Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba
Ultimo aggiornamento: 10/01/2025 14:48:49
La stampa araba continua a essere molto focalizzata sul cambio di regime in Siria. A fine dicembre il nuovo leader siriano Ahmad al-Sharaa, vero nome di Abu Muhammad al-Jawlani, ha rilasciato una lunga intervista all’emittente saudita al-Arabiya, la prima concessa a un mezzo di comunicazione arabo. «Non mi considero il liberatore della Siria, tutti coloro che hanno fatto sacrifici hanno contribuito a liberare il Paese», ha dichiarato l’uomo forte di Damasco. «Il popolo siriano si è salvato da solo». Dopo aver rassicurato sul modo in cui le milizie hanno preso il potere, «prestando attenzione a non provocare vittime e sfollamenti», al-Sharaa ha voluto tranquillizzare i vicini arabi, dichiarando che «la liberazione della Siria garantisce la sicurezza della regione e del Golfo per i prossimi 50 anni». Riguardo al futuro del Paese, il leader ha prospettato una transizione lunga, con la stesura di una nuova Costituzione entro i prossimi tre anni e l’organizzazione delle elezioni entro quattro anni. Fare sintesi fra tutte le componenti della società sarà compito della “Conferenza del Dialogo Nazionale”. Al-Sharaa ha poi assicurato che le fazioni armate, tra cui la stessa Hay’at Tahrir al-Sham, verranno sciolte, e ha inviato un messaggio alla comunità internazionale rassicurandola sulle buone intenzioni della nuova amministrazione, che «governerà il Paese con una mentalità statale, e la Siria non sarà fonte di disturbo per nessuno». Quanto alla presenza curda nella parte nord-orientale del Paese, ha dichiarato di aver aperto dei negoziati con le Forze democratiche siriane e di mirare a integrarle nelle forze armate governative. A livello internazionale, il capo della nuova amministrazione siriana ha auspicato la revoca totale delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti ed espresso la sua riconoscenza all’Arabia Saudita – «sono orgoglioso per tutto ciò che l’Arabia Saudita ha fatto per la Siria» – prospettando per Riyad un ruolo importante nel futuro del Paese. Incidentalmente, al-Sharaa ha anche ricordato il suo passato saudita – «ho vissuto nella capitale saudita fino all’età di sette anni e desidero visitarla di nuovo». Di segno opposto invece le dichiarazioni sull’Iran, il cui «progetto, che dura da 40 anni, è fallito in 11 giorni, dopo aver causato divisioni confessionali, guerre e corruzione». Al-Jawlani ha espresso la speranza che Teheran riconsideri il proprio ruolo nella regione e riveda le sue politiche nel rispetto della sovranità degli Stati, mentre si è mostrato più aperto nei confronti della Russia, con cui non vuole chiudere i rapporti in virtù di ciò che lega i due Paesi da decenni e dell’importanza strategica di Mosca – «è la seconda potenza mondiale».
I toni, le dichiarazioni e più in generale la postura assunta dal leader fin dalla sua entrata trionfante a Damasco segnano una sua reale evoluzione. Ne è convinto il giornalista libanese Khairallah Khairallah, che sul quotidiano filo-emiratino al-‘Arab scrive: al-Sharaa «sta cercando di adattarsi al cambiamento avvenuto in Siria ed essere allo stesso tempo all’altezza di quel cambiamento, […] ma la cautela resta doverosa». Analogamente, lo scrittore siriano Ali Qasim riconosce al leader una grande abilità per aver dismesso i panni di «Abu Muhammad al-Jawlani» ed essere entrato nel «personaggio di Ahmad al-Sharaa». «Da combattente a statista», commenta Shafan Ibrahim su al-Arabi al-Jadid. L’uomo statista, tuttavia, si trova davanti tanti «campi minati»: il conflitto tra le diverse componenti siriane, alimentato per anni dal regime e dalle milizie iraniane; le divisioni tra Damasco, la Siria nord-orientale e il sud del Paese; la catastrofe economica e umanitaria, che costringerà la nuova amministrazione di Damasco ad aprirsi ai Paesi vicini; l’insoddisfazione araba per l’ingerenza turca in Siria; la persistente divisione tra forze politiche antagoniste e infine la difficoltà a trovare un equilibrio tra chi vorrebbe applicare la legge islamica e chi auspica un governo laico.
Come scrive l’iracheno Adham Ibrahim ancora su al-‘Arab, «la Siria è a un bivio: deve scegliere se essere una teocrazia religiosa o una democrazia civile». La decisione non è semplicemente un atto politico, ma «riflette la visione del futuro del Paese, né plasmerà il destino e fungerà da potente lezione per i Paesi alle prese con dilemmi simili». La scelta tra le due opzioni, tuttavia, non è scontata come potrebbe sembrare: la teocrazia islamica «può risultare attraente per molti segmenti della popolazione siriana, che credono che il futuro del Paese sia il ritorno alle proprie radici spirituali ed etiche», ma rischia di alienare gli alawiti, i cristiani, i drusi e i curdi, aprendo la strada a ulteriori divisioni confessionali e all’emarginazione delle minoranze. Molto dipenderà dagli equilibri che si creeranno tra le fazioni, prosegue l’editoriale, «perché i gruppi che operano sul campo sono frammentati, hanno costituito alleanze locali e spesso controllano soltanto una zona». Per HTS è quindi difficile monopolizzare il potere, allo stesso tempo cercare il monopolio potrebbe far piombare il Paese in una guerra civile. Tuttavia, anche il processo di democratizzazione non è privo di sfide, commenta Ibrahim. Decenni di autoritarismo hanno indebolito le istituzioni e anni di conflitto hanno seminato sfiducia e divisione tra le comunità, e questo richiede grandi sforzi per riconciliare le parti.
Più enigmatico il commento dell’intellettuale libanese Ridwan al-Sayyid, che sulla piattaforma digitale Asasmedia, vicina al principale partito sunnita del Paese dei Cedri, parla di «una profezia mai realizzata», quella di Hanna Batatu, storico palestinese marxista secondo il quale il tallone d’Achille della Siria era e sarebbe stato «l’ingiustizia inflitta ai contadini nel corso delle varie epoche». Al-Sayyid osserva che «non sono stati i miseri contadini siriani […] a rovesciare il regime di Assad. La caduta di quest’ultimo è stata il risultato di un’iniziativa turca realizzata da gruppi estremisti, dopo quattordici anni di crisi e di interventi stranieri sul suolo siriano. E conclude con un monito: «Al-Jawlani ha descritto questa operazione come una “campagna per salvare la Siria”. Ma è davvero così, o si sta ripetendo ciò che il poeta Ma‘ruf al-Rusafi scrisse negli anni ’30 sull’Iraq? Da dove può l’Iraq sperare progresso / Se la via dei suoi padroni non è la sua? / Non v’è nulla di buono in una patria dove la spada è nelle mani del codardo e la ricchezza in quelle dell’avaro / Dove il giudizio è dato al fuggiasco, la scienza allo straniero e il potere a un intruso».
Diversi articoli continuano inoltre ad analizzare le incognite del percorso di formazione del nuovo Stato. «Il vecchio è morto, ma il nuovo non si è ancora formato», scrive sul quotidiano di proprietà qatariota al-‘Arabi al-Jadid lo scrittore e politico siriano Abdel Basit Sida citando Antonio Gramsci. Secondo il giornalista siriano Bakr Sidqi, penna di al-Quds al-Arabi, «ogni giorno che passa senza risultati tangibili porta a un declino della legittimità rivoluzionaria dell’attuale autorità, oltre al declino delle speranze dei siriani». Come altri giornalisti, anche Sidqi nutre delle perplessità sulle intenzioni di al-Sharaa, che definisce «ambigue», se non altro perché i membri della Conferenza del Dialogo nazionale, che dovrà decidere la forma del sistema politico e istituire un governo di transizione, verranno selezionati dall’amministrazione attuale, facendo venir meno già in partenza il criterio di partecipazione più ampia possibile al processo di creazione del nuovo Stato.
Il quotidiano di proprietà saudita al-Sharq al-Awsat apre con un endorsement ad al-Sharaa dell’ex direttore della testata, Abd al-Rahman al-Rashid, il quale esorta a dare una possibilità alla nuova leadership siriana: «Il salvatore, Hay’at Tahrir al-Sham, al di là del suo background che ci è noto – nato da due padri, l’ISIS e al-Nusra, e dal nonno al-Qaeda – ha dato prova di un’evoluzione nel suo discorso e nei suoi comportamenti. Analogamente, il suo leader Ahmad al-Sharaa ha mostrato una personalità diversa da quella di al-Baghdadi o di al-Zarqawi, e anche prima di entrare a Damasco ha dimostrato di essere un politico equilibrato». «Questi nuovi governanti meritano una possibilità», conclude l’editoriale.
I dubbi sulla nuova amministrazione di Damasco sono giustificati da una recente decisione: lo scorso primo gennaio il ministero dell’Istruzione siriano ha annunciato una revisione dei programmi scolastici. Comprensibilmente, dai libri di testo saranno espunte tutte le parti celebrative degli Assad. Le novità, tuttavia, non finiscono qui. Come riporta tra gli altri Megaphone, una piattaforma indipendente libanese, dai manuali sono stati eliminati anche i riferimenti ad altre importanti figure storiche del Paese, così come tutti i nomi delle divinità aramaiche, a favore di una islamizzazione dell’insegnamento. La frase «martirio per la patria» è stata sostituita con l’espressione «martirio sulla via di Dio»; al «dovere di rispettare la legge» si è aggiunto quello di rispettare la sharia; l’unità dedicata all’evoluzione è stata rimossa dal libro di testo di scienze della scuola secondaria, e l’espressione «dono della natura» è stata sostituita con «dono di Dio». Questo revisionismo, sottolinea l’articolo, ricorda quello dei «regimi repressivi, che hanno bisogno di alterare la storia per sostenere la propria legittimità».