Maurice Borrmans, Dialoguer avec les Musulmans. Une cause perdue ou une cause à gagner? Préface du cardinal Jean-Louis Tauran, Pierre Téqui éditeur, Paris 2011
Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:35:53
Pochi uomini al mondo hanno la stessa esperienza e competenza dell’autore di questo libro sul tema del dialogo islamo-cristiano. Il sottotitolo di questa corposa raccolta di scritti (per la maggioranza recenti) sgombra da subito ogni possibile equivoco rispetto a un argomento che potrebbe prestarsi tanto ai rischi di un superficiale entusiasmo quanto a quelli dello scoraggiamento derivante da evidenti e persistenti difficoltà. Profonde e irriducibili differenze, accanto a non altrettanto insuperabili ma comunque tenaci diffidenze, caratterizzano infatti le relazioni tra le due tradizioni religiose. Non sarebbe addirittura infondato affermare che la situazione si è persino complicata negli ultimi decenni, sia a motivo dell’aggravarsi di forme di aperto conflitto sulla scena internazionale, sia per le irrisolte questioni poste dalla crescente presenza di comunità islamiche in Paesi occidentali, sia infine per malintesi e strumentalizzazioni di fatti episodici ma di grande impatto mediatico che hanno approfondito un già ampio fossato d’incomprensione tra due mondi ancora largamente incapaci di conoscersi e rispettarsi a vicenda. Nella breve ma pregnante introduzione del Cardinal Tauran si fa opportunamente riferimento a «sforzi perseveranti troppo spesso resi fragili dall’intervento di personaggi o avvenimenti inattesi» senza rinunciare tuttavia ad avanzare il dubbio che restiamo ancora «troppo interessati alle forme piuttosto che alla sostanza dei nostri rispettivi patrimoni spirituali» che ci dovrebbero trovare impegnati su un medesimo cammino «per poter essere felici insieme». Padre Borrmans non propone risposte preconfezionate, ma fornisce dati ed esperienze, aiuta a valutarne la portata e le prospettive, guida a interpretarne e collocarne il significato in una visione di medio-lungo periodo affinché giungiamo a porci le domande di fondo, senza accontentarci delle impressioni superficiali ed effimere che dominano invece la percezione delle sfide in atto tramite la loro rappresentazione mediatica. Posizione scomoda, che lo espone dall’una come dall’altra parte ad essere ritenuto ingenuo o utopista, non abbastanza schierato, persino ambiguo nel suo sforzo costante d’“intercedere” (mettersi in mezzo) tra gli uni e gli altri, troppo spesso spinti da logiche identitarie a sottolineare distanze, confini, separazioni, e propensi a considerare ogni ponte gettato un mero castello in aria o addirittura una breccia nella quale potrebbe insinuarsi il nemico. Nessuna impresa umana è ovviamente immune dai simili pericoli, ma la rinuncia preventiva a costruire contatti, scambi, relazioni non costituirebbe una semplice omissione, ma complicità nel rendere più confuse e ottenebrate le coscienze di fronte al compito che i segni dei tempi dimostrano cruciale per il nostro comune destino. Se molti pregiudizi attendono ancora di essere abbattuti, nodi di esser sciolti (tutti sul conto della “causa persa” del sottotitolo), non mancano tracce sulle quali poter proseguire, strumenti e occasioni già a portata di mano, passaggi stretti ma comunque aperti in cui avventurarsi (la “causa da cogliere” del sottotitolo) tra cui primeggiano le dichiarazioni conciliari, il magistero degli ultimi Pontefici e la lettera dei 138 musulmani inviata ai capi delle chiese cristiane dopo la lectio di Benedetto XVI a Ratisbona. Ma ancor più del dialogo al vertice, quello che può e deve essere fecondato e indirizzato da queste pagine è quello della vita quotidiana, tra donne e uomini di fede in cerca di nuovi sentieri da condividere, per farne il tessuto di una nuova tensione etica e spirituale ancora ampiamente disattesa.