Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba

Ultimo aggiornamento: 04/04/2025 15:19:55

Il 28 marzo scorso, il presidente siriano Ahmad al-Sharaa ha ripristinato la carica di Gran Mufti, abolita nel 2021 da Bashar al-Assad, nominando a tale ruolo lo shaykh Osama al-Rifa‘i, figura di cui al-Jazeera ha tracciato il profilo. Figlio dello studioso e predicatore siriano ‘Abd al-Karim al-Rifa‘i, Osama studiò all’Università di Damasco e si rifugiò in Arabia Saudita nel 1981 per sfuggire alla repressione anti-islamista. Erano gli anni in cui Hafez al-Assad era ossessionato dai gruppi islamici, e in particolare dai Fratelli musulmani, la cui influenza era sempre più estesa nella società siriana. Osama tornò in Siria nel 1993 e divenne membro attivo dell’Associazione sufi Zaid, fondata negli anni ’40 e guidata da suo padre, impegnata in attività educative e caritatevoli. Dopo anni di riservatezza politica, nel 2011 al-Rifa‘i appoggiò apertamente la rivoluzione contro Bashar al-Assad e per questo fu arrestato e costretto all’esilio a Istanbul. Durante la guerra civile condannò il jihadismo e l’interferenza iraniana, e nel 2014 fondò il Consiglio islamico siriano, di cui è presidente dal 2021. Quello stesso anno il governo di opposizione lo nominò Gran Mufti della Siria, dopo che Bashar aveva abolito la carica e rimosso il fedelissimo Ahmad Hassoun. Al-Rifa‘i è tornato a Damasco dopo la caduta del regime ed è stato accolto in grande stile da al-Sharaa.

«La ristrutturazione dell’élite religiosa siriana, la ricostruzione delle istituzioni religiose per mano del nuovo regime e la formazione del nuovo governo siriano» rappresentano il trionfo del «diritto della maggioranza», commenta l’intellettuale libanese Ridwan al-Sayyid su Asasmedia. Nel suo commento lo studioso riprende un’affermazione del pensatore marxista siriano Elias Murqus, che già nel 1981 metteva in guardia dal rischio che «i siriani e la nazione restassero prigionieri del principio o del diritto della maggioranza». Mentre le élite mercantili e religiose delle grandi città siriane oggi vengono praticamente costrette a prendere le distanze dal confessionalismo, «chi proviene da Idlib e arriva al potere a Damasco e nelle altre città non esita a rivendicare la propria appartenenza sunnita», afferma al-Sayyid. L’articolo ripercorre poi l’evoluzione del rapporto tra gli Assad e le élite religiose siriane, che ha seguito un andamento altalenante a seconda delle esigenze del regime. Avendo constatato l’impossibilità di eliminare la Fratellanza dai circoli religiosi siriani, spiega al-Sayyid, Hafez «ripristinò la vecchia tradizione sunnita nelle città, creò una nuova élite di religiosi legata al regime e incardinata nelle istituzioni, come il Ministero degli Awqaf, e si aprì ai nuovi gruppi religiosi tradizionali, come quello sorto attorno al mufti Ahmed Kuftaro, consentendo loro di fondare istituti religiosi». Bashar al-Assad, prosegue al-Sayyid, è andato oltre, sostenendo figure fedeli al regime, tra cui l’ex Gran Mufti Ahmad Hassoun, e incoraggiando la nascita di nuove associazioni religiose impegnate in attività caritatevoli e nel proselitismo. Ma dopo la morte di Kuftaro, nel 2004, il quadro del Paese è cambiato: la continua espansione della Fratellanza e la mancanza di leader religiosi affidabili tra i nuovi gruppi hanno indotto Bashar a smantellare le istituzioni religiose, incluse quelle create dal padre. Negli ultimi vent’anni, prosegue l’articolo, Bashar aveva sviluppato una crescente diffidenza nei confronti dell’islam per tre ragioni: l’alleanza che venne a costituirsi nel tempo tra i nuovi gruppi religiosi consentiti dal regime e le corporazioni mercantili; l’influenza iraniana e il processo di sciitizzazione del Paese attraverso l’apertura di husseiniya (sale per i riti sciiti), istituti e università sciite in diverse città; l’infiltrazione della Fratellanza musulmana all’estero in alcune associazioni religiose siriane, inizialmente sostenute da Assad e dalla moglie. Le attuali politiche di al-Sharaa mirano a rispondere ai sentimenti della maggioranza sunnita, rendendo quanto mai attuali le parole di Elias Murqus, che metteva in guardia dal rischio di un dominio esclusivo della maggioranza, conclude l’articolo.

Il quotidiano di proprietà qatariota al-‘Arabi al-Jadid ha pubblicato un’immagine generata artificialmente  che ritrae fianco a fianco l’ex Gran Mufti Ahmad Hassoun e la monaca carmelitana libanese Agnès-Mariam de la Croix, considerati due sostenitori emblematici di Bashar al-Assad. L’immagine accompagna un articolo firmato da Hassan al-Aswad, scrittore siriano e attivista per i diritti umani, che mette in discussione la diffusa convinzione secondo cui il partito Baath e il regime di Bashar al-Assad fossero laici. Secondo l’autore, questa convinzione si fonda su elementi parziali e decontestualizzati, che sia il regime sia i suoi oppositori hanno strumentalizzato al punto da farli apparire come verità incontestabili. Tra questi, al-Aswad cita il divieto posto dagli Assad di mettere in atto pratiche religiose all’interno delle istituzioni militari e di sicurezza, la repressione di comportamenti religiosi, sia individuali che collettivi, e il ferreo controllo dell’aspetto esteriore delle persone (la lunghezza della barba, per esempio, portata lunga dai salafiti) e del loro comportamento, come l’abitudine a partecipare quotidianamente alla preghiera dell’alba o a leggere testi religiosi. Peraltro, prosegue l’articolo, l’ex regime promuoveva il consumo di alcol come simbolo di modernità all’interno delle élite militari e di sicurezza, nonostante la società disprezzasse e rifiutasse questa pratica. Tutto ciò, scrive al-Aswad, non era un segno di laicità ma parte di un più ampio meccanismo di controllo. Il vero obiettivo dell’ex regime, sostiene, era impedire ogni forma di aggregazione sociale al di fuori dei luoghi di culto, nel timore che questo potesse favorire il pensiero critico o il dibattito pubblico. La retorica della laicità del regime è servita anche alla propaganda islamista, che l’ha utilizzata per delegittimare Assad agli occhi della società tradizionale e religiosa, presentandolo come nemico dell’islam. In questo modo, entrambe le parti hanno finito per alimentare una narrazione funzionale ai propri interessi, scrive il giornalista. Questo approccio verso il religioso è diventato più evidente dopo il 18 marzo 2011, data d’inizio delle prime proteste popolari, che hanno rappresentato una minaccia crescente per la stabilità del regime. Di fronte al pericolo, Assad ha mobilitato le autorità religiose – sia islamiche che cristiane – coltivate e cooptate nel corso dei decenni, con l’obiettivo di delegittimare i ribelli e neutralizzare il sostegno popolare alla rivolta. In questo contesto, figure come Ahmad Hassoun e Madre Agnès-Mariam de la Croix si sono distinte come esempi emblematici di questo uso strumentale della religione, commenta il giornalista. La decisione di al-Sharaa di ripristinare la carica di Gran mufti e di creare il Consiglio supremo della fatwa mira a riaffermare il controllo religioso da parte dello Stato, conclude l’articolo.

La rivista saudita al-Majalla ha invece commentato con toni entusiastici la formazione del nuovo governo siriano, insediatosi questa settimana. Ribattezzato il «governo di salvezza di Damasco», rappresenta il primo esecutivo in grado di esercitare la propria autorità sull’intero territorio siriano, dopo anni di frammentazione politica che avevano visto il Paese diviso in quattro governi differenti, scrive Radwan Ziadeh, co-fondatore e direttore del Centro di Studi politici e strategici siriano di Washington. Nel segno della discontinuità con l’era Assad, il nuovo esecutivo ha abolito tre ministeri: quello dell’Irrigazione, quello dell’Elettricità (accorpato all’Energia) e quello del Commercio interno e della tutela dei consumatori. Secondo Ziadeh si tratta di «un chiaro segnale dell’orientamento del governo di Ahmad al-Sharaa verso un’economia di mercato e la fine del controllo statale, che spesso porta al monopolio governativo e alla corruzione piuttosto che alla concorrenza e alla trasparenza del mercato». Il governo di transizione, prosegue l’articolo, si distingue anche per una notevole pluralità religiosa, politica e regionale. Su un totale di 15 ministri, 13 fanno il loro ingresso per la prima volta al governo, mentre solo due hanno precedenti esperienze con i governi di Assad: il ministro dei Trasporti e quello dell’Economia. Sebbene i ministeri chiave – Esteri, Difesa, Interni e Giustizia – restino sotto il controllo di figure vicine a Hay’at Tahrir al-Sham, il governo include anche personalità estranee al movimento, in un tentativo di allargare la rappresentanza politica. Secondo Ziadeh, la lacuna più grave della nuova squadra è l’assenza di un Ministero per i Rifugiati e gli Sfollati, in un Paese dove «la questione degli sfollati interni e dei rifugiati nei Paesi limitrofi è il problema umanitario più importante, visto che riguarda oltre 8 milioni di siriani dentro e fuori il Paese».