A distanza di cinque anni dalla sua prima apparizione pubblica, il leader dello Stato Islamico è tornato a mostrarsi al mondo e ha invitato i jihadisti a una guerra di logoramento

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:06

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Sapevamo che la sconfitta militare dell’Isis in Iraq e in Siria non avrebbe significato la fine dell’organizzazione jihadista, ma soltanto la sua trasformazione. Non era però del tutto chiaro quale narrazione avrebbe caratterizzato il passaggio alla nuova fase. Qualche indicazione arriva dal video di 18 minuti con cui Abu Bakr al-Baghdadi, leader e sedicente califfo dello Stato Islamico, è tornato a mostrarsi al mondo dopo la ben più trionfale apparizione del luglio 2014. Allora, la proclamazione del califfato era stata accompagnata da un’intensa propaganda apocalittica. Alludendo ad antiche profezie, gli ideologi dell’Isis sostenevano che la fine dei tempi sarebbe stata anticipata dalla restaurazione di un ordine politico guidato da un successore legittimo di Muhammad, un califfo. Questa retorica era già stata messa parzialmente in crisi dalle sconfitte militari del 2016. In particolare, la perdita di Dabiq, la città siriana dove una tradizione situa la battaglia finale tra le forze del bene e quelle del male, aveva costretto l’Isis a cessare la pubblicazione dell’omonima rivista.

 

Il tempo, che cinque anni fa i jihadisti dello Stato Islamico dichiaravano essersi fatto improvvisamente breve, si è ora indefinitamente esteso: «Quella dell’Islam contro i crociati è una lunga battaglia», ha detto al-Baghdadi nell’esordio del suo intervento, aggiungendo inoltre che «il jihad continuerà fino al giorno della risurrezione».

 

Il fallimento pratico delle grandi religioni politiche del Novecento, il comunismo e il nazismo, aveva decretato anche il loro fallimento teorico. Il messianismo religioso, e in particolare quello islamista, dispone invece di una risorsa ideologica supplementare: in virtù del loro “martirio”, infatti, i combattenti del jihad vincono anche quando sono militarmente sconfitti. Al-Baghdadi ha così potuto affermare che «Dio ci ha ordinato il jihad, ma non ci ha ordinato la vittoria», dimenticando forse che il proclama con cui nel 2014 lui stesso era stato dichiarato califfo s’intitolava “Questa è la promessa di Dio”.

 

Nel contesto attuale, il nome che riassume la nuova strategia dell’Isis sembra essere “logoramento” (istinzaf). Riferendosi in particolare ai combattenti libici presenti nella città di Fuqaha, al-Baghdadi ha infatti affermato che «la loro è oggi una battaglia di logoramento (ma‘arakat istinzaf)» e ha esortato tutti i jihadisti a «tenere testa ai nemici logorandoli nelle loro possibilità umane, militari, economiche e logistiche». Si tratta di un tema ricorrente tra le organizzazioni jihadiste, per le quali le azioni di guerriglia contro il nemico rappresentano una fase preliminare all’instaurazione di un ordine islamico. Nel suo “La gestione della barbarie”, un manifesto particolarmente rilevante per capire la visione del mondo dell’Isis, l’ideologo noto come Abu Bakr Naji descriveva la strada verso la costruzione del califfato come un percorso in tre tappe: la vessazione (nikaya) del nemico, la gestione della barbarie che ne sarebbe seguita (idarat al-tawahhush) e il consolidamento (tamkin) istituzionale e territoriale. È stato questo l’itinerario seguito anche dallo Stato Islamico per arrivare a proclamare il proprio califfato tra Siria ed Iraq.

 

Per l’Isis, la fase post-statuale sembrerebbe dunque un ritorno alle origini, con la regressione dalla dimensione territoriale alle operazioni di guerriglia. Se sul campo è evidente che la situazione è ormai questa, la propaganda dell’organizzazione jihadista non ha rinunciato a presentare una realtà parzialmente diversa. L’ultima parte del video mette infatti in scena una pantomima in cui quattro emissari del “califfo” lo aggiornano, presentandogli dei dossier, sulla situazione delle province dello Stato Islamico, come se quest’ultimo fosse un’entità ancora integra. Inoltre, già qualche settimana dopo la sconfitta di Baghuz, in un numero del suo bollettino settimanale l’Isis usava la formula “guerra di logoramento”, ma lo faceva per invitare a estendere al resto del mondo la strategia impiegata con successo nel Levante arabo:

 

A differenza di quanto credono alcuni, i combattenti del jihad non si sono impossessati delle città irachene, consolidandovi la loro presenza, dalla sera alla mattina, né hanno creato subito un esercito organizzato capace di fare la guerra in campo aperto contro gli idolatri, ma hanno perseverato per diversi anni in un’estenuante guerra di logoramento […]. Con il permesso di Dio, la guerriglia delle truppe del califfato, che va ora diffondendosi in diversi Paesi, potrà replicare in ogni territorio l’esperienza benedetta della conquista di Mosul […]. Se in Iraq i jihadisti hanno avuto bisogno di circa sette anni per giungere al consolidamento territoriale, oggi la meta è più vicina e arriveremo progressivamente a restaurare il Dar al-Islam e la religione a Oriente e a Occidente.

 

Dopo la sconfitta in Iraq e Siria, lo Stato Islamico sembra dunque puntare alla moltiplicazione su scala globale di piccoli fronti locali. Questo lo rende sempre più simile ad al-Qaida, accrescendo la rivalità con l’organizzazione guidata da Ayman al-Zawahiri per l’egemonia della galassia del jihadismo internazionale. Se fino a qualche tempo fa la propaganda dell’Isis poteva far leva sulla sua dimensione statuale, vantando un traguardo che al-Qaida non aveva mai raggiunto, oggi lo Stato Islamico ha perso questo vantaggio e per questo ha bisogno di aumentare la visibilità delle proprie azioni. Sembra essere questa la logica soggiacente agli attentati in Sri Lanka: un attacco contro turisti e cristiani, in un Paese a larga maggioranza buddista e indù, e dunque pensato più per il suo impatto simbolico che per il suo effettivo valore strategico. Si spiega nella stessa prospettiva il riferimento di al-Baghdadi a due fronti africani, il Mali e il Burkina Faso, nei quali al-Qaida è stata finora più attiva, e l’invito a muovere il jihad anche in Sudan e in Algeria dopo la caduta nei due Paesi dei rispettivi “tiranni”.

 

Solo qualche mese fa, un analista osservava che il jihadismo sunnita stava evolvendo verso forme di militanza locale. La nuova strategia dell’Isis, che è indebolito ma non sconfitto, lascia pensare che la fase del terrorismo transnazionale non sia finita.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis.

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