La capitale pakistana ha ospitato una conferenza sull’accesso delle donne all’istruzione, conclusa con una Dichiarazione che esorta i governi musulmani a tutelare questo diritto. L’evento è stato anche una mossa del Pakistan contro l’emirato afghano
Ultimo aggiornamento: 12/02/2025 10:41:04
Il 12 e 13 gennaio scorso Islamabad ha ospitato una conferenza internazionale sull’accesso delle donne all’istruzione. All’evento, organizzato dal governo pakistano, dalla Lega Musulmana Mondiale e dall’Organizzazione della Cooperazione Islamica, hanno partecipato decine di studiosi musulmani e personalità da tutto il mondo islamico, tra cui anche Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace nel 2014. Quest’ultima nel suo intervento ha criticato duramente i talebani afghani che, dopo aver ripreso il potere nel 2021, hanno sospeso l’accesso delle ragazze all’istruzione secondaria estendendo il divieto anche all’istruzione universitaria alla fine del 2022. Il Segretario generale della Lega Musulmana Mondiale, Muhammad al-‘Issa, e il primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif, hanno ribadito l’importanza dell’istruzione femminile, chiamando a testimonianza la fede islamica, che «ha sempre celebrato l’istruzione di ogni musulmano, maschio o femmina, perché il messaggio dell’Islam è illuminare tutti, a prescindere dal genere».
Il grande assente all’evento è stato il governo di Kabul, che pure era stato invitato e per cui era stato chiaramente pensato questo incontro. Assente, ma non invitata, anche l’Unione mondiale degli Ulema di Doha, un’organizzazione di riferimento per la galassia islamista che nel 2020 aveva incontrato ripetutamente i capi del movimento talebano durante i negoziati con gli americani, offrendogli il proprio sostegno, e nel 2021 aveva celebrato con entusiasmo la ricostituzione dell’emirato afghano. Tuttavia, poco dopo l’organizzazione islamista ha iniziato a prendere le distanze dai Talebani, che nel frattempo stavano dando prova al mondo intero di non essere cambiati. Alla fine del 2022, quando il regime talebano ha annunciato il divieto per le ragazze di accedere all’istruzione universitaria, suscitando la condanna di diverse istituzioni islamiche, l’Unione mondiale degli Ulema è rimasta in silenzio. Secondo alcune fonti, nei giorni successivi alcuni membri dell’organizzazione di Doha si sarebbero recati in Afghanistan per un incontro informale con il governo talebano nel tentativo di farlo ritornare sui suoi passi, ma la delegazione non sarebbe mai stata ricevuta, un chiaro segnale dell’allontanamento tra le due parti.
Già nel 2022 peraltro il divieto imposto dai talebani non aveva ottenuto il consenso unanime nemmeno all’interno del governo di Kabul. Il viceministro degli Esteri, Sher Abbas Stanikzai, si era espresso fin da subito contro la misura e a fine gennaio 2025 ha ribadito la sua posizione, chiedendone la revoca: «Stiamo commettendo un’ingiustizia contro 20 milioni di persone su una popolazione di 40 milioni, privandole di tutti i loro diritti. Questo non è nella sharia, ma una nostra scelta personale».
La conferenza ospitata nella capitale pakistana si inserisce in un clima di dibattito e tensioni tra posizioni contrastanti ed è la prima iniziativa pubblica promossa da un’organizzazione islamica per sensibilizzare il mondo musulmano sull’istruzione femminile dopo il divieto imposto dai talebani.
L’evento si è concluso con la firma della Dichiarazione di Islamabad, un documento in diciassette punti che esorta i governi dei Paesi musulmani a garantire l’istruzione femminile, definendola «non solo un obbligo religioso, ma una necessità sociale urgente, un diritto fondamentale tutelato dalle leggi divine, sancito dagli insegnamenti islamici, rafforzato dalle carte internazionali e riconosciuto dalle costituzioni nazionali» (punto 2). Il testo riconosce alle donne un ruolo centrale nella promozione di «famiglie e comunità stabili», elemento essenziale per il rafforzamento delle società e la costruzione della pace globale, dell’armonia nazionale e della lotta contro l’estremismo, la violenza, la criminalità e l’ateismo» (punto 4). Al punto 5, la Dichiarazione invita i governi e le autorità religiose a non strumentalizzare i principi religiosi per giustificare politiche di esclusione ed emarginazione. Al tempo stesso, mette in guardia contro «ideologie estremiste, fatwe e opinioni basate su norme e schemi culturali che ostacolano l’istruzione femminile e perpetuano pregiudizi sociali contro le donne». Per contrastare questa tendenza, il documento esorta gli organismi preposti all’emissione di fatwe a emettere pareri legali favorevoli all’istruzione femminile, e le istituzioni scolastiche a creare risorse digitali che migliorino l’accesso delle ragazze all’istruzione. Il punto 12 sollecita i governi e i media del mondo islamico a promuovere campagne e programmi educativi per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema. Allo stesso tempo, invita gli ulema, gli imam e le guide religiose a trattare il tema dei diritti delle donne nei sermoni pronunciati durante la preghiera del venerdì, contribuendo così a diffondere tra i fedeli una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’istruzione femminile.
È molto significativo che la conferenza sia stata organizzata proprio in Pakistan, un Paese che nel 2021 accolse con favore il ritorno dei Talebani alla guida dell’Afghanistan, sperando in una cooperazione con il nuovo governo di Kabul, e che pure non brilla per accesso delle ragazze all’istruzione, come ha riconosciuto anche il primo ministro Shehbaz Sharif. Le aspettative di Islamabad si sarebbero presto scontrate con la realtà. Il regime talebano ha rifiutato di riconoscere la Linea Durand, il confine tracciato dai britannici nel 1893 che separa i due Paesi e divide la popolazione pashtun tra Afghanistan e Pakistan. Sulla falsariga del precedente governo talebano (1996-2001), l’attuale regime afghano ha continuato a considerare questa Linea una divisione artificiale imposta dal colonialismo, ciò che ha creato attriti con il governo pakistano. Inoltre, il nuovo emirato di Kabul ha offerto rifugio al Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), meglio noti come Talebani pakistani, gruppo terrorista responsabile di frequenti attacchi contro le forze di sicurezza pakistane. Tra il 2022 e il 2023 il TTP ha intensificato le operazioni in Pakistan utilizzando basi nel vicino Afghanistan. Nonostante le pressioni di Islamabad, i Talebani afghani non hanno compiuto azioni decisive contro il movimento, temendo dissensi interni e possibili defezioni verso organizzazioni rivali, tra cui lo Stato Islamico in Khorasan (IS-KP). La situazione è degenerata nel 2024, quando il Pakistan ha risposto agli attacchi del TTP conducendo dei raid aerei su alcuni presunti nascondigli del gruppo in Afghanistan. Gli attacchi hanno provocato molte vittime tra i civili, suscitando la dura condanna del governo talebano e andando a inasprire ulteriormente le tensioni bilaterali.
A complicare ulteriormente i rapporti tra i due Paesi è stata la decisione di Islamabad, nell’autunno del 2023, di deportare 1,7 milioni di afghani presenti illegalmente in Pakistan. Molti risiedono da anni nel Paese, dove hanno costruito la propria vita lavorativa e familiare sebbene ai margini della legalità, mentre altri – circa 700.000, secondo le stime – sono arrivati in Pakistan dopo il ritorno al potere dei Talebani nel 2021, fuggendo da discriminazioni e rappresaglie. Islamabad motiva la misura con ragioni di sicurezza, sostenendo che molti autori dei recenti attentati sono cittadini afghani. Tuttavia, questa decisione sembra soprattutto un segnale politico diretto a Kabul, volto a fare pressione sui Talebani affinché prendano provvedimenti contro il TTP.
In questo contesto di tensione geopolitica, la conferenza sul diritto all’istruzione femminile si configura come una mossa del Pakistan contro il governo talebano. Resta da vedere se, al di là dei suoi obiettivi politici indiretti, la Dichiarazione di Islamabad si tradurrà in azioni concrete, contribuendo a migliorare la situazione di milioni di ragazze e donne che oggi non possono accedere all’istruzione.
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