La diffusione del wahhabismo attraverso gli istituti di insegnamento sauditi

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:59:38

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Recensione di Michael Farquhar, Circuits of Faith. Migration, Education, and the Wahhabi Mission, Standford University Press, Stanford 2017

 

È opinione diffusa che il salafismo non avrebbe raggiunto la sua straordinaria diffusione senza le risorse messe a disposizione dall’Arabia Saudita. Meno noti sono i meccanismi attraverso i quali il “capitale materiale” rappresentato dal petrolio abbia potuto trasformarsi in “capitale spirituale”. Per indagare questa relazione, Michael Farquhar, docente di Politica mediorientale al King’s College di Londra, ha analizzato nel suo eccellente Circuits of Faith le origini e lo sviluppo dei centri sauditi d’insegnamento religioso, concentrandosi in particolare su uno dei vettori privilegiati della propagazione mondiale del wahhabismo: l’Università Islamica di Medina. Fondata nel 1961 come parte di una politica religiosa volta ad accrescere la legittimazione e l’influenza internazionale della monarchia, a metà degli anni ’70 quest’istituzione vede quintuplicare il proprio bilancio grazie al boom petrolifero. Tuttavia, la storia della diffusione del salafismo non può essere ridotta ai listini dell’oro nero. Storicamente, Mecca e Medina sono infatti mete privilegiate non solo di pellegrini, ma anche di studiosi che vogliono accrescere il proprio sapere religioso. Così, quando negli anni ’20 del Novecento il fondatore dell’odierna Arabia Saudita si impossessa del Hijaz, la regione affacciata sul Mar Rosso in cui si trovano le due città, al wahhabismo viene offerta l’opportunità di estendere la propria influenza dall’isolata regione del Najd a questo crocevia spirituale. L’operazione però non è facile, perché proprio in questo territorio «la tradizione wahhabita non solo aveva avuto poca presa, ma era anche stata per lungo tempo considerata una maledizione» (p. 47). Inizia allora un’opera di salafizzazione delle istituzioni d’insegnamento, che può far leva sulle “tecnologie” già introdotte durante l’epoca ottomana e sul contributo di studiosi e intellettuali provenienti dai grandi poli del riformismo islamico moderno, in particolare l’India e l’Egitto.

 

Il connubio tra wahhabismo e altre correnti riformiste diventerà una delle caratteristiche dell’Università Islamica di Medina, e servirà alla Monarchia saudita, promotrice di questa istituzione, per remunerare la fedeltà dei chierici locali e allo stesso tempo per dare al progetto un respiro universale, capace di attrarre studenti da ogni parte del mondo. Questa doppia anima si riflette a sua volta nei programmi di studio, che puntano a veicolare il rigorismo e l’esclusivismo della teologia wahhabita, ma in termini accettabili anche per chi non proviene da questa tradizione discorsiva. Lo scopo di questa formazione è «estendere l’autorità e l’influenza dell’apparto religioso saudita ben oltre i confini del regno» (p. 157), preparando un esercito di missionari in grado di trasmettere nei luoghi di origine quanto appresso durante gli studi a Medina. Per raggiungere questo obiettivo, gli studenti sono sottoposti a un regime molto rigido, fondato su un metodo che combina «l’ethos e i principi organizzativi del mercato» (p. 126) con la costruzione di una soggettività islamica esemplare e che non esclude una sorveglianza quasi poliziesca sui costumi e sulla pietà personali.

 

Non tutti reggono a questo sistema. Farquhar, che nella sua indagine ha passato in rassegna un ventaglio notevolmente ampio di fonti scritte (libri di testo, programmi, riviste dell’Università, etc.) e orali (interviste con studenti ed ex-studenti), rileva l’alto tasso di abbandono degli iscritti all’Università, a causa dei vincoli posti dalla struttura o dell’ostilità dei programmi di studio verso le forme di Islam in cui essi si riconoscono, come le scuole giuridiche e teologiche tradizionali e il sufismo. Chi invece termina gli studi investe il “capitale” acquisito a Medina in diversi ambiti, che possono andare dalla leadership religiosa alla carriera nelle università, sia islamiche che laiche. Molti svolgeranno la funzione di propagatori del wahhabismo per cui l’Università di Medina è stata pensata, altri prenderanno traiettorie diverse. Ma anche dove il salafismo irradiato dall’Arabia Saudita non riesce ad avere la meglio sulle altre tradizioni islamiche, esso si trasforma in un loro agguerrito concorrente, e dunque in un fattore di tensione capace di condizionare le comunità musulmane di molte parti del mondo.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
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Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Michele Brignone, L’università che vuol formare un esercito di predicatori, «Oasis», anno XV, n. 29, luglio 2019, pp. 130-131.

 

Riferimento al formato digitale:

Michele Brignone, L’università che vuol formare un esercito di predicatori, «Oasis» [online], pubblicato l’11 settembre 2019, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/diffusione-wahhabismo-istituti-insegnamento-arabia-saudita.

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