Sarajevo è la città dove per secoli hanno convissuto musulmani, cristiani di diverse confessioni ed ebrei. I segni di questa convivenza rimangono visibili sia nell’architettura che nel tessuto sociale della città. Ma oltre che dalle cicatrici della guerra, essa rischia oggi di essere compromessa da una difficile situazione politica ed economica.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:11

Dopo l’Albania, la Bosnia. Papa Francesco continua a dedicare un’attenzione speciale ai Balcani, periferia d’Europa a maggioranza ortodossa e caratterizzata dalla presenza di numerose comunità islamiche. E proprio ortodossi e musulmani sono, per ragioni diverse, due interlocutori fondamentali di questo pontificato. Ma se in Albania il pontefice si è misurato con una realtà di pacifica convivenza tra le religioni, agevolata dal fatto che le confessioni presenti nel Paese condividono la stessa appartenenza etnica e hanno conosciuto la medesima persecuzione da parte del regime comunista, non altrettanto si può dire della Bosnia-Herzegovina. La sanguinosa guerra degli anni Novanta tra serbi, musulmani e croati è stata congelata dagli accordi di Dayton del 1995, ma a prezzo della creazione di una burocrazia elefantiaca che soffoca il Paese. E così, spente le luci sul centenario della prima guerra mondiale, la Bosnia rimane al palo della crescita, mentre sotto la cenere cova il fuoco della protesta. Peraltro i motivi d’interesse di Sarajevo vanno oltre la magnifica architettura che, nella sua commistione di stile ottomano e asburgico, ricorda al visitatore che qui l’Islam è davvero europeo. Alcune immagini da cartolina non corrispondono più alla realtà. È vero, in meno di quattrocento metri si protendono verso il cielo una sinagoga, due cattedrali (cattolica e ortodossa) e una grande moschea. Ma di fatto la comunità ebraica, dopo aver regalato al mondo capolavori come la famosa Haggadah illustrata, è quasi scomparsa, a causa dello sterminio nazista. E la cattedrale ortodossa che pure svetta nel centro della città vecchia è ben poco frequentata, dopo che la pulizia etnica degli anni Novanta ha dato vita alla “nuova Sarajevo” serba. Anche se per transitare da una zona all’altra non è richiesto il controllo documenti, il fossato che separa le due città rimane molto profondo. Altre immagini sono forse meno turistiche, ma non per questo meno incisive. Ad esempio, in un contesto in cui la minoranza cattolica paga doppiamente il difficile contesto economico, la scuola cattolica “Sveti Josip”, unica realtà multi-etnica della capitale, accoglie studenti delle tre confessioni religiose. E se spesso si ripete, con maggiore o minore fondamento, che la difficoltà principale nella relazione con i musulmani risiederebbe nell’assenza di un’autorità centrale, questo non è certo il caso di Sarajevo, dove la dominazione austriaca ha lasciato in eredità una complessa architettura gerarchica all’interno della comunità musulmana. La facoltà teologica islamica, aperta dagli austriaci, continua a produrre una riflessione vivace sul ruolo dell’Islam all’interno di uno Stato laico e liberale, unita al tentativo di preservare il profilo caratteristico dell’Islam bosgnacco (turco di cultura, aperto al sufismo, hanafita in diritto, maturidita in teologia), a fronte dell’avanzata, anche localmente, dell’islam wahabita, nelle sue declinazioni quietiste e militanti. In fondo, Sarajevo non è sorta a tavolino e nessuno ha progettato di costruire la Gerusalemme dei Balcani come un grandioso “parco delle fedi”. Ben più concretamente, le diverse confessioni religiose si sono ritrovate sulle rive del fiume Miljacka per ragioni commerciali, perché conveniva. Da lì è nato tutto il resto. Così forse una soluzione ai problemi sociali che attanagliano oggi la popolazione e che privano molti della prospettiva di un futuro permetterà, più di tante iniziative simboliche, una nuova sintesi culturale.