Hamas. Che cos’è e cosa vuole il movimento radicale palestinese

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:56

Non è facile dare alle stampe un libro su Hamas a poca distanza dalla vittoria elettorale del 2006 e mentre a Gaza è ancora in corso l’operazione “Piombo Fuso”. Si corre il rischio di farsi continuamente scavalcare dai fatti o di lasciarsi trascinare dalle tante parole che su questo movimento si scrivono e si dicono sui media di tutto il mondo. Se Paola Caridi, storica di formazione e giornalista di professione, ha scelto di farlo è per rispondere a una domanda: «Perché – alle elezioni del 25 gennaio 2006 – Hamas raccolse il consenso della maggioranza dei palestinesi, che esercitarono il proprio diritto/dovere di voto con un senso profondissimo e unanimemente riconosciuto della democrazia e del valore dell’alternanza al potere?» La risposta che emerge nel corso di tutto il libro è chiara: per il profondo radicamento del movimento nella società palestinese. Solo che per afferrare il senso di tale radicamento occorre ripercorrere la storia della Palestina dal 1948 ad oggi. Infatti, se Hamas nasce ufficialmente il 9 dicembre 1987 allo scoppio della prima Intifada, la sua origine remota risale all'affermazione dei Fratelli Musulmani in Palestina dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1948. Pur partecipando alla lotta contro gli israeliani, i Fratelli Musulmani si convinsero, in controtendenza rispetto alle correnti laiche che stavano prendendo piede in tutto il Medio Oriente, che la ricostruzione sociale, politica e nazionale della Palestina sarebbe dovuta passare attraverso il ritorno all'Islam e la formazione del «buon palestinese musulmano». Insomma un’azione da svolgere nelle moschee, in famiglia e in tutti i corpi della società più che nelle piazze o nel confronto politico aperto. L’idea di creare un braccio operativo dei Fratelli Musulmani iniziò a farsi strada nel 1983, quando, dopo la campagna del Libano, l'OLP sembrava aver smarrito la sua incisività. La decisione definitiva di creare Hamas non va tuttavia attribuita direttamente ai Fratelli Musulmani, bensì alla nuova generazione di militanti islamisti nati nei campi profughi palestinesi e guidati dallo shaykh Ahmed Yasin. Dal momento della sua nascita nel 1987 l’identità di Hamas si fonderà sempre più sulla resistenza a Israele, come d’altra parte il suo nome stesso suggerisce (Harakat al-Muqâwama al-Islâmiyya, movimento di resistenza islamica; l’acronimo Hamâs significa “fervore”), e sulla gestione di un impressionante sistema di welfare che, -soprattutto dopo la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese, colmerà il vuoto lasciato da un’amministrazione inefficiente e corrotta. Su questo sottofondo di solidarietà islamica e lotta armata si svolge il tema di un’attività politica che prende le mosse dalle circostanze cui Hamas è di volta in volta chiamata a rispondere. Caridi le segue in un paragone attento sia con la letteratura esistente sul movimento sia, soprattutto, con le numerose testimonianze dei suoi protagonisti. Dalla scelta di avviare la tragica stagione degli attentati suicidi alla decisione di implicarsi direttamente nella contesa elettorale, l’indagine dell’autrice è tutta tesa a scoprire la capacità di Hamas di rispondere alle precise domande politiche che sorgono con il mutare anche repentino degli eventi (il fallimento del processo di pace, la morte di Arafat, la politica di Sharon, le pressioni internazionali). Ne risulta un quadro che tiene giustamente conto di tutta la complessità della situazione palestinese e individua nell'incapacità di rinunciare definitivamente alla resistenza anti-israeliana, di passare «dalla spada al potere», il limite forse più evidente di Hamas. Rimane però l’impressione che quest’analisi, senza dubbio ricca e molto ben documentata, finisca per dare alla tattica politica e al contingente un peso eccessivo a scapito, per esempio, di una spiegazione più esaustiva e chiarificatrice del rapporto fra Hamas e la sua matrice islamista e delle sue innegabili pulsioni violente.

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