L’Arcivescovo emerito di Algeri racconta gli anni terribili della guerra civile che provocò centocinquantamila morti, tra cui i diciannove sacerdoti, religiosi e religiose cattolici proclamati beati nel 2018

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:57:45

Il contesto socio-politico algerino

L’Algeria ottenne l’indipendenza nel 1962. L’esercito prese il potere e scelse di mascherare il proprio monopolio dietro la facciata di quel partito unico che, nel 1954, aveva scatenato la guerra d’indipendenza: il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Lo Stato adottò un’ideologia socialisteggiante e anti-imperialista, in nome della quale molte persone in posizioni di potere avrebbero costruito la propria fortuna. Nei decenni successivi, il popolo, deluso da questi eccessi, diede fiducia al partito islamista, che prometteva di ristabilire la giustizia attraverso la religione. Infatti, il 26 dicembre 1991, gli islamisti, rappresentati dal Fronte Islamico di Salvezza (FIS), vinsero abbondantemente le prime elezioni legislative pluraliste già al primo turno. Con il benestare degli ambienti liberali, lo Stato e l’esercito annullarono il secondo turno di questa consultazione e deportarono i dirigenti del FIS nel deserto del Sud del Paese. Nel 1992, quindi, venne formata un’opposizione armata, in particolare tramite il GIA (Gruppo Islamico Armato), ed ebbe inizio uno scontro armato prolungato e terribile, che avrebbe fatto almeno 150.000 morti tra il 1992 e il 1999.

 

Le minacce contro la comunità cristiana

Nel primo anno (1992), le violenze non riguardarono la comunità cristiana. I primi a essere uccisi furono, tra gli algerini, personalità di spicco o membri delle forze dell’ordine; tra gli stranieri, donne sposate con musulmani e lavoratori specializzati. Il 29 ottobre 1992, un’impiegata del consolato di Francia, precedentemente rapita, venne liberata con una lettera che intimava a tutti gli stranieri di lasciare il Paese entro il 1° dicembre sotto la minaccia di pena di morte. Lo stesso messaggio era stato rivolto in modo specifico anche agli ebrei e ai cristiani. Di fatto, i primi attentati perpetrati contro cittadini europei ebbero luogo all’inizio di dicembre. Il primo gruppo a essere attaccato in maniera esplicita perché d’identità cristiana era composto da una dozzina di operai croati, che lavoravano in un cantiere quattro chilometri a nord del monastero di Tibhirine. Gli autori di questo attentato fecero poi irruzione nel monastero durante la vigilia di Natale.

 

La reazione della comunità cristiana

Di fronte a queste minacce, la maggior parte delle famiglie cristiane straniere dovette lasciare il Paese. I vescovi e i responsabili delle congregazioni religiose invitarono ciascuno dei loro subordinati a decidere liberamente se partire o restare. Nonostante fossero in pericolo, i preti, i religiosi, le religiose e i diaconi – fatta salva qualche eccezione − scelsero di vivere questa crisi con il popolo algerino. Da allora, i numerosi studenti africani borsisti dello Stato algerino formano lo zoccolo duro dei fedeli della nostra comunità. Intanto, due membri della piccola comunità dei cristiani algerini furono attaccati a Blida e a Sidi Bel Abbes, ma sopravvissero entrambi.

 

Le vittime della violenza nella comunità cristiana (1994-1996)

Le prime due vittime della violenza nella nostra comunità furono il frate marista Henri Vergés e la piccola sorella dell’Assunzione Paul-Héléne Saint Raymond, assassinati l’8 maggio 1994 nella biblioteca che dirigevano nella bassa Kasbah e a cui erano iscritti 1200 liceali. Cinque mesi dopo, due missionarie spagnole agostiniane, Esther e Caridad, furono uccise poco prima della Messa sulla soglia della cappella di Bab al Oued, quartiere in cui abitavano. Il 27 dicembre i quattro Padri Bianchi, PP. Dieulagard, Deckers, Chevillard, Chessel, furono vittime della violenza nella loro residenza a Tizi Ouzou (Cabilia). Il 10 settembre dell’anno seguente, due sorelle di Nostra Signora degli apostoli, Biane e Angel-Marie, che animavano un atelier municipale per le ragazzine nel quartiere di Belcourt, furono assassinate mentre tornavano al loro appartamento dopo la Messa. Due mesi dopo, il 10 novembre a Apreval (Kouba), due Piccole Sorelle del Sacro Cuore di Charles de Foucauld vennero attaccate mentre aspettavano di ricevere l’Eucaristia. Odette Prévot perse la vita, ma la sua consorella Chantal Galicher sopravvisse a questo attacco. Poi fu la volta dei sette monaci trappisti rapiti nel loro monastero di Tibhirine nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996, giustiziati − si pensa − entro la fine del mese successivo. In seguito, Mons. Pierre Claverie o.p. e il suo giovane amico Mohammed Bouchikhi furono uccisi da una bomba al rientro in vescovado la notte del primo agosto 1996.

 

La reazione della comunità algerina a questi attentati

Dopo molti di questi attentati, la stampa dei gruppi armati mise in circolazione degli articoli decisamente esecrabili per giustificare alcuni dei loro crimini; ad esempio, dopo il primo omicidio alla Kasbah, scriveva da Londra: «una brigata di gruppi islamici armati ha ucciso due crociati che diffondevano il male in Algeria da alcuni anni…». Tuttavia, la popolazione algerina moltiplicò le testimonianze di solidarietà. Ad esempio, dopo l’assassinio delle due religiose spagnole, un giornalista di Algeri, Said Meqbel, scrisse: «Da questa domenica, il mio pensiero non smette di ritornare all’omicidio di queste due suore spagnole… Come si può sparare su due donne… che andavano verso Dio per chiedere una grazia… per noi poveri algerini piegati dalle tragedie?». E ancora, dopo l’omicidio dei quattro Padri Bianchi, una giovane donna lasciò questo messaggio: «Ormai, come molti abitanti della Cabila mi sentirò orfana. Per molti di noi i Padri erano una famiglia, un rifugio, un grande sostegno morale. Facevano parte di quegli esseri che non potevano appartenere a un’unica piccola famiglia».

 

Verso il processo di beatificazione

Nel maggio del 2000, Papa Giovanni Paolo II organizzò un grande incontro di preghiera per celebrare i «nuovi martiri del XX secolo». Si diceva che fossero «due milioni», contando anche gli ortodossi russi, vittime dei campi dell’Unione sovietica. Un consistente gruppo, composto dai membri delle famiglie e delle congregazioni dei nostri diciannove martiri, decise di incontrarsi a Roma per quest’evento. Io li accompagnai. Mi chiesero che si pensasse alla preparazione di un processo di beatificazione. Il tempo di ottenere il consenso di tutte le congregazioni e di raccogliere le prime testimonianze e il processo diocesano poté essere aperto nell’autunno del 2007, mentre la fase romana iniziò nel 2012. Nel gennaio del 2018, Papa Francesco ha autorizzato la celebrazione della beatificazione dei nostri diciannove martiri. I vescovi di Algeria hanno ottenuto dai responsabili algerini che questa celebrazione abbia luogo in territorio algerino. Desideravano che questa commemorazione dei nostri martiri potesse essere vissuta in grande comunione con tutte le famiglie algerine che in questa crisi avevano perduto qualcuno dei loro cari. Scrivevano in merito:

I nostri fratelli e le nostre sorelle (martiri) non accetterebbero di essere separati da coloro in mezzo ai quali hanno donato la loro vita. Sono i testimoni di una fraternità senza frontiere, di un amore che non fa differenze. Il nostro pensiero vuole omaggiare allo stesso modo tutte le nostre sorelle e i nostri fratelli algerini che non hanno avuto timore di rischiare la loro vita, fedeli a Dio, fedeli al loro paese e fedeli alla loro coscienza… Tra loro, ricordiamo i 99 Imam che hanno perso la loro vita per aver rifiutato di giustificare la violenza.

La celebrazione della beatificazione

La beatificazione avverrà l’8 dicembre a Orano, città di cui Mons. Claverie fu vescovo. Sarà presieduta dal Cardinale Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. La città di Orano non dispone di un luogo di culto così capiente da poter accogliere tutti i pellegrini. Dunque, la beatificazione vera e propria avrà luogo nella basilica di Notre Dame de Santa Cruz, che domina la città di Orano dall’alto. Inoltre, verrà trasmessa simultaneamente nella cattedrale di Orano, nella basilica di Notre Dame d’Afrique ad Algeri e in quella di Sant’Agostino ad Ippona (Annaba).

I vescovi algerini hanno affermato chiaramente che non si tratterà di celebrare le vittime cristiane dimenticandosi di quelle algerine, ma, al contrario, di mettere i martiri cristiani in relazione con tutte le vittime algerine. Ciò che vogliamo celebrare non è la morte dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in seguito alla violenza che è stata loro fatta, ma la loro fedeltà al popolo algerino, a cui erano stati inviati dalla Chiesa. Questa fedeltà esprime la vocazione della nostra chiesa dai tempi dell’indipendenza del Paese: "Essere la Chiesa d’Algeria, Paese musulmano". In altri paesi, alcune comunità cristiane hanno vissuto delle situazioni analoghe, come, ad esempio, molti dei nostri fratelli ad Aleppo. Questo concetto si ritrova in un testo che figura nella foresteria di Tibhirine:

Ospiti del popolo algerino, musulmano nella sua quasi totalità, i fratelli del monastero vorrebbero contribuire a testimoniare che la pace tra i popoli è un dono di Dio fatto agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, ed è compito dei credenti far conoscere qui e ora questo dono inestimabile. (B. Chenu, Sept Vies pour Dieu et Algerie, p. 24)

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