In un’intervista rilasciata nel 1994 a una rivista kuwaitiana, l’allora sindaco di Istanbul raccontava la sua formazione politica, dichiarava il suo impegno per la reislamizzazione della città e annunciava che un giorno il suo partito avrebbe riaperto Santa Sofia al culto

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:07

Il populismo nazional-islamista che caratterizza oggi il linguaggio e l’azione politica di Erdoğan e dell’AKP è spesso considerato una deriva rispetto alla moderazione manifestata dal partito islamico turco nei suoi primi mandati di governo (2002-2010). Anche la decisione del presidente turco di riconvertire Santa Sofia in un museo è stata interpretata come un tentativo di distrarre l’attenzione dai problemi economici del Paese. Certamente nella mossa di Erdoğan hanno pesato considerazioni di ordine politico, ma più che un tradimento del passato, l’atteggiamento odierno del presidente turco sembrerebbe un ritorno alle origini. È l’impressione che si ricava leggendo un’intervista rilasciata nel 1994 alla rivista kuwaitiana Al-Mujtama‘ e rilanciata nei giorni scorsi sui social dalla rivista stessa. Erdoğan vi annunciava i suoi piani di rilancio per Istanbul e la sua volontà di moralizzare la vita della città (una parte consistente del testo è dedicata alla lotta alla prostituzione dilagante, un problema che gli stava particolarmente a cuore), ma l’insistenza sulla tradizione islamica turca e i riferimenti alle cospirazioni di cui il suo Paese sarebbe stato vittima annunciavano già alcuni dei temi che avrebbero caratterizzato le fasi più recenti della carriera politica del leader dell’AKP.

 

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Al-Mujtama‘: Per prima cosa, vorremo chiederle quali sono stati i suoi primi passi in politica e qual è il suo rapporto con l’attivismo islamico?

 

Erdoğan: Ho 40 anni, sono nato nel 1954 e provengo da una famiglia conservatrice che si è trasferita da Rize a Istanbul. Ho studiato nelle scuole religiose per imam e predicatori, dove ho imparato il giusto mezzo nelle decisioni e nel credo. Mi sono poi iscritto alla Facoltà di Scienze economiche e gestionali dell’università di Marmara, dove ho ottenuto la laurea. Successivamente mi sono unito al Partito della Salvezza nazionale (Millî Selamet Partisi, NdR), che all’inizio il regime aveva accettato, prima della fondazione del Refah (insieme al Partito della Salvezza nazionale, uno dei partiti islamici turchi fondati da Necmettin Erbakan prima della creazione dell'AKP, NdR). Nel 1985 ero a capo della sezione giovanile del partito per il distretto di Beyoğlu. Nel 1986 sono diventato presidente della sezione giovanile di Istanbul e, quando nel 1984 è stato fondato il Refah, sono diventato capo della sezione del nuovo partito a Beyoğlu. Infine, nel 1986 sono diventato membro del consiglio direttivo del Refah. Ho dunque vissuto sin dall’infanzia in un ambiente islamico, che mi ha nutrito e mi ha educato al suo metodo, ciò che ha plasmato anche la mia esperienza professionale, sia nella società del trasporto pubblico d’Istanbul che nel settore privato nel quale ho lavorato. Questo smentisce che io sia arrivato dal nulla o dall’ombra. Ho infatti sempre fatto parte del Refah, nelle cui attività l’individualità del singolo si dissolve per il bene del gruppo. È questo che abbiamo imparato e a cui siamo stati educati nel partito, quella scuola che ha beneficiato delle esperienze e dagli orientamenti simili presenti in altri Paesi islamici.

 

 

Al-Mujtama‘: In che cosa l’esperienza del Refah alla guida della città di Istanbul sarà diversa dalle altre e quali sono i suoi progetti immediati e futuri?

 

Erdoğan: Prima di tutto promettiamo ai cittadini un’amministrazione pulita, che lotterà contro la corruzione e offrirà servizi per il bene del popolo. Col volere di Dio, renderemo Istanbul la città più bella e pulita del mondo affinché sia un centro di attrazione a livello globale. Risolveremo i problemi dell’acqua, del traffico e dell’inquinamento, riporteremo il verde in città, restituiremo a Istanbul lo splendore della sua eredità storica, affinché torni a essere come in passato un centro culturale, commerciale e di civiltà. Le ridaremo cioè il suo posto nella storia.

Abbiamo un piano immediato per i primi cento giorni, in modo da correggere gli errori che si sono accumulati. Avremo un rapporto diretto con la popolazione e io riceverò i suoi reclami sul computer. Abbiamo formato un consiglio di esperti incaricato di trovare una soluzione ai problemi legati all’acqua e alle comunicazioni. Restituiremo a Istanbul il suo volto islamico affinché tutti vedano la differenza tra questo e gli altri volti, e inviteremo tutti i convegni islamici internazionali a tenere i loro lavori a Istanbul.

 

 

Al-Mujtama‘: Come si fa a restituire a Istanbul il suo volto islamico con i vincoli della legislazione vigente?

 

Erdoğan: Più del 90% dei cittadini di Istanbul sono musulmani, e perciò non sarà difficile convincerli in merito ai nostri progetti, che avranno innanzitutto un’impronta missionaria, mostrando la grandezza dei nostri monumenti islamici. Nessuna delle nostre azioni sarà in contraddizione con il nostro credo e questo contribuirà a mostrare la nostra personalità islamica. Opereremo tuttavia nel quadro delle leggi vigenti, dal momento che non possiamo cambiarle. Per esempio il comune è proprietario di molti ristoranti nei quali impediremo la somministrazione di alcolici e proibiremo ciò che viola i principi islamici. Se vado in un locale in cui si serve il vino non posso chiedere perché ciò avvenga. A noi si potrà chiedere perché non serviamo alcolici.

Il comune di Istanbul è inoltre proprietario di molte case in cui si pratica la prostituzione. Abbiamo il potere di chiuderle e inviteremo la popolazione a evitare le altre case di tolleranza di cui non abbiamo il controllo. Sulla questione faremo dei sondaggi nell’opinione pubblica e ci consulteremo con il popolo, nel quale abbiamo piena fiducia e che si è già distinto per aver scelto il partito islamico Refah, che vuole un sistema giusto d’ispirazione islamica e invita ad adottare principi morali corretti. Io considero le case di tolleranza un crimine contro l’umanità. Non c’è infatti differenza tra chi vende le persone al mercato degli schiavi e chi invece vende l’onore delle donne in quelle case. È un attentato alla personalità della donna. Penso che nessuno possa sopportare di vedere la propria moglie, la propria figlia o la propria sorella lavorare in quei posti. Inviteremo tutti, con parole miti e con la buona esortazione, a stare alla larga da tutto ciò. Siamo assolutamente convinti che la maggior parte delle donne che lavorano in questa palude vogliano fuggirne, ma non possono farlo perché temono di essere uccise dalla mafia che le controlla. Lo prova il fatto che il 49% di queste donne ha votato il Refah, che porge loro una mano per allontanarsi da questa strada, e questo secondo quanto pubblicato dagli stessi giornali turchi che ci avversano.

 

 

Al-Mujtama‘: Ci sono altre questioni su cui s’insiste di più. Considera comunque una priorità il contrasto alla prostituzione?

 

Erdoğan: La questione morale è molto importante. È per la loro immoralità che sono stati distrutti gli ‘Ād e i Thamūd (due popolazioni che secondo il Corano subirono il castigo di Dio a causa della loro arroganza e della loro disobbedienza, NdR), ed è sempre l’immoralità ad aver causato il crollo di altre comunità. Credo sia anche uno dei motivi della caduta del comunismo, anche se i giornali non lo ricordano. La nostra religione si preoccupa molto per gli aspetti morali e se il Refah non s’impegnasse a contrastare l’immoralità il problema si aggraverebbe. Come noto, ammonta infatti a 300.000 il numero ufficiale delle prostitute che lavorano a Istanbul, mentre quelle non ufficiali sono 100.000, a cui si aggiungono quelle che provengono dall’Europa dell’Est e dalla Russia. La prostituzione comporta la corruzione morale della società e credo che questo sia uno dei mezzi utilizzati per assoggettare la Turchia e mantenerla in uno stato di lacerazione e disordine. Per questo chiuderemo tutte le case del comune di Istanbul in cui si pratica questa attività e aiuteremo chiunque voglia redimersi. Sono state infatti alcune di queste donne a dire che presteranno la loro voce al Refah anche se quest’ultimo chiuderà le case di tolleranza. Esse hanno inoltre confermato di essere state ingannate e di lavorare in questo settore loro malgrado, perché se avessero tentato di scappare sarebbero state uccise. È dunque nostro dovere aiutarle e offrire loro delle alternative. Dobbiamo affrontare questo problema anche se le leggi ci impediscono di dar seguito a quanto desideriamo. Faremo comunque tutto quello che ci è consentito.

 

 

Al-Mujtama‘: C’è qualche intenzione di riportare la capitale a Istanbul? E come si può impedire che Ayasofya torni a essere una chiesa dopo essere stata trasformata in un museo?

 

Erdoğan: Il trasferimento a Istanbul della capitale è una prerogativa parlamentare, dunque noi non abbiamo il potere di deciderlo, anche se alcuni deputati del Refah, e altri insieme a loro, hanno suggerito questa riforma per sbarrare la strada alle ambizioni dei greci, che vogliono recuperare Istanbul. Per quanto riguarda Ayasofya, per nessun motivo tornerà ad essere una chiesa. Non è altro che una malata fantasia crociata. La moschea è un waqf (fondazione pia, NdR) perpetuo dei musulmani e la sua destinazione deve rimanere tale. Come sappiamo, il sultano Mehmet il Conquistatore non ha usurpato la chiesa di Ayasofya quando ha conquistato Istanbul, ma l’ha acquistata con il suo denaro, l’ha trasformata in moschea e l’ha istituita in waqf per la Umma, dicendo: «Che la maledizione di Dio e del suo Profeta ricada su chi la utilizzerà per scopi diversi da questo». Sappiamo anche che il leader del Refah Necmettin Erbakan ha annunciato a tutti che riaprirà Ayasofya al culto. È una promessa e un debito che il Refah ha assunto su di sé, e che manterrà quando avrà la possibilità di farlo.

 

 

Al-Mujtama‘: Queste dichiarazioni hanno spaventato in particolare alcune minoranze di Istanbul, che considerano la vittoria del Refah una minaccia ai loro interessi. Come commenta questi timori?

 

Erdoğan: Su questo seguiamo la via del nostro Nobile Messaggero (Maometto, NdR) – che Dio lo benedica e gli conceda la pace: le minoranze hanno vissuto la loro epoca d’ora durante il governo islamico. Per questo dopo la vittoria del Refah abbiamo deciso che tutte le minoranze presenti a Istanbul – gli armeni, i greco-ortodossi, gli ebrei – avrebbero avuto un rappresentante nel consiglio comunale, scelto da loro, che possa svolgere la funzione di consulente per le questioni specifiche di ognuna di esse. Non sarà il comune a sceglierli, ma demanderà la cosa alle assemblee particolari di ogni minoranza.  Si tratta di un metodo mai adottato prima del Refah, dunque perché avere timore?

 

 

Al-Mujtama‘: Il vostro annuncio di costruire una moschea a Piazza Taksim ha suscitato un grande clamore.  Perché questa scelta, nonostante Istanbul abbia più di mille moschee, tra quelle nuove e quelle antiche?

 

Erdoğan: Con il volere di Dio la moschea verrà costruita perché in quell’area manca una moschea congregazionale (in cui si svolge la preghiera comunitaria del venerdì, NdR). La più vicina è la moschea Ağa (sic), e la zona necessita di una sua moschea. Ma il clamore si è sollevato perché piazza Taksim è il luogo dei complessi culturali kemalisti, dove ci sono anche luoghi di divertimento e case di tolleranza e dove è più visibile l’impronta occidentale. È per questo che la decisione di erigervi la moschea ha agitato gli occidentalizzati. Ma noi l’abbiamo promesso alla popolazione di quella zona e abbiamo vinto sia nella municipalità di Beyoğlu da cui dipende quella piazza che al comune di Istanbul.

 

 

Al-Mujtama‘: Sono stati sollevati molti dubbi riguardo al principale finanziatore della sua campagna elettorale. Qual è la verità su queste voci, che noi consideriamo false?

 

Erdoğan: Ci hanno accusati di ricevere finanziamenti da alcuni Paesi arabi, ma nessuno è in grado di dimostrarlo dal momento che quei finanziamenti sono inesistenti. I nostri finanziamenti principali provengono dall'oro delle donne turche devote. Sì, quell'oro ce l’hanno dato con entusiasmo per sostenere la campagna elettorale, che è stata la più grande in Turchia. Conservo ancora il braccialetto di una bambina di nome Aisha Nur, che la madre aveva portato in dono insieme ad altri gioielli. Quando ho provato a ridarle il bracciale della bambina, lei mi ha detto che era stata Aisha a sfilarselo dalla mano per donarlo allo zio Recep Tayyep. Sono state le donne turche le vere finanziatrici della campagna del Refah. Anche la maggior parte dei membri del partito hanno messo a disposizione il proprio tempo e le loro automobili per contribuire alla campagna senza chiedere nulla in cambio. È questo che gli altri partiti non riescono a fare ed è questa la differenza tra i membri del Refah e i membri degli altri partiti.

 

 

Al-Mujtama‘: È d'accordo con l'affermazione di sua moglie, secondo cui lei avrebbe vinto con le voci e gli sforzi delle donne?

 

Erdoğan: Sì, confermo. Non si può negare il ruolo della donna turca musulmana nel sostenere me e il Refah. Esse credono che il partito sia la soluzione a tutti i problemi del Paese e delle persone, e che li proteggerà dalle cospirazioni morali. Consiglio a tutti partiti simili al Refah di interessarsi al ruolo della donna.

 

 

*Titolo originale dell’intervista: Sa-nu‘īd al-wajh al-islāmī ilā Istanbūl wa sawfa-ya‘ūd Āyā Sūfyā ka-masjid li-l-muslimīn (Restituiremo a Istanbul il suo volto islamico e Santa Sofia tornerà una moschea), «Al-Mujtama‘», n. 1097, 26 aprile 1994, http://www.mugtama.com/archive-pdf.html?task=document.viewdoc&id=1095, traduzione dall’arabo a cura della redazione di Oasis.
 

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