimento anche ai documenti del 10 maggio 1978, del 29 luglio 1982 e del 28 marzo 1994.
[25] Égypte: le nouveau gouverneur de Louxor démissionne, «Le Monde», 23 giugno 2013, https://www.lemonde.fr/afrique/article/2013/06/23/egypte-le-nouveau-gouverneur-controverse-de-louxor-demissionne_3435051_3212.html.
[26] Amany Fouad Salib, La violence “citoyenne”. Aux fondements du discours politique des différents courants de l’islamisme contemporain. Approche comparative, intervento al convegno internazionale “Islamismes et violence”, curato da Patrice Brodeur, Wael Saleh, Amany Fouad Salib, Università di Montreal, 26 marzo 2019.
[27] Amany Fouad Salib, La conception de l’identité [al-hûwiyya] dans le fondamentalisme islamique sunnite contemporain: une commposante dogmatique essentielle?, «Théologiques », vol. 24, n. 2 (2016), pp. 41-74.
[28] Tewkif Aclimandos, Réflexions sur la révolution et la transition égyptiennes, in Anna Bozzo e Pierre-Jean Luizard (a cura di), Polarisation politiques et confessionelles: la place de l’islam dans les “transitions” arabes, RomaTre, Roma 2015, pp. 129-152.
[29] Il nuovo regime, che ricorre all’uso della violenza, si giustifica affermando che la sua è stata la necessaria risposta a degli atti di violenza precedenti. A titolo d’esempio si veda: https://www.youtu.be/OLynN27wHKE. Al contrario, i Fratelli musulmani denunciarono ripetutamente la violenza iniziale delle forze dell’ordine: https://www.youtube.com/watch?v=3J5VhWS8Z-A.
[30] Amin Élias, Le sheikh Yousef al-Qaradâwî et l’islam du “juste milieu”; jalons critiques, «Confluences Méditerranée», n. 103 (2017), pp. 133-155. Haoues Seniguer (intervista con Clément Pellegrin), Youssef El Qaradawi, fer de lance de l’islamisme sunnite?, «Les clés du Moyen Orient », 13 ottobre 2015, https://bit.ly/2x8xvdE.
[31] Yūsuf al-Qaradāwī, Al-ittihād yu’akkid fatwā al-Qaradāwī, wa yuhadhdhir min sharr mustatīr bi-misr, 10 luglio 2013, https://www.al-qaradawi.net/node/921 e Akkada anna al-tazāhur al-ān fard ayn… al-Qaradāwī yad‘ū al-sha‘b al-misrī wa-l-umma ilā jum‘at ghadab, 15 agosto 2013, https://www.al-qaradawi.net/node/907.
[32] Wael Sahel, La conception de lÉtat au prisme du lien entre le religieux et la politique dans la pensée égyptienne moderne et contemporaine (2011-2015): continuités, évolutions et ruptures, Tesi di Dottorato sotto la supervisione di Patrice Bodeur, Università di Montreal (2016), pp. 456-462. L’estratto del testo presente è tradotto in francese a pp. 355-356.
[33] Il 21 luglio 2019, Ashraf Abd al-Ghaffār, dirigente dei fratelli musulmani, ha lanciato un appello per mettere fine alla divisione del gruppo. Si veda Al-nidā’ al-akhīr, qiyādī ikhwānī yutliq mubādara li inhā’ inqisām al-jamā‘a, «AlJazeera», 21 luglio 2019, https://bit.ly/2VLwPp3.
[34] Enes Bayrakli e Farid Hafez, Islamophobia in Muslim majority Societies, Routledge, Abingdon-on-Thames 2018, p. 218.
[35] Égypte: le procureur général tué dans un attentat, «LeMonde», 29 giugno 2015, https://www.lemonde.fr/afrique/article/2015/06/29/le-procureur-general-d-egypte-victime-d-un-attentat_4663850_3212.html.
[36] Bayān min al-ikhwān al-muslimīn ilā-l-umma hawla al-wāqi‘ al-jadīd li-l-qadiyya al-misriyya, «ikhwanonline» 29 giugno 2019, https://bit.ly/2TqwtT3.
[37] Michele Brignone, Alla ricerca di un riformatore per l’Islam, «Oasis», n. 21 (giugno 2015), pp. 75-82. Wael Saleh, La conception de lÉtat au prisme du lien entre le religieux et la politique dans la pensée égyptienne moderne et contemporaine (2011-2015): continuités, évolutions et ruptures.
[38] Iris Seri-Hersch, From one Sudan to two Sudans: Dynamics of Partition and Unification in Historical perspective, «Tel Aviv Notes» n. 7 (2013), pp. 1-8.
[39] Mashrūʿ al-dustūr al-islāmī alladhī wada‘ahu al-Azhar ‘ām 1977m, https://bit.ly/2IozXPB.

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