L’impegno nel dialogo interreligioso e il sostegno degli Emirati hanno accresciuto la visibilità internazionale del Grande Imam al-Tayyeb e la sua distanza da al-Sisi

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:58:35

È presto per tentare un bilancio della ricezione della dichiarazione sulla “Fratellanza Umana”, firmata ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso da Papa Francesco e dal Grande Imam dell’Azhar Ahmad al-Tayyeb. Qualche valutazione può invece essere formulata sui processi che essa ha favorito e sulle reazioni che ha suscitato nel mondo musulmano.

 

Partiamo dalla posizione di al-Tayyeb: il Grande Imam viene spesso presentato dai media occidentali come “la massima autorità dell’Islam sunnita”. La formula ha poco senso, dal momento che nel sunnismo l’autorità è diffusa e non organizzata gerarchicamente. Ciò non toglie tuttavia che le vicende degli ultimi anni, dalle rivolte del 2011 all’affermazione del jihadismo terrorista, abbiano accresciuto la visibilità della moschea-università del Cairo e del suo shaykh, il cui ruolo è stato ulteriormente rafforzato dal rapporto con Papa Francesco e dalla sponda trovata negli Emirati Arabi.

 

 

Tra il Cairo e Abu Dhabi

 

Alcuni retroscena di questi sviluppi sono stati recentemente raccontati dal giornale digitale egiziano Mada Masr, in un lungo articolo dedicato alla tensione che da qualche tempo caratterizza i rapporti tra il Grande Imam e il presidente al-Sisi. All’origine di questo conflitto, ricostruito attraverso la testimonianza di due fonti anonime, una vicina ai vertici dell’Azhar e l’altra alla presidenza, vi sarebbe lo statuto assunto dall’Azhar dopo la Rivoluzione del 2011. Nel 2012, infatti, una legge dello Stato egiziano ha modificato il metodo di elezione del Grande Imam, che non è più nominato dal Presidente della Repubblica, come accadeva dopo la riforma voluta da Nasser nel 1961, ma scelto dal Consiglio dei gradi ulema della moschea: una misura che ha garantito allo shaykh un più ampio margine di manovra, riducendo la sua dipendenza dallo Stato. Secondo la ricostruzione di Mada Masr, già il presidente Morsi, deposto nel 2013 dal colpo di Stato che ha spianato la strada del potere ad al-Sisi, aveva cercato di estromettere al-Tayyeb per insediare al suo posto Yusuf al-Qaradawi, celebre predicatore e ideologo di riferimento per la Fratellanza musulmana. Sarebbe stato quel tentativo a convincere gli Emirati Arabi Uniti, nemici giurati degli islamisti, ad affidare proprio ad al-Tayyeb la presidenza del neonato Consiglio dei Saggi Musulmani, voluto da Abu Dhabi per contrastare l’influenza dell’Unione mondiale degli Ulema di Qaradawi.

 

Il giorno della deposizione di Morsi da parte dell’esercito, il Grande Imam è apparso in televisione al fianco del generale al-Sisi, con il quale condivideva probabilmente l’ostilità verso i Fratelli musulmani. Ma i rapporti si sono successivamente incrinati a causa della scarsa propensione di al-Tayyeb ad assecondare le iniziative del presidente. Al-Sisi avrebbe inoltre sofferto l’accresciuta visibilità e popolarità di al-Tayyeb, al punto da ordinare alla televisione egiziana di limitare al minimo la copertura dell’incontro interreligioso di Abu Dhabi.

 

Non è un caso che il progetto di revisione costituzionale attualmente allo studio del Parlamento egiziano, che permetterebbe tra l’altro ad al-Sisi di ricandidarsi alla presidenza per altri due mandati di sette anni, inizialmente prevedesse anche di restituire al presidente il potere di nomina del Grande Imam dell’Azhar. Questo provvedimento sarebbe stato bloccato dopo le pressioni esercitate ancora una volta dagli Emirati, che in Egitto esercitano una certa influenza grazie ai consistenti aiuti economici garantiti ad al-Sisi dopo il rovesciamento dei Fratelli musulmani, permettendo ad al-Tayyeb di mantenere la sua indipendenza e forse anche il suo incarico.

 

È difficile valutare l’attendibilità di tutti i dettagli forniti da Mada Masr, ma il quadro generale della sua analisi è coerente con quanto si può osservare dall’esterno. Il dato più significativo di questi sviluppi è il fatto che, grazie al dialogo con la Chiesa cattolica e al supporto emiratino, l’influenza dell’Azhar sta superando i confini nazionali, sfuggendo così al controllo dello Stato egiziano.

 

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Gli ulema contro l’Azhar

 

La portata dell’azione del Grande Imam è confermata anche dalle reazioni contrastanti che la Dichiarazione di Abu Dhabi ha suscitato nell’Unione Mondiale degli Ulema, un’organizzazione che ha sede a Doha e riunisce studiosi e intellettuali musulmani culturalmente prossimi all’islamismo. All’indomani dell’incontro interreligioso sulla “Fratellanza Umana”, il segretario generale dell’Unione ha firmato un comunicato in cui denunciava l’inopportunità della presenza del Papa in un Paese coinvolto nella «repressione delle libertà, il sostegno alle rivolte e una guerra di aggressione». Il giorno successivo, un altro membro della stessa organizzazione ha invitato il Pontefice «ad aprire un dialogo internazionale tra civiltà per ascoltare ciò che il Corano afferma su Gesù e su sua Madre la vergine Maria». In seguito, il marocchino Ahmed Raissouni, che nel novembre scorso è succeduto a Qaradawi alla guida dell’Unione, ha scritto su un giornale del suo Paese che «questa dichiarazione merita apprezzamento e fiducia», aggiungendo che se «al-Azhar continuerà su questa strada equilibrata ed indipendente potrà recuperare il posto che ha perduto a causa della sua partigianeria politica». Queste parole hanno suscitato un coro di critiche, alle quali Raissouni ha risposto in una nota pubblicata sul sito dell’Unione degli Ulema, nella quale ha affermato che le sue parole non devono essere lette come un avallo del documento; che esse erano state espresse a titolo personale e che dunque non impegnavano l’Unione; che la sua valutazione riguardava il testo della dichiarazione e non il contesto in cui è stata firmata, tanto più che essa non menziona le istituzioni legate agli Emirati, come il Consiglio dei Saggi Musulmani o il Forum per la Promozione della Pace nelle società musulmane.

 

Da ultimo è intervenuto con un commento molto duro il direttore della sezione qatariota dell’Unione mondiale degli Ulema, Muhammad Bin Salim al-Yafa‘i. Il predicatore ha chiesto polemicamente se dalla dichiarazione sia emersa una nuova religione (la religione dell’umanità), che riunisce cristiani e musulmani a partire dal «mescolamento tra il Dio dei musulmani (Allah) e il Dio dei cristiani (il messia)», e ha invitato le organizzazioni sunnite a convocare una conferenza che discutesse «le conseguenze della visita del Papa nella penisola arabica e risponda ai pericoli che le sono connessi».

 

Se questo turbinio di reazioni è il riflesso delle fratture interne al mondo sunnita, esso è anche un indice della rilevanza del documento sulla “Fratellanza Umana”. Negli ultimi anni c’è stata nel mondo musulmano una proliferazione di dichiarazioni (sulla libertà, sulla cittadinanza, sulle minoranze), volute per prendere le distanze dalle derive fondamentaliste e jihadiste, ma nessuna di esse ha ricevuto tanta attenzione.

 

 

Il rinnovamento dell’Islam

 

Il Grande Imam e la moschea cairota continuano intanto a essere impegnati dalla riflessione sulla riforma dell’Islam, una questione invocata da molti dopo l’ultima esplosione della violenza jihadista. Pochi giorni prima dell’incontro di Abu Dhabi, al-Tayyeb ha pubblicato sul settimanale dell’Azhar un articolo su questo tema, nel quale ha ribadito che il rinnovamento è un’esigenza intrinseca dell’Islam, in quanto messaggio universale valido per ogni tempo e ogni luogo, invitando a evitare due estremi: l’attaccamento immobilizzante alla tradizione e l’allontanamento estraniante da quest’ultima. Il rinnovamento dell’Islam sarà peraltro al centro dei lavori di una conferenza internazionale che si terrà proprio all’Azhar a fine aprile.

 

Ma a fare particolarmente discutere sono state le parole pronunciate da al-Tayyeb il primo marzo scorso. Durante la sua apparizione settimanale alla televisione egiziana, il Grande Imam ha infatti dichiarato che «nel 90% dei casi la poligamia è fonte di ingiustizia nei confronti della donna e dei figli», specificando che «oggi l’aspetto della tradizione che ha più bisogno di essere rinnovato è quello relativo alla donna». Queste parole hanno provocato l’indignazione dei salafiti, che hanno risposto invocando l’utilità della poligamia sia per la donna che per la società, ma suscitato l’approvazione del Consiglio nazionale delle donne. In seguito alle polemiche sorte in merito alle opinioni di al-Tayyeb, l’Ufficio stampa dell’Azhar ha chiarito che il Grande Imam non intendeva affermare l’illiceità della poligamia, ma soltanto che essa è vincolata a una serie di limitazioni.

 

Non è la prima volta che l’Azhar prende posizione a favore della donna. L’anno scorso la moschea si era pronunciata con fermezza contro le molestie sessuali che sistematicamente si verificano in Egitto. Ma è interessante notare che la questione della tutela della dignità della donna sia anche uno dei punti contenuti nella dichiarazione di Abu Dhabi.

 

Le dinamiche innescate dall’incontro negli Emirati tra il Papa e il Grande Imam suggeriscono che il dialogo interreligioso non è destinato a rimanere rinchiuso in circoli ristretti di esperti o di appassionati, ma può trasformarsi in un fattore capace di incidere sui processi storici in atto.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

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