Il reclamizzatissimo Six Kings Slam evidenzia l’ampiezza dell’iniziativa saudita nell’ambito dello sport e dell’intrattenimento, ma anche i suoi limiti

Ultimo aggiornamento: 16/10/2024 17:41:55

Nella finestra di calciomercato dell’estate 2024, la spesa per trasferimenti di giocatori effettuata dalle prime dieci squadre della Saudi Pro League si è ridotta di quasi il 50%, passando da oltre 900 milioni di dollari a meno di 500 (dati Transfermarkt). Il calibro dei calciatori che hanno raggiunto l’Arabia Saudita, inoltre, non è stato paragonabile, almeno dal punto di vista mediatico, a quello dei campioni che si sono trasferiti nel Regno negli anni precedenti, come Cristiano Ronaldo o Neymar. L’interpretazione che conseguentemente è andata per la maggiore è stata quella di un ridimensionamento dell’ambizione saudita in termini calcistici, tanto che diversi (tra i quali il presidente della UEFA Ceferin) hanno avanzato il paragone con gli investimenti di corto respiro del calcio cinese negli anni compresi tra il 2015 e il 2018.

 

Questa lettura, tuttavia, non coglie l’ampiezza dell’iniziativa saudita nell’ambito dello sport e dell’intrattenimento, evidenziata proprio in questi giorni dal reclamizzatissimo Six Kings Slam a cui partecipa anche l’italiano Jannik Sinner, dominatore della stagione tennistica grazie alla vittoria (finora) di sette tornei. Mentre infatti la calciofilia italiana sottolineava il ridimensionamento del progetto saudita, in parte reale per via dell’andamento del mercato petrolifero, i piani di investimento nelle attività sportive sono andati avanti senza sosta. Il pugilato è un esempio lampante. Riyad è diventata quello che per lunghi anni è stata Las Vegas o Wembley: se c’è un evento che mette in palio le cinture più prestigiose, molto probabilmente si svolgerà nella capitale saudita sotto l’egida di Turki Al-Shaikh, figura chiave della scena dell’entertainment del Regno. È stato così nel caso del match probabilmente più importante degli ultimi 25 anni, quello tra l’inglese Tyson Fury e l’ucraino Oleksandr Usyk (vincitore), e anche del recentissimo Bivol vs Beterbiev, occasione per scorgere all’angolo di quest’ultimo anche Ramzan Kadyrov, ultimamente scomparso dai radar dei media generalisti. Calcio e pugilato dunque, ma anche golf e motorsport, a cominciare dalla Formula 1, con la costruzione del nuovo circuito nella cittadella sportiva di Qiddiya.

 

Se ci limitiamo al tennis, l’“offensiva” saudita va avanti da tempo ed è ben più profonda rispetto all’organizzazione di un torneo-esibizione come il Six Kings Slam. Il Public Investment Fund (PIF), fondo sovrano saudita e principale esecutore di Saudi Vision 2030, non si è limitato a sponsorizzare importanti tornei, tra cui i Master 1000 di Madrid, Miami e Indian Wells, ma ha apposto il suo marchio sulle classifiche ufficiali del mondo tennistico maschile, che hanno preso il nome di PIF ATP Rankings (con un effetto non così banale: il logo del fondo compare su tutti i contenuti collegati alla classifica aggiornata settimanalmente, “abituando” il pubblico internazionale alla presenza saudita in ambito sportivo). Inoltre, l’Arabia Saudita si candida seriamente a sfilare le ATP Finals proprio all’Italia, nonostante la tenace resistenza opposta dal presidente Binaghi, oltre a poter già vantare alcune significative vittorie. Le Next Gen ATP Finals, ad esempio, sono passate da Milano a Gedda, ma le principali vittime della potenza finanziaria saudita potrebbero essere gli australiani, la cui semi-esclusiva sul mese di gennaio propedeutica allo svolgimento degli Australian Open, è stata scalfita dalla probabile decisione dell’associazione dei tennisti professionisti di organizzare il decimo Master 1000 in Arabia Saudita a partire dalla prima settimana del 2027. Non bisogna poi dimenticare l’organizzazione delle WTA Finals a Riyad, che anche in questo caso faranno registrare un record in termini di montepremi, ma scontano le prevedibili polemiche sul rispetto dei diritti delle donne nel Regno.

Il Six Kings Slam, tuttavia, sembra di collocarsi più nell’ambito dello spettacolo che in quello dello sport in senso stretto. Diversi elementi lo fanno pensare, a cominciare dal video promozionale, che strizza l’occhio ai trailer delle serie tv epiche. Inoltre, l’evento si svolge nell’ambito di Riyadh Season (la rassegna di eventi culturali e sportivi per eccellenza in Arabia Saudita, che si svolge dal 2019 tra ottobre e marzo) e non assegna punti ATP. Vale a dire che nonostante siano i più competitivi presenti sulla scena (fatta esclusione per Rafael Nadal, prossimo al ritiro), i sei tennisti impegnati non beneficeranno di alcun miglioramento della loro classifica in caso di vittoria. Non solo: per partecipare a questa esibizione, fissata in quella che per i tennisti di alta classifica sarebbe teoricamente una delle poche settimane di riposo in preparazione al finale di stagione, si rende necessaria la rinuncia agli importanti tornei di Vienna e Basilea della settimana prossima. Per un giocatore come Sinner, che ha un gran distacco sugli inseguitori, ma sul quale incombe la spada di Damocle della Wada, significa rinunciare in partenza a difendere i 500 punti ottenuti con la vittoria del 2023 nella capitale austriaca. C’entrano sicuramente i soldi: mentre il total financial committment del torneo di Vienna è di circa 2,5 milioni di euro, la sola partecipazione al Six Kings Slam garantisce l’incasso di 1,5 milioni di dollari, che salgono a 6 milioni in caso di vittoria. Quasi il triplo del montepremi di una competizione ben più complicata come gli Australian Open. Un’altra spiegazione ha però a che fare con il prestigio personale: il torneo è su invito, vi partecipano i migliori tennisti (tra cui due leggende come Nadal e Djokovic) in quella che – come abbiamo detto – ambisce a diventare la capitale dello sport globale. Esserci significa veder riconosciuto il proprio status.

 

L’attivismo saudita sul fronte degli eventi sportivi rientra nei piani di Saudi Vision 2030, l’ambizioso programma che punta a diversificare l’economia del Regno e a ridurne la dipendenza dal petrolio, nonostante sia proprio ARAMCO (il gigante petrolifero saudita) a sponsorizzare il Six Kings Slam. Il modus operandi è quello che caratterizza le iniziative saudite in molti, e disparati, ambiti: utilizzare il capitale accumulato per attrarre le eccellenze assolute a livello mondiale, nella speranza che queste, poi, facciano da traino alla crescita di un movimento autoctono, in termini sportivi e non. Il percorso è lungo e tutt’altro che semplice, perché nel Paese la cultura sportiva è una novità, come dimostrano le sole quattro medaglie (due bronzi, due argenti) ottenute dal Regno dalla prima partecipazione alle Olimpiadi nel 1972. Infine, se l’ambizione dell’Arabia Saudita è smisurata, la messa a terra delle sue iniziative può essere più difficile di quanto si pensi, soprattutto quando si tratta di progetti altamente mediatizzati e innovativi.

 

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