Le parole di Benedetto XVI al mondo della cultura e della politica, e ai giovani, durante la visita in Libano

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:31

Una certa retorica del “Paese messaggio” non è nuova in Libano. Ufficialmente tutto va bene, la guerra civile è archiviata e la concordia regna sovrana. «Ma come regola generale bisogna sempre postulare una certa distanza tra le dichiarazioni e le azioni» ci ricordava l’altro giorno il filosofo Nassif Nassar. E anche nei numerosi discorsi di natura politica programmati durante la visita apostolica, all’arrivo in aeroporto venerdì e soprattutto al palazzo presidenziale, sabato mattina, si poteva insinuare il rischio di una celebrazione acritica della vita in comune all’ombra dei cedri. In realtà che le cose sarebbero andate più in profondità lo si era già capito dal discorso con cui il Presidente della repubblica, Michel Sliman, aveva accolto il Papa al Palazzo presidenziale. Certo, i saluti e le dichiarazioni di rito non erano mancati. Ma il Presidente libanese da un lato aveva esortato i cristiani a partecipare maggiormente all’edificazione del bene comune (ciò che può essere letto come un’ammissione implicita di una difficoltà) e dall’altro aveva sottolineato con quanta preoccupazione il Paese dei Cedri guardi agli avvenimenti circostanti, insistendo sulla neutralità del Paese, attorno a cui tutte le forze politiche hanno raggiunto un accordo. «I libanesi augurano alla Siria quella libertà e quella riconciliazione che desiderano per se stessi» è stato forse il passaggio chiave. Come a dire che il brand libanese della convivenza conosce anch’esso le sue difficoltà. Il motivo di questa difficoltà lo ha spiegato il Papa in uno dei passaggi più forti del suo discorso. «Il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o determinista. Il male, il demonio, passa per la libertà umana, per l’uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l’uomo». E il Benedetto XVI è in particolare rattristato da quanto sta avvenendo in Siria, come ha dichiarato in serata ai giovani. Occorre perciò una conversione, che sola può assicurare l’intesa tra le culture e le religioni e un certo senso della giustizia e del bene comune. Da qui deriva l’impegno per la pace, per la libertà religiosa, a favore della vita e contro ogni forma di violenza verbale o fisica, che non può mai trovare una giustificazione di tipo religioso. Come altrove si parlerebbe del tempo, in Libano è d’uso cominciare una conversazione, soprattutto con gli stranieri, con qualche considerazione geo-politica. Pensando alle dimensioni ridotte del Paese, stretto tra potenti vicini, e alla sua storia tormentata, l’opzione è assolutamente legittima e comprensibile. Il Papa ricorda però che queste considerazioni sul contesto generale non devono sostituirsi all’azione concreta dei singoli. Come quella dei giovani libanesi impegnati con la Caritas a portare aiuto ai profughi siriani. Si confrontano con una realtà quasi nascosta, per evitare di turbare gli equilibri del Paese, e ogni giorno toccano con mano la sofferenza e l’impotenza. «L’inazione degli uomini di bene – ha affermato Benedetto XVI, quasi rispondendo loro – non deve permettere al male di trionfare. È ancora peggio che non fare nulla». Il vivere insieme, il modello libanese, resta un esempio nella regione. Esso ha una dimensione provvidenziale («è scelto da Dio»), ma non è dato una volta per tutte: va riguadagnato ogni giorno, scegliendo consapevolmente che è meglio essere con piuttosto che contro, cioè valorizzando il bene pratico dell’essere insieme, quel «desiderio di conoscere l’altro» che il Papa indica come fondamento di una società plurale. «Al di là delle manifestazioni esteriori, il dato più importante della visita è che i libanesi musulmani hanno accolto Benedetto XVI non come un ospite dei loro vicini cristiani, ma come qualcuno che veniva anche per loro», commenta Ibrahim Shamseddine, presidente di una fondazione culturale sciita con sede a Beirut sud. Il Libano appare vibrante sul piano economico, almeno nei quartieri chic del centro di Beirut, ma bloccato su quello istituzionale dalla paura che impedisce di toccare lo status quo. In questo senso, l’invito del Papa a giocarsi di persona potrebbe contribuire a creare un clima di rinnovata fiducia, presupposto per ogni cambiamento, anche a livello dell’architettura politica.