Loredana Ricci, Maghreb & mondializzazione. Sfide aperte su percorsi incrociati, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 2007

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:15

Si è detto e scritto da più parti che le rivoluzioni nordafricane hanno colto tutti di sorpresa. Molti osservatori si erano infatti intestarditi sullo schema, rivelatosi riduttivo, di uno spazio pubblico arabo-islamico dominato da due soli attori: i regimi autoritari al potere e la contestazione islamista. Eppure negli ultimi anni non sono mancati analisti che hanno percepito in quale direzione si stessero muovendo le società arabe. Tra questi merita di essere citata Loredana Ricci, che con il suo Maghreb & Mondializzazione, ha offerto in tempi non sospetti – il libro è stato pubblicato nel 2007 – un’interpretazione molto penetrante, e a tratti profetica, dell’evoluzione dei Paesi maghrebini. Il rapporto di questi ultimi con la globalizzazione viene indagato a partire da tre angoli visuali (la trasformazione demografica e i giovani, la razionalità economica e le politiche neoliberali, i media e le nuove tecnologie dell’informazione), attraverso i quali si capisce bene quanto intenso sia il travaglio delle popolazioni nord-africane. Alcuni passaggi del volume fanno anzi pensare che non solo le odierne rivoluzioni fossero in fondo prevedibili, ma addirittura annunciate. Il dissenso espresso dalla gioventù nelle strade non è infatti una novità. Negli ultimi vent’anni, episodi simili a quelli a cui abbiamo recentemente assistito si sono verificati a più riprese, a partire dall’Algeria, dove già nel 1988 gruppi di giovani tra i dodici e i diciotto anni avevano messo in discussione il potere. D’altra parte sono proprio i giovani a sperimentare più in profondità le contraddizioni di un epoca sospesa tra vorticosi cambiamenti e ingiustificabili immobilismi, e a portare più drammaticamente alla luce i tanti problemi irrisolti dei regimi e delle società post-coloniali, dal tormentato rapporto tra tradizione e modernità, al mancato sviluppo, alla fragilità dei sistemi d’istruzione. Le nuove generazioni esprimono così «con particolare virulenza l’incapacità dell’organizzazione interna di rispondere all’incremento della domanda e delle aspirazioni» (p. 46). Emblematica è la lettura offerta dall’autrice della situazione tunisina, dove il «grave “divorzio tra la società e la sua scuola”» fa emergere «“eserciti di diplômés-chômeurs” che costituiscono una minaccia per il regime» (p. 59). Le politiche economiche neo-liberali e i programmi di aggiustamento strutturale incoraggiati dai Paesi occidentali e imposti dagli organismi internazionali non hanno peraltro migliorato la situazione. Semmai hanno contribuito ad acuirne le tensioni, favorendo una crescita economica senza reale sviluppo e a esclusivo beneficio di élite corrotte e autoereferenziali. Nel 2007 Loredana Ricci non aveva ancora potuto approfondire la grande esplosione che di lì poco avrebbero avuto i social network. Aveva però ben compreso luci e ombre della rivoluzione mediatica, a partire dall’impatto dei canali satellitari, capaci, come Al-Jazira, «di mettere in luce le numerose fragilità e opacità dei regimi arabi, così da rompere il monopolio che essi avevano finora esercitato sulla gestione dell’informazione» (p. 281). Se dunque l’autrice ha deciso, a giusto titolo, d’inserire il sistema delle comunicazioni tra i grandi protagonisti delle trasformazioni in atto sulla sponda meridionale del Mediterraneo è perché «negli anni della decolonizzazione il Maghreb aveva cercato disperatamente un “eroe” capace di aprire nuovi spazi alle potenzialità creative delle popolazioni. Oggi è la comunicazione-mondo che tende con forza a inserirsi in questo spazio di aspirazioni, cercando di imporsi come nuovo “valore”, e in tal senso colmare le forme dei tanti vuoti» (p. 288). Supportata da una vasta bibliografia, l’analisi proposta da Loredana Ricci è molto convincente, sebbene a tratti eccessivamente concentrata sulle grandi traiettorie e gli orizzonti imposti dalla globalizzazione, illustrati con una certa ridondanza anche stilistica, a scapito di una penetrazione più diretta nella concretezza del vissuto delle società maghrebine. Ma, riletto nel 2011, il libro ha soprattutto una grande lezione da offrire: è vero che i processi storici non sono mai “catturabili” a priori – nessuno avrebbe potuto prevedere il gesto del tunisino Bouazizi e le sue conseguenze – ma un’osservazione attenta della realtà aiuterebbe senza dubbio a farsi cogliere meno impreparati.