Nella prima età moderna Venezia ha svolto un ruolo chiave nella riapertura dei contatti tra la chiesa maronita e l’Europa. Un’icona racconta questo legame.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:15

Qualche anno fa il restauro di un’icona dipinta a Venezia nel 1593 e conservata attualmente presso il monastero di Dimane nella Valle Santa (Qadisha) in Libano ha ricordato i legami che uniscono Venezia ai maroniti, Chiesa cattolica di rito orientale. Il pittore cretese Carmelo realizzò l’icona della Dormizione della Madre di Dio per il patriarca Sarkīs al-Rizzī (1581-1596), che ha rappresentato in modo sorprendente nella parte inferiore dell’icona, in posizione eretta e con un monaco che, da dietro la schiena, gli sostiene il braccio: all’epoca infatti, il patriarca maronita aveva sotto la sua giurisdizione un centinaio di monasteri nel Monte Libano. Non meno notevole, un’iscrizione in caratteri siriaci, la lingua liturgica dei maroniti, fa di questa icona una vera e propria sintesi della tradizione bizantina, siriaca e latina.

 

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Icona della Dormizione della Madre di Dio

 

Da Venezia al Monte Libano

 

Realizzata all’origine per il monastero patriarcale di Nostra Signora di Qannoubine, quest’opera d’arte illustra come, a partire dal sedicesimo secolo, i maroniti abbiano potuto mantenere un contatto salutare con la Chiesa di Roma grazie alle navi veneziane, che erano considerate come le più sicure e regolari del Mediterraneo. Da un lato, Venezia era la porta dell’Oriente. Dall’altro, il porto di Tripoli era il polmone dei maroniti sul Mediterraneo, come pure il passaggio obbligato dei missionari francescani e gesuiti per raggiungere Qannoubine.

 

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Monastero patriarcale di Nostra Signora di Qannoubine, Libano

 

Per prudenza, i missionari arrivavano a Tripoli travestiti da pellegrini o mercanti. Nel 1596 per esempio i gesuiti Dandini e Fabio Bruno vestono gli abiti di pellegrino e di veneziano per il viaggio e cambiano di nome. Nel 1588 il canonico di Siviglia Francisco Guiriro incrocia al porto di Tripoli «i commercianti di mezzo mondo», tra cui nove mercanti italiani di ritorno dall’India e diretti a Venezia. A causa del commercio, in particolare del cotone, la Serenissima aveva nominato a Tripoli nel 1442 il suo primo console, che era al tempo stesso a capo delle colonie veneziane di Hama, Lattakia e Aleppo. Più di un secolo dopo, nel giugno 1578, è proprio il console di Venezia ad accogliere il gesuita Giovanni Battista Eliano, inviato di papa Gregorio XIII presso il patriarca Mikhā’īl al-Rizzī per l’attuazione del Concilio di Trento.

 

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Raffigurazione di Tripoli, Libano

 

Il francescano Suriano, arrivato in Terra Santa nel 1480, scrisse nelle sue memorie che aveva scelto di passare per Venezia e non dalla Calabria e dalla Sicilia, più vicine a Roma, perché sapeva che in laguna avrebbe trovato un rapido imbarco a causa del grande movimento commerciale. Nessun’altra nazione, a suo avviso, era meglio protetta dai pirati. E in effetti Suriano compie il viaggio da Venezia a Beirut in diciotto giorni, con un solo scalo tecnico a Modone, nel Peloponneso.

 

Dal Monte Libano a Venezia e Roma

 

Ma non c’erano solo missionari (o icone) che da Venezia prendevano la via dell’Oriente. Il viaggio si faceva anche nell’altro senso. I primi maroniti a recarsi a Venezia alla fine del XV secolo erano stati reclutati nei villaggi del Monte Libano dal missionario francescano Fra Gryphon. Dopo qualche tempo passato a Gerusalemme, i tre giovani novizi erano stati inviati a Venezia e quindi a Roma, per completare la loro formazione. A Venezia avevano trovato ospitalità presso il convento di San Francesco della Vigna. Uno di questi giovani maroniti ammessi nell’ordine francescano fu Gabriel Ibn al-Qilā‘ī (1447-1516), il primo scrittore maronita moderno, noto soprattutto per un celebre poema sulla storia del Monte Libano. Ai suoi tempi Venezia aveva il monopolio del pellegrinaggio in Terra Santa. Dalla città lagunare ci si poteva recare a Giaffa, porto di Gerusalemme, una volta soltanto all’anno, quando i pellegrini erano raggruppati e organizzati in convogli.

 

L’apertura del Collegio Maronita a Roma nel 1584 aumentò ulteriormente l’importanza di Venezia come porto di destinazione dei maroniti. Ma a Tripoli l’imbarco dei futuri allievi del Collegio era strettamente sorvegliato dai Pasha ottomani. A causa di una legge che sottometteva al tributo tutti i non-musulmani a partire dall’età di dieci anni, i candidati destinati a Roma dovevano essere necessariamente dei bambini. Sono state conservate diverse testimonianze in proposito, tra cui quella del sacerdote Juan Severio di Vera: «All’epoca del Papa Gregorio XIII (1572-1585), venti giovani maroniti andarono a Roma, tra cui i due preti che sono saliti con me nella montagna… Il patriarca non può inviare sempre degli allievi a causa del Pasha di Tripoli che gli impone pesanti sanzioni nel caso in cui agisca senza informarlo. Il battello che ho preso a Tripoli ha ritardato la partenza di due giorni a causa di dieci bambini, del cui imminente imbarco il Pasha di Tripoli era giunto a conoscenza. Appostò allora spie su tutte le strade per informarlo. Il patriarca ne fu impaurito e ci ordinò di prendere il mare senza di loro».

 

Il legame Qannoubine-Tripoli-Venezia di cui l’icona testimonia spiega anche il modo in cui sono stati trasportati in Italia dei manoscritti siriaci della biblioteca patriarcale maronita. È la strada seguita in particolare dal prezioso Evangelario di Rabbula (sesto secolo), che faceva parte della biblioteca del monastero di Qannoubine fino al suo trasferimento, dopo il 1516, alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.

 

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Miniatura dell'Evangeliario di Rabbula

 

Si comprende anche meglio come le reliquie di Santa Marina siano state trasportate da Qannoubine a Venezia, dove sono conservate nella chiesa di Santa Maria Formosa (immagine di copertina, NdR).

 

È dunque nel quadro di questi scambi con l’Occidente che va situata la Dormizione del Patriarcato maronita. L’icona testimonia dei costanti sforzi dei patriarchi per rompere il loro isolamento forzato nella Valle Santa a Qannoubine. È un segno fragile della loro volontà di apertura e dei legami che vollero mantenere a ogni costo con Roma, attraverso la tappa imprescindibile di Venezia.

 

 

Questo articolo è una sintesi di uno studio più ampio: Ray Jabre Mouawad, Les liens de Qannoubine avec Venise à travers l’icône “ maronite ” de 1593, «Parole de l’Orient» 45 (2019), 223-237.

 

*Université Saint-Joseph, Beyrouth

 

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