Un vescovo e un imam nei luoghi dei monaci di Tibhirine, in Algeria. Un viaggio che unisce cristiani e musulmani
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:04
Più di un anno fa [nel 2006, ndr] il professor Azzedine Gaci, Presidente del Consiglio Regionale per il Culto musulmano (CRCM.) della regione Rodano-Alpi (Rhônes-Alpes), visionando una cassetta sul Monastero di Tibhirine [in Algeria, ndr], fu molto toccato dalla testimonianza di Fra' Luc, il più anziano della comunità, un medico che curava gratuitamente tutte le persone della zona. Il professor Gaci è venuto a trovarmi e mi ha detto:
«Quest'uomo aveva donato la sua vita all'Algeria e l'ha offerta in sacrificio. Quello che è successo a Tibhirine è orribile. Accetterebbe di recarsi con me sul posto a pregare e a chiedere perdono a Dio?»
Ha poi organizzato il viaggio con il CRCM., il governo e la Chiesa d'Algeria, aiutato in loco da Padre Michel Guillaud, arrivato da Lione come prete fidei donum nell'autunno scorso. Ci è dunque stato proposto di formare due delegazioni, una musulmana e una cattolica, di otto persone ciascuna.
Il viaggio si è svolto dal 17 al 21 febbraio 2007: siamo passati per Annaba, Constantina e Algeri. Ci accompagnavano una decina di giornalisti, così da formare un gruppo vario e amichevole di poco più di venticinque persone. Parecchi di noi hanno vissuto queste giornate come un vero pellegrinaggio. Il coinvolgimento del Governo algerino ha conferito al nostro spostamento una dimensione ufficiale. I Wali (prefetti) delle città attraversate, l'Università Emir Abd el Kader di Constantina, l'Ambasciatore di Francia, il Presidente degli Ulema e quello dell'Alto Consiglio Islamico, il ministro stesso degli Affari religiosi ci hanno ricevuti con molto riguardo, ma ciò non ha tolto a questo atto la sua dimensione fraterna e spirituale.
Monsignor Gabriel Piroird ci ha accolti all'aeroporto di Annaba e ci ha accompagnati fino alla nostra partenza da Constantina e Monsignor Teissier ne ha assunto le veci al nostro arrivo ad Algeri. Tempi forti sono stati gli incontri con le comunità cristiane di Constantina e di Algeri, la rievocazione di sant'Agostino ad Annaba, un momento di preghiera davanti alla tomba dell'Emiro Abd el Kader ad Algeri, in numerose moschee e luoghi storici dell'Islam, e soprattutto il culmine del viaggio, Tibhirine.
I colloqui ufficiali lasciavano ben presto il terreno del protocollo per andare al cuore della fede. Così, il dottor Bouabdellah Ghlamellah, Ministro degli Affari religiosi, non ha temuto di lanciarsi in una testimonianza personale sull'importanza della preghiera e sul modo in cui la vive. Ci ha indicato che deve il suo cammino spirituale in gran parte al suo maestro, lo shaykh Abderrahmane Chibane, attuale Presidente dell'Associazione degli Ulema algerini. Quest'ultimo ci aveva appena accolti a Mohammadia con delicatezza e grande attenzione e ci aveva spiegato il posto e l'autorità degli Ulema nella comunità musulmana d'Algeria. Il Presidente dell'Alto Consiglio islamico, il Professor Cheik Bouamrane, filosofo di formazione, ci aveva presentato la sua concezione del dialogo interreligioso in termini paragonabili a quelli impiegati dal Padre Yves Congar - 60 anni fa - per parlare del dialogo ecumenico: non bisogna esprimere alcun giudizio sulla religione di un altro prima di averlo ascoltato spiegare, lui stesso, dall'interno, la sua fede e le sue pratiche.
Mi sembra che sia questo lo spirito in cui si svolgono i nostri incontri nella regione di Lione. Rendo omaggio a Kamel Kabtane, Rettore della Grande Moschea di Lione, che, durante l'ultimo mese di Ramadan, ha organizzato conferenze a due voci per confrontare le concezioni cristiana e musulmana della Rivelazione, della preghiera, del profetismo, del digiuno…
«Mi spieghi la Trinità»
Nel corso di una delle sue visite all'arcivescovado, Azzedine Gaci mi ha interrogato sulla Trinità, dicendo:
«C'è un punto sul quale desidererei proprio ascoltarla, perché i musulmani dicono talvolta che i cristiani sono incoerenti nel professare la loro fede in un unico Dio, quando parlano di tre persone, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Mi spieghi la Trinità»
Io gli ho risposto che questo complemento oggetto (la Trinità) mal si accorda con il verbo spiegare! Questo unico Dio al quale noi crediamo, la Bibbia dice che è Amore. Ora, la proprietà dell'amore è il dono e la fecondità. Noi contempliamo dunque la circolazione di questo amore in Dio, nella comunione delle Persone: un Padre che si dona, un Figlio che si riceve tutto intero da suo Padre, e lo Spirito Santo che è lo scambio eterno di questo amore in Dio. Povere parole, per dire il tesoro della fede cristiana! Io ho avuto la percezione di essere ascoltato e rispettato. Il mio interlocutore voleva solamente percepire - così mi pare - la bellezza e la logica interna della fede cristiana.
Azzedine mi ha più volte espresso il suo profondo accordo circa le prese di posizione della Chiesa concernenti il rispetto della vita, le nuove biotecnologie.
«Tutte le volte che leggo un vostro testo su queste questioni, mi ha confidato, posso dire che lo sottoscriverei senza esitazione anch'io»
Ammira la chiarezza della nostra dottrina sull'inizio e la fine della vita, sul matrimonio e la sessualità... e ha voluto sapere se le coppie cattoliche si conformano all'insegnamento della Chiesa in materia di contraccezione. A mia volta, l'ho interrogato sulla possibilità di cambiare religione, in particolare sulle minacce che ricevono alcune giovani donne musulmane, da parte dei loro parenti stretti, quando domandano il battesimo. Mi ha risposto che ciò lo scandalizza, che non manca di dire alla sua comunità che i testi musulmani non possono essere presi alla lettera in questo campo e che il percorso spirituale di ciascuno deve essere assolutamente rispettato. In compenso, quando gli ho detto che noi siamo scioccati dalla forma pubblica del digiuno o della preghiera nell'Islam (con l'indicazione esplicita degli orari o il canto del muezzin), mentre Gesù ci insegna a praticare tutto questo «nel segreto» (Mt 6,2-18), egli mi ha spiegato come il Corano insista pure sul segreto, ma che la dimensione visibile e comunitaria è d'aiuto alla pratica interiore. Ho trovato l'osservazione pertinente, in particolar modo a proposito del digiuno che, col pretesto di restare segreto, al giorno d'oggi rischia quasi di scomparire dalla pratica dei cattolici. Che sarebbe della nostra società, ha aggiunto, se non si vedesse mai nessuno avvicinarsi a un povero lungo la strada e parlargli o fargli un dono? Queste riflessioni, che mi sono sembrate fini e giuste, hanno ispirato la mia omelia, la sera stessa del nostro ritorno, il mercoledì delle Ceneri, nella Primaziale di San Giovanni.
Sulle tombe di Tibhirine
Una mattina siamo partiti da Algeri e, prima di raggiungere Tibhirine, ci siamo fermati in prossimità del posto dove dodici croati furono assassinati qualche mese prima e vicino al punto in cui le teste dei monaci furono ritrovate sospese ai rami di un albero, dentro sacchi di plastica. Di comune accordo, abbiamo deciso di non rilasciare dichiarazioni ai giornalisti quella mattina e, arrivando al monastero, ci siamo subito recati sulle loro tombe. Monsignor Teissier e padre Jean-Marie Lassausse, che vive sul posto tre giorni a settimana, ci hanno illustrato i luoghi e la loro storia. È stato letto un passo del Corano, poi il racconto della Lavanda dei piedi in Giovanni 13, un testo di Frère Cristophe scelto da padre Vincent Ferold, e un altro di Frère Christian. Il silenzio, un raggio di sole nel freddo, un canto di uccelli ci hanno preparati alla duplice preghiera della Fâtiha e del Padre Nostro. Abbiamo in seguito visitato il monastero e, nella sala della comunità, ho fatto dono ai membri della delegazione musulmana di un Nuovo Testamento e della Lettera dei Martiri di Lione, così come Azzedine Gaci ci aveva offerto una nuova edizione del Corano, alla quale ha collaborato.
Poi, con mons. Teissier e i preti presenti, abbiamo celebrato la Messa, e parecchi membri della delegazione musulmana hanno tenuto ad assistervi. Padre Christian Delorme non riusciva a dominare la sua emozione nel leggere il Vangelo. Come omelia, ho letto quella che Christian de Chergé aveva pronunciato in quel luogo per il suo ultimo Giovedì Santo. Al di là dei costanti scambi tra i membri delle nostre due delegazioni, durante il tragitto e i pasti, c'è stata qualche dichiarazione più ufficiale e soprattutto, l'ultimo giorno, un incontro alla Biblioteca Nazionale, aperto al pubblico, che ha raccolto più di trecento persone. Animato dal responsabile dei luoghi, esso è iniziato con tre brevi interventi, uno di monsignor Teissier, uno di Azzedine Gaci e uno mio.
Poi la parola è stata data al pubblico. Qualcuno ha espresso la propria difficoltà a dare credito a Papa Benedetto XVI, dopo il discorso pronunciato a Ratisbona. Io ho risposto che né monsignor Teissier né io avevamo parlato personalmente di questo con il Santo Padre, e che l'unico presente in sala che aveva avuto questa possibilità era monsieur Mustapha Chérif, l'ex Ministro degli Studi Superiori. Questi ha rievocato l'incontro privato che ebbe con il Santo Padre per più di trenta minuti, e ha testimoniato con chiarezza il desiderio di Benedetto XVI di proseguire il dialogo islamo-cristiano, nella linea del Concilio Vaticano II e sulle orme di Giovanni Paolo II. Un'altra persona ha rimproverato ad Azzedine Gaci di parlare troppo d'amore e di non dare abbastanza spazio alla legge islamica. A ciò egli ha ribattuto con forza di praticare attentamente la legge, proprio per il fatto che proviene dalla misericordia di un Dio che ci chiama all'amore. «L'Islam è una religione del cuore», ha ripetuto spesso. In occasione dell'inaugurazione della Moschea Othman a Villeurbanne, io lo avevo già sentito dire:
«I cristiani, non appena cominciano a parlare, si vede che amano Gesù. Io vorrei dire ai miei fratelli musulmani che bisogna che si avverta di più il loro amore per Dio»
È stato lui, all'inizio del Ramadan, a inviare un messaggio ai suoi amici in cui non diceva una sola parola sul digiuno, ma parlava unicamente della misericordia e della preghiera per il perdono, domandando ai suoi corrispondenti di unirsi a lui con queste parole: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». E alla mia osservazione che queste sono parole di Gesù nel Padre Nostro, lui mi ha risposto: «Sì, ma è la più bella preghiera per il perdono che io conosca!».
L'amicizia di Lione
Insieme abbiamo provato a descrivere l'esperienza di amicizia tra musulmani e cristiani a Lione, e a vedere quello che può essere il suo avvenire. Da più di cinquant'anni, alcuni preti di Lione, tra cui P. Henri Lemasne, si sono lanciati in questa avventura e hanno attraversato le ore tumultuose della guerra d'Algeria. Negli anni Settanta, il mio predecessore, il cardinale Renard, si è impegnato in favore della costruzione di una grande moschea. I responsabili delle comunità intrattengono relazioni ininterrotte e non esitano a ricambiare la visita nelle occasioni significative. Si prendono molte iniziative nei quartieri, in città e in periferia. Ora il nostro dialogo è finito per approdare a questioni essenziali, sulle quali siamo felici di dialogare, tra noi e in presenza delle nostre comunità: la fede, la misericordia, l'elemosina, il pellegrinaggio, il combattimento spirituale..., senza dimenticare numerosi punti della morale. È necessario ancora interrogarci e ascoltarci su monoteismo e Trinità, obbedienza e sottomissione, sul profetismo, sulle conversioni... per la nostra «intra-conoscenza», come ama ripetere Gaci, che riprende spesso questa bella espressione utilizzata dal Corano.
Tale lavoro non è mai distaccato dal mondo nel quale noi viviamo e in cui abbiamo la missione di essere seminatori d'amore e di pace. Recentemente, in una dichiarazione interreligosa sul matrimonio, abbiamo offerto, insieme ai nostri fratelli ebrei, una testimonianza comune su un grande problema della società, ma altre grandi sfide ci attendono, come la bioetica, l'eutanasia... Tutto ciò è stato vissuto in un'amicizia meravigliata che ci ha riempiti di speranza.
Si vede bene che la nozione di tolleranza, utilizzata senza posa a proposito del dialogo interreligioso, non ha più gran senso; bisogna passare dalla tolleranza all'ammirazione. Nel verbo tollerare, io non scorgo alcuna sfumatura di amore: si tollera quello che non si ama molto, ma col quale si è obbligati a scendere a patti. Per il progresso del dialogo interreligioso e del cammino spirituale di ciascuno bisogna andare ben oltre: occorre una fiducia profonda, un interesse che venga al tempo stesso dall'intelligenza e dal cuore, uno sguardo di contemplazione e di ammirazione. Ricordiamoci dello sconvolgimento interiore avvertito da Charles de Foucald quando vide il fervore dei musulmani, a Fes. Egli ha immediatamente avuto la misura di quello che aveva perduto allontanandosi dalla fede e quello fu l'inizio del suo ritorno verso Cristo. Quando Gaci parla dell'amore dei cristiani per Gesù, quando lo vedo vivere la sua fede, è chiaro che noi siamo sul registro dell'ammirazione, commista a un briciolo di invidia o di confusione..., sentimenti che imbarazzano colui che ne è l'origine, perché egli ha viva coscienza di non esserne degno, di non essere all'altezza di quello che Dio gli domanda.
Mi si consenta di terminare con un piccolo aneddoto del nostro soggiorno algerino. Ad Annaba, la domenica mattina, avevamo un incontro molto mattiniero per la colazione, in previsione di una giornata intensa. I cristiani si salutavano amichevolmente nella sala da pranzo, si domandavano gentilmente gli uni gli altri notizie su come avevano passato quella breve notte. Poi ci hanno raggiunti i musulmani; arrivavano insieme dalla moschea, dove si erano ritrovati, senza essersi dati parola la sera prima. L'appello alla preghiera era bastato a radunarli per cominciare la giornata sotto lo sguardo di Dio. Ai cattolici invece non era affatto venuta l'idea di riunirsi per cantare le Lodi, anche se era il Giorno del Signore! Due mesi dopo il ritorno dall'Algeria, le nostre delegazioni si sono ritrovate all'Arcivescovado per una serata di amicizia e di bilancio. Ciascuna ha condiviso l'eco che questo viaggio aveva suscitato intorno a sé, ma molti sono arrivati a dire che non pregavano più nello stesso modo dopo questo grande momento. Cos'è cambiato per queste persone nel modo di recitare la Fâtiha? Come i fratelli musulmani sono ora presenti nell'orazione e nella preghiera di intercessione dei cattolici?
È il mistero di Dio nel cuore dei suoi figli. Resta il fatto che la verità dell'intero cammino percorso non sarà riconosciuta da altri e non si avvererà, a meno che non sbocci in realizzazioni concrete. È la carità in atto che costituirà il sigillo dell'autenticità di questi scambi. Perché, musulmani e cristiani, non ci lanciamo, unendoci ai nostri fratelli ebrei, nell'apertura di un centro di cure per i malati di aids o altri "feriti dalla vita", nel cuore di un paese povero che non ha sufficienti mezzi per occuparsi di loro? Allora, quello che viviamo nei nostri cuori e nelle nostre intelligenze attraverso tutti questi incontri diverrebbe una testimonianza per il mondo. Di questo gesto comune e disinteressato, quando e come prenderemo l'iniziativa?
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
Per citare questo articolo
Riferimento al formato cartaceo:
Philippe Barbarin, A Tibhirine, seguendo la sorpresa di una amicizia, «Oasis», anno III, n. 6, ottobre 2007, pp. 84-87.
Riferimento al formato digitale:
Philippe Barbarin, A Tibhirine, seguendo la sorpresa di una amicizia, «Oasis» [online], pubblicato il 1 ottobre 2007, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/a-tibhirine-seguendo-la-sorpresa-di-una-amicizia.