Sergio Romano, Con gli occhi dell’Islam. Mezzo secolo di storia in una prospettiva mediorientale, Longanesi, Milan 2007

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:49:28

Il fattore ‘islam’ sembra ormai quello destinato a prevalere nelle vicende – e, purtroppo, soprattutto nei conflitti – che interessano l’ampia area geografica che potremmo definire ‘Medio Oriente allargato’ sia al suo interno che nella prospettiva internazionale. L’autore ne prende atto ma, da storico di spessore qual è, non si rassegna all’interpretazione corrente che vede nelle attuali tensioni solo l’ultima e inevitabile manifestazione dello scontro inevitabile tra un mondo musulmano percepito come fanatico e violento per sua stessa natura e un Occidente altrettanto geneticamente teso al pluralismo e alla tolleranza. Se si spinge lo sguardo più a fondo nel tempo – e basta allargarlo a una cinquantina d’anni, senza dover risalire alle Crociate o a Maometto – la prospettiva cambia e non è più tanto difficile arrivare a comprendere anche lo sguardo con cui gli altri percepiscono inevitabilmente in modo diverso e spesso ribaltato quanto a noi sembra evidente e indiscutibile. Non si tratta di relativismo, né tantomeno di giustificare ogni efferatezza tirando in ballo le colpe del colonialismo, il neo-imperialismo americano, o il complotto giudaico-massonico di turno. Romano non è uomo da simili cadute di stile che gli sono totalmente aliene sia idealmente che professionalmente, ammesso e non concesso che i due livelli possano divaricarsi in chi mantenga un’onestà intellettuale di fondo. Scienza e coscienza gli impediscono semplicemente di rimuovere quanto ha segnato dolorosamente la storia recente di questa parte del mondo, mettendo le basi di un’involuzione che colpisce anzitutto i suoi stessi abitanti prima ancora di avere ripercussioni all’esterno. L’alternativa sarebbe quella di arrendersi alla poco edificante conclusione che un’intera categoria di esseri umani - a causa della loro etnia, lingua o religione – sono ‘destinati’ a non poter avere dei governi decenti, a non poter godere dei diritti elementari della persona e della società, persino a doversi vicendevolmente scannare in nome di qualche forma d’appartenenza (tribale, razziale, confessionale e così via…) solo per aver avuto la malasorte di nascere sulla sponda ‘sbagliata’ del Mediterraneo. La ragione, usata coerentemente, consente di analizzare i fattori in gioco in modo assai più proficuo. Ecco allora che anche i più aspri conflitti appaiono, come in ogni epoca e in qualsiasi altra parte del mondo, il frutto avvelenato di una perversa commistione: “in cui le motivazioni etnico-religiose s’intrecciano con potenti interessi stranieri, ambizioni di leader locali, strategie criminali di affaristi che approfittano della guerra per i loro traffici di armi, contrabbando, droga”. Non sono considerazioni limitate al solo Libano e alla sua devastante guerra civile, ma – mutatis mutandis – piuttosto il canovaccio di fondo su cui anche altre crisi sono intessute: da quella arabo-israeliana all’Iran, dall’Afghanistan all’Iraq, dall’Egitto alla Siria… Assumere lo ‘sguardo dell’altro’ – lo ripetiamo – non serve dunque a relativizzare le colpe di ciascuno nella poco consolante e potenzialmente deresponsabilizzante prospettiva che parcellizza l’origine di ogni problema in una tale serie di con-cause da indurre a non capire più le mancanze e gli errori dei singoli protagonisti. E’ vero esattamente l’opposto, in quanto solamente una riconsiderazione fredda e imparziale di tutti gli elementi in gioco può insegnare – a chi davvero lo voglia – in quali trappole non ricadere (o a quali trucchi rinunciare) per poter finalmente intravedere una via d’uscita che necessariamente chiederà a ciascuno di rinunciare a qualcosa, in vista di una soluzione che sarà tale proprio perché non costituirà il prevalere dell’interesse di una sola parte a danno delle altre, ma un compromesso ragionevole che tenga conto delle legittime aspirazioni di tutti.