L'allargamento del quadro cronologico per studiare il Corano

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:16

Recensione di Mehdi Azaiez (a cura di) in collaborazione con Sabrina Mervin, Le Coran. Nouvelles approches, CNRS Éditions, Paris 2013.

La ricerca contemporanea sul Corano, pur essendo estremamente eterogenea per metodi e risultati, è accomunata dalla tendenza ad allargare il quadro cronologico d’analisi della Scrittura islamica. In che direzione operare però questo allargamento?

Le strade divergono immediatamente. Per alcuni l’essenziale è avvenuto a monte della figura di Muhammad: il Corano diventa così un “lezionario arabo”, profondamente segnato dai dibattiti interni al mondo cristiano, ebraico o giudeo-cristiano della tarda antichità, senza sottovalutare manicheismo e gnosticismo. Per altri invece conta soprattutto la storia a valle di Muhammad, negli anni decisivi che vanno dalle conquiste arabe al califfato omayyade e che conducono all’istituzionalizzazione dell’Islam come religione distinta da Ebraismo e Cristianesimo. Non manca infine una terza via che sottolinea la necessità di non diluire eccessivamente la figura storica del Profeta dell’Islam e l’arabicità del suo messaggio.

Di queste tre contrastanti direzioni d’indagine porta testimonianza anche Le Coran. Nouvelles approches. Per la verità, all’allargamento cronologico dopo Muhammad il primo contributo del volume fissa un fondamentale limite. Attraverso l’analisi di alcuni manoscritti François Déroche dimostra infatti come la fissazione del testo coranico sia avvenuta già in epoca omayyade, in un processo in più fasi che reca le tracce di un intervento diretto dell’autorità centrale. Sul ruolo del potere califfale attirano l’attenzione anche Mohammad Ali Amir-Moezzi, servendosi delle fonti sciite più antiche, e Frédric Imbert, specialista di epigrafia araba. Un primo punto fermo sembra così raggiunto.

La parte centrale dei contributi insiste invece sul collegamento tra la Scrittura islamica e il mondo tardo-antico (la tesi fondamentale di Angelika Neuwirth), dai confini peraltro piuttosto indistinti e sincretici (Claude Gilliot) mentre sull’arabicità del Corano si pronuncia la sola Jacqueline Chabbi in un’analisi suggestiva, ma isolata. L’argomentazione più interessante in questo filone è però sviluppata da Geneviève Gobillot, che dimostra come l’abrogazione di cui è questione in 2,106 non si riferisca alla sostituzione di un versetto coranico con un altro cronologicamente successivo, come vuole l’esegesi musulmana maggioritaria, ma riguardi singoli passi delle Scritture precedenti. Sulla base di questa tesi la studiosa scioglie convincentemente due passi enigmatici relativi alle polemiche linguistiche con gli ebrei di Medina e alla figura di Salomone. Particolarmente significativo appare il fatto che a identiche conclusioni approdi per altra via anche Michel Cuypers, attraverso l’analisi retorica di 2,106 e del suo contesto. Si tratta di una dimostrazione importante, che potrebbe condurre gli studiosi musulmani a riconsiderare l’intera questione del rapporto tra il Corano e i testi biblici, oggi abitualmente liquidati in blocco come inaffidabili. Se Gobillot e Cuypers hanno ragione, il Corano sembra in questo essere molto più sfumato dei suoi esegeti. Tra i vari contributi linguistici infine, Pierre Larcher continua la ricerca circa la patina arcaicizzante che la revisione finale del Corano avrebbe passato sul testo originario.

Questi approcci sono conciliabili tra loro? Fino a un certo punto. Ad esempio, nel corso del volume l’Arabia centrale sembra cambiare continuamente d’abito, apparendo, di contributo in contributo, pagana, cristianizzata, profondamente segnata dall’ebraismo, rifugio di sette gnostiche o infine secondaria per l’elaborazione dell’Islam, che sarebbe avvenuta piuttosto in contesto siro-iracheno. Malgrado la pregevole introduzione del curatore, la preoccupazione di armonizzazione rimane assente dal volume, come del resto in generale dalla ricerca coranica contemporanea. Ma è proprio di sintesi che c’è ora bisogno: un’ipotesi complessiva forte, che sappia tenere insieme elementi disparati, liberandosi dall’illusione che sia sufficiente accumulare osservazioni minuziose perché si produca magicamente una formula comprensiva. Al contrario, essa non potrà che derivare da un cosciente sforzo, teso a individuare il principio sintetico capace di spiegare il maggior numero di particolari.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Martino Diez, Tre direzioni per indagare il Corano, «Oasis», anno X, n. 20, dicembre 2014, pp. 116.

 

Riferimento al formato digitale:

Martino Diez, Tre direzioni per indagare il Corano, «Oasis» [online], pubblicato il 28 gennaio 2015, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/tre-direzioni-indagare-il-corano.

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