Libanese sciita convertitosi al Cristianesimo e divenuto prete maronita, Afif Osseiran è stato una figura di primo piano nella vita spirituale del Libano contemporaneo. È ricordato in particolare per una traduzione in arabo del Libro dei Salmi in cui utilizzò una lingua dalle chiare assonanze coraniche
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:57
Questo articolo fa parte della serie “L’angolo dei giovani studiosi”, che raccoglie contributi scritti da promettenti neo-laureati a partire dalle loro tesi.
Teresa Serra ha conseguito la laurea triennale in Scienze linguistiche per le Relazioni internazionali nel settembre 2020, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con la tesi “Tra Bibbia e Corano: la traduzione dei Salmi di Afif Osseiran”, relatore: prof. Martino Diez
Afif Osseiran nacque nel 1919 a Sidone, cittadina del Sud del Libano, da una famiglia profondamente religiosa appartenente alla comunità sciita. Come racconta il suo biografo Jacques Keryell[1], gli studi di filosofia all’università americana di Beirut lo portarono nel 1943 a una vera e propria crisi spirituale. In risposta alla crisi Afif decise di adottare interamente l’Islam, cominciando ad osservare scrupolosamente tutte le pratiche religiose, anche supererogatorie, e approfondendo lo studio del Corano e della Sunna, oltre ai vari commentari coranici e ai testi dei mistici, dei teologi e dei filosofi musulmani.
La frequentazione di alcuni suoi compagni universitari cristiani lo portò però presto ad esplorare nuove prospettive spirituali: Afif si interessò dunque alla vita dei santi, in particolare quella di San Francesco d’Assisi, e lesse i Vangeli, rimanendo profondamente colpito dal Discorso della Montagna nel quale Gesù espone un’ideale di vita che ad Afif parve rivoluzionario. L’incontro con il Vangelo fu per lui un’autentica folgorazione che ebbe un forte impatto sulla sua vita, portandolo ad annullare il matrimonio con una cugina e a decidere di consacrarsi corpo e anima a Dio; da quel momento Afif aderì totalmente alla fede cristiana e in particolare, nonostante l’orientamento protestante della sua università, alla Chiesa cattolica.
Una decisione radicale
La scelta di Afif fu molto rischiosa, dal momento che sia nel diritto classico sia nella mentalità dominante nel mondo musulmano, anche contemporaneo, l’abbandono dell’Islam è punito con la morte. Egli tuttavia non cercò scorciatoie, ad esempio “mimetizzandosi” a Beirut dove sarebbe stato più facile far perdere le proprie tracce e “rifarsi una vita”. Al contrario, e nonostante il parere negativo di molti suoi amici, rese pubblica la propria conversione nella sua città natale.
Benché la natura particolare del Libano escludesse una condanna a morte, lo scandalo fu enorme. La famiglia, insieme agli abitanti della città, inizialmente si rifiutò di riconoscere Afif come uno di loro. Consapevole della portata sconvolgente del suo gesto, Afif venne a inginocchiarsi tutti i giorni per circa sette mesi sulla soglia della casa paterna, chiedendo perdono ai genitori per averli fatti soffrire. Al tempo stesso, tuttavia, non ritornò sui propri passi e così facendo introdusse un seme di testimonianza evangelica nel suo ambiente, che con il tempo portò frutto.
Il servizio sociale
Afif aveva come vero obiettivo mettersi al servizio della comunità e vivere tra i poveri: dopo un’iniziale opposizione, riuscì a convincere gli scout musulmani di Sidone della sua buona volontà e questi cambiarono atteggiamento nei suoi confronti, riconoscendo il totale disinteresse e l’autenticità che stavano alla base del suo agire; molti tra loro si unirono a lui per aiutarlo nel suo servizio, in totale gratuità, e animati da uno spirito di intesa e di apertura reciproca. Gli affidarono anche il loro centro di soccorso, che Afif trasformò in un ambulatorio, con l’obiettivo di offrire servizi medici gratuiti ai poveri. Notando il riscontro positivo della sua frequentazione degli scout locali e i benefici che portava alla comunità locale, i familiari cominciarono a guardare ad Afif con meno pregiudizi: si aprirono all’idea che il suo unico obiettivo era servire Dio e si accorsero che qualcosa in Afif era davvero cambiato.
Dai Piccoli Fratelli di Gesù al sacerdozio maronita
Dopo un iniziale tentativo di entrare nella fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù[2], che lo portò a trascorrere un periodo di noviziato in Algeria, Afif venne esortato dal consiglio della Fraternità a seguire la sua reale vocazione al di fuori di essa, per dedicarsi non alla vita contemplativa, bensì ad una vita apostolica in mezzo ai musulmani. Lasciata quindi la Fraternità, Afif venne accolto a Beirut dal vescovo maronita e nel 1962 fu ordinato sacerdote. Il vescovo, tenendo in considerazione la sua storia personale, lo incaricò di seguire i musulmani convertiti, un gruppo che si riuniva ogni settimana per celebrare la messa insieme: quando pregavano insieme, dopo la formula “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, aggiungevano, come tutti i cristiani arabi, “Dio unico”, e vi legavano immediatamente un versetto della prima sūra del Corano, la Fātiha: «Te adoriamo, Te chiamiamo in aiuto» (Cor. 1,5). Allo stesso tempo, Afif continuò a operare nel campo sociale, in particolare fondando due comunità per minori in difficoltà.
Durante gli ultimi anni della sua vita, Afif si vide costretto ad abbandonare le opere da lui fondate in seguito allo scoppio della guerra civile in Libano; il manifestarsi di una grave malattia agli occhi, inoltre, lo costrinse a ritirarsi in una casa di cura, ma tutto questo non gli impedì di tenere numerose conferenze sul dialogo interreligioso sino agli ultimissimi giorni di vita. Scampato nel 1986 a un tentativo di omicidio, morì il 2 agosto 1988, all’età di 69 anni[3].
La traduzione del Libro dei Salmi
La traduzione del Libro dei Salmi in arabo fu probabilmente il tentativo più importante di Afif di mettere in dialogo la religione musulmana e il mondo cristiano arabofono. Pubblicata a Beirut nel 1960, la traduzione fu realizzata negli anni ’50 durante il noviziato, a partire dal testo ebraico e da una versione inglese. Afif era mosso dall’idea che le traduzioni disponibili al tempo non fossero abbastanza vicine alla sensibilità degli arabi musulmani: il linguaggio utilizzato, sia come lessico sia soprattutto come sintassi, era percepito come distante e straniero e ciò rendeva difficile comunicare in maniera efficace e comprensibile il messaggio biblico, che prima di tutto doveva andare al cuore dell’altro per essere realmente compreso ed implicare un coinvolgimento spirituale. Afif ebbe allora l’idea di sfruttare le capacità espressive del Corano per poter arrivare al cuore dei suoi interlocutori musulmani. Questa operazione non aveva in lui nulla di artefatto: egli infatti conosceva a memoria il testo sacro islamico fin dall’infanzia. La sua intuizione circa la necessità di una maggiore “inculturazione” del messaggio biblico, senza minimizzare le differenze rispetto al Corano là dove esistono, ma anche senza creare inutili barriere là dove regna un accordo di fondo, è stata percorsa anche da altri autori arabi nel Novecento e rappresenta una sfida tuttora aperta per la Chiesa.
Attraverso la sua vita e le sue opere, Afif Osseiran ha testimoniato la possibilità reale per musulmani e cristiani di amicizia, convivenza e soprattutto di dialogo, mosso dal desiderio di testimonianza evangelica e dall’amore verso la sua comunità, in un contesto, quello libanese, caratterizzato da una reale libertà religiosa. La sua traiettoria di vita dice l’importanza del Paese dei Cedri, anche e soprattutto nel momento in cui esso si dibatte nella sua crisi più profonda.
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