Meditazione del Santo Padre Benedetto XVI nel corso della prima congregazione Generale dell’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, 11 ottobre 2010.
Ultimo aggiornamento: 30/07/2024 12:11:14
Cari fratelli e sorelle, l'11 ottobre 1962, quarantotto anni fa, Papa Giovanni XXIII inaugurava il Concilio Vaticano II. Si celebrava allora l’11 ottobre la festa della Maternità divina di Maria, e, con questo gesto, con questa data, Papa Giovanni voleva affidare tutto il Concilio alle mani materne, al cuore materno della Madonna. Anche noi cominciamo l’11 ottobre, anche noi vogliamo affidare questo Sinodo, con tutti i problemi, con tutte le sfide, con tutte le speranze, al cuore materno della Madonna, della Madre di Dio. Pio XI, nel 1930, aveva introdotto questa festa, milleseicento anni dopo il Concilio di Efeso, il quale aveva legittimato, per Maria, il titolo Theotókos, Dei Genitrix. In questa grande parola Dei Genitrix, Theotókos, il Concilio di Efeso aveva riassunto tutta la dottrina di Cristo, di Maria, tutta la dottrina della redenzione. E così vale la pena riflettere un po’, un momento, su ciò di cui parla il Concilio di Efeso, ciò di cui parla questo giorno. In realtà, Theotókos è un titolo audace. Una donna è Madre di Dio. Si potrebbe dire: come è possibile? Dio è eterno, è il Creatore. Noi siamo creature, siamo nel tempo: come potrebbe una persona umana essere Madre di Dio, dell’Eterno, dato che noi siamo tutti nel tempo, siamo tutti creature? Perciò si capisce che c’era forte opposizione, in parte, contro questa parola. I nestoriani dicevano: si può parlare di Christotókos, sì, ma di Theotókos no: Theós, Dio, è oltre, sopra gli avvenimenti della storia. Ma il Concilio ha deciso questo, e proprio così ha messo in luce l’avventura di Dio, la grandezza di quanto ha fatto per noi. Dio non è rimasto in sé: è uscito da sé, si è unito talmente, così radicalmente con quest’uomo, Gesù, che quest’uomo Gesù è Dio, e se parliamo di Lui, possiamo sempre anche parlare di Dio. Non è nato solo un uomo che aveva a che fare con Dio, ma in Lui è nato Dio sulla terra. Dio è uscito da sé. Ma possiamo anche dire il contrario: Dio ci ha attirato in se stesso, così che non siamo più fuori di Dio, ma siamo nell’intimo, nell’intimità di Dio stesso. La filosofia aristotelica, lo sappiamo bene, ci dice che tra Dio e l’uomo esiste solo una relazione non reciproca. L’uomo si riferisce a Dio, ma Dio, l’Eterno, è in sé, non cambia: non può avere oggi questa e domani un’altra relazione. Sta in sé, non ha relazione ad extra. È una parola molto logica, ma è una parola che ci fa disperare: quindi Dio stesso non ha relazione con me. Con l’incarnazione, con l’avvenimento della Theotókos, questo è cambiato radicalmente, perché Dio ci ha attirato in se stesso e Dio in se stesso è relazione e ci fa partecipare nella sua relazione interiore. Così siamo nel suo essere Padre, Figlio e Spirito Santo, siamo nell’interno del suo essere in relazione, siamo in relazione con Lui e Lui realmente ha creato relazione con noi. In quel momento Dio voleva essere nato da una donna ed essere sempre se stesso: questo è il grande avvenimento. E così possiamo capire la profondità dell’atto di Papa Giovanni, che affidò l’Assise conciliare, sinodale, al mistero centrale, alla Madre di Dio che è attirata dal Signore in Lui stesso, e così noi tutti con Lei. Il Concilio ha cominciato con l’icona della Theotókos. Alla fine Papa Paolo VI riconosce alla stessa Madonna il titolo Mater Ecclesiae. E queste due icone, che iniziano e concludono il Concilio, sono intrinsecamente collegate, sono, alla fine, un’icona sola. Perché Cristo non è nato come un individuo tra altri. È nato per crearsi un corpo: è nato — come dice Giovanni al capitolo 12 del suo Vangelo — per attirare tutti a sé e in sé. È nato — come dicono le Lettere ai Colossesi e agli Efesini — per ricapitolare tutto il mondo, è nato come primogenito di molti fratelli, è nato per riunire il cosmo in sé, cosicché Lui è il Capo di un grande Corpo. Dove nasce Cristo, inizia il movimento della ricapitolazione, inizia il momento della chiamata, della costruzione del suo Corpo, della santa Chiesa. La Madre di Theós, la Madre di Dio, è Madre della Chiesa, perché Madre di Colui che è venuto per riunirci tutti nel suo Corpo risorto. San Luca ci fa capire questo nel parallelismo tra il primo capitolo del suo Vangelo e il primo capitolo degli Atti degli Apostoli, che ripetono su due livelli lo stesso mistero. Nel primo capitolo del Vangelo lo Spirito Santo viene su Maria e così partorisce e ci dona il Figlio di Dio. Nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli Maria è al centro dei discepoli di Gesù che pregano tutti insieme, implorando la nube dello Spirito Santo. E così dalla Chiesa credente, con Maria nel centro, nasce la Chiesa, il Corpo di Cristo. Questa duplice nascita è l’unica nascita del Christus totus, del Cristo che abbraccia il mondo e noi tutti. Nascita a Betlemme, nascita nel Cenacolo. Nascita di Gesù Bambino, nascita del Corpo di Cristo, della Chiesa. Sono due avvenimenti o un unico avvenimento. Ma tra i due stanno realmente la Croce e la Risurrezione. E solo tramite la Croce avviene il cammino verso la totalità del Cristo, verso il suo Corpo risorto, verso l’universalizzazione del suo essere nell’unità della Chiesa. E così, tenendo presente che solo dal grano caduto in terra nasce poi il grande raccolto, dal Signore trafitto sulla Croce viene l’universalità dei suoi discepoli riuniti in questo suo Corpo, morto e risorto. Tenendo conto di questo nesso tra Theotókos e Mater Ecclesiae, il nostro sguardo va verso l’ultimo libro della Sacra Scrittura, l’Apocalisse, dove, nel capitolo 12, appare proprio questa sintesi. La donna vestita di sole, con dodici stelle sul capo e la luna sotto i piedi, partorisce. E partorisce con un grido di dolore, partorisce con grande dolore. Qui il mistero mariano è il mistero di Betlemme allargato al mistero cosmico. Cristo nasce sempre di nuovo in tutte le generazioni e così assume, raccoglie l’umanità in se stesso. E questa nascita cosmica si realizza nel grido della Croce, nel dolore della Passione. E a questo grido della Croce appartiene il sangue dei martiri. Così, in questo momento, possiamo gettare uno sguardo sul secondo Salmo di questa Ora Media, il Salmo 81, dove si vede una parte di questo processo. Dio sta tra gli dei – ancora sono considerati in Israele come dei. In questo Salmo, in un concentramento grande, in una visione profetica, si vede il depotenziamento degli dei. Quelli che apparivano dei non sono dei e perdono il carattere divino, cadono a terra. Dii estis et moriemini sicut homines [cfr Sal 81, 6-7]: il depotenziamento, la caduta delle divinità. Questo processo che si realizza nel lungo cammino della fede di Israele, e che qui è riassunto in un’unica visione, è un processo vero della storia della religione: la caduta degli dei. E così la trasformazione del mondo, la conoscenza del vero Dio, il depotenziamento delle forze che dominano la terra, è un processo di dolore. Nella storia di Israele vediamo come questo liberarsi dal politeismo, questo riconoscimento — «solo Lui è Dio» — si realizza in tanti dolori, cominciando dal cammino di Abramo, l’esilio, i Maccabei, fino a Cristo. E nella storia continua questo processo del depotenziamento, del quale parla l’Apocalisse al capitolo 12; parla della caduta degli angeli, che non sono angeli, non sono divinità sulla terra. E si realizza realmente, proprio nel tempo della Chiesa nascente, dove vediamo come col sangue dei martiri vengono depotenziate le divinità, cominciando dall’imperatore divino, da tutte queste divinità. È il sangue dei martiri, il dolore, il grido della Madre Chiesa che le fa cadere e trasforma così il mondo. Questa caduta non è solo la conoscenza che esse non sono Dio; è il processo di trasformazione del mondo, che costa il sangue, costa la sofferenza dei testimoni di Cristo. E, se guardiamo bene, vediamo che questo processo non è mai finito. Si realizza nei diversi periodi della storia in modi sempre nuovi; anche oggi, in questo momento, in cui Cristo, l’unico Figlio di Dio, deve nascere per il mondo con la caduta degli dei, con il dolore, il martirio dei testimoni. Pensiamo alle grandi potenze della storia di oggi, pensiamo ai capitali anonimi che schiavizzano l’uomo, che non sono più cosa dell’uomo, ma sono un potere anonimo al quale servono gli uomini, dal quale sono tormentati gli uomini e perfino trucidati. Sono un potere distruttivo che minaccia il mondo. E poi il potere delle ideologie terroristiche. Apparentemente in nome di Dio viene fatta violenza, ma non è Dio: sono false divinità che devono essere smascherate, che non sono Dio. E poi la droga, questo potere che, come una bestia vorace, stende le sue mani su tutte le parti della terra e distrugge: è una divinità, ma una divinità falsa che deve cadere. O anche il modo di vivere propagato dall’opinione pubblica: oggi si fa così, il matrimonio non conta più, la castità non è più una virtù, e così via. Queste ideologie che dominano, così che si impongono con forza, sono divinità. E nel dolore dei santi, nel dolore dei credenti, della Madre Chiesa della quale noi siamo parte, devono cadere queste divinità, deve realizzarsi quanto dicono le Lettere ai Colossesi e agli Efesini: le dominazioni, i poteri cadono e diventano sudditi dell’unico Signore Gesù Cristo. Di questa lotta nella quale noi stiamo, di questo depotenziamento di Dio, di questa caduta dei falsi dei, che cadono perché non sono divinità, ma poteri che distruggono il mondo, parla l’Apocalisse al capitolo 12, anche con un’immagine misteriosa, per la quale, mi pare, ci sono tuttavia diverse belle interpretazioni. Viene detto che il dragone emette un grande fiume di acqua contro la donna in fuga per travolgerla. E sembra inevitabile che la donna venga annegata in questo fiume. Ma la buona terra assorbe questo fiume ed esso non può nuocere. Io penso che il fiume sia facilmente interpretabile: sono queste correnti che dominano tutti e che vogliono far scomparire la fede della Chiesa, la quale non sembra più avere posto davanti alla forza di queste correnti che si impongono come l’unica razionalità, come l’unico modo di vivere. E la terra che assorbe queste correnti è la fede dei semplici, che non si lascia travolgere da questi fiumi e salva la Madre e salva il Figlio. Perciò il Salmo dice – il primo salmo dell’Ora Media – la fede dei semplici è la vera saggezza [cfr Sal 118,130]. Questa saggezza vera della fede semplice, che non si lascia divorare dalle acque, è la forza della Chiesa. E siamo ritornati al mistero mariano. E c’è anche un’ultima parola nel Salmo 81, «movebuntur omnia fundamenta terrae» [Sal 81,5], vacillano le fondamenta della terra. Lo vediamo oggi, con i problemi climatici, come sono minacciate le fondamenta della terra, ma sono minacciate dal nostro comportamento. Vacillano le fondamenta esteriori perché vacillano le fondamenta interiori, le fondamenta morali e religiose, la fede dalla quale segue il retto modo di vivere. E sappiamo che la fede è il fondamento, e, in definitiva, le fondamenta della terra non possono vacillare se rimane ferma la fede, la vera saggezza. E poi il Salmo dice: «Alzati, Signore, e giudica la terra» [Sal 81,8]. Così diciamo anche noi al Signore: «Alzati in questo momento, prendi la terra tra le tue mani, proteggi la tua Chiesa, proteggi l’umanità, proteggi la terra». E affidiamoci di nuovo alla Madre di Dio, a Maria, e preghiamo: «Tu, la grande credente, tu che hai aperto la terra al cielo, aiutaci, apri anche oggi le porte, perché sia vincitrice la verità, la volontà di Dio, che è il vero bene, la vera salvezza del mondo». Amen
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