L’attentato a una chiesa del Cairo mina la credibilità del presidente egiziano, accusato dai copti di non fare abbastanza per la loro sicurezza

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:06:49

L’attentato contro una chiesa al Cairo, l’11 dicembre, rivendicato dallo Stato Islamico, oltre a voler colpire i cristiani e punire i copti anche per le loro posizioni politiche in Egitto è un attacco al presidente AbdelFattah al-Sisi. Sono state uccise nell’esplosione in una sala di preghiera adiacente alla cattedrale di Abassiya, nel cuore popolare della capitale, 25 persone.

Fin dalla sua elezione alla Cattedra di san Marco, nel novembre 2012, poco dopo la rivoluzione, papa Tawadros II, patriarca dei copti ortodossi egiziani, aveva fatto appello ai fedeli perché uscissero dalle chiese e prendessero parte alle attività politiche, con l’auspicio di essere “il sale della terra e la luce del mondo” (Mt. 5,13). E se fino alla primavera 2013 le autorità copte si sono mantenute distanti dal governo del presidente islamista Mohammed Morsi, in seguito non hanno esitato a sostenere il suo successore, il generale al-Sisi. L’attentato terroristico è “volto a minarne la (già scarsa) credibilità del presidente mettendo in luce la sua incapacità di proteggere le minoranze religiose”, spiega a Oasis Georges Fahmi, ricercatore egiziano presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole. Il governo egiziano, spiega, si trova da tempo di fronte a due gravi minacce: da un lato l’azione dello Stato Islamico, che con questo attentato ha dimostrato di riuscire a espandere il proprio raggio di azione al di fuori dalla penisola del Sinai e nel cuore del Paese; dall’altro i Fratelli musulmani, una parte dei quali ha cominciato a radicalizzarsi per le politiche di repressione adottate dal presidente nei loro confronti: “La fratellanza è spaccata tra chi è contro la violenza, e chi dice che la passività non ha portato risultati e che quindi occorre agire con la forza”.

In questo caso, “i Fratelli hanno negato qualsiasi responsabilità dicendo che i copti non hanno nulla a che vedere con la loro lotta contro il regime”, e l’attentato è stato rivendicato dallo Stato Islamico. Questo, secondo Fahmi, non fa che confermare l’inefficacia della campagna contro il fondamentalismo condotta in Sinai dal governo. Il giovane che ha commesso l’attentato, infatti, era stato in prigione due anni fa. Reclutando nelle prigioni individui che spesso sono rilasciati dopo pochi anni e tornano a far parte della vita civile, l’Isis riesce più facilmente a colpire nel cuore delle società di diversi paesi.

Se è vero che la questione della sicurezza è prioritaria, le misure di repressione e le leggi da sole non sono sufficienti ad arginare il terrorismo, ha ricordato il giornalista ‘Amr al-Shubaki pochi giorni fa su al-Masry al-Youm. A volte, infatti, la soluzione securitaria e militare può sortire l’effetto opposto ed essere un fattore di diffusione del terrorismo anziché contenitivo. Il presidente al-Sisi è chiamato a operare anche e soprattutto su altri fronti, come quello economico e sociale: l’Egitto attraversa da mesi una crisi economica profonda. “In questi giorni il Parlamento lavora alla promulgazione di nuove leggi per prevenire attentati e aumentare il livello di sicurezza del Paese – spiega George Fahmi. Il punto è che le leggi sono necessarie ma non sufficienti a prevenire la minaccia terroristica. Da diversi mesi infatti l’Egitto vive una grave crisi economica che aggrava problemi preesistenti quali, per esempio, l’emarginazione di alcune fasce della società. Le riserve di valuta straniera sono in esaurimento perciò non si riescono a importare prodotti, gli investimenti stranieri in Egitto sono crollati come del resto anche il turismo”.

Al-Sisi si trova inoltre a scontare il fatto di aver basato la relazione con i copti sul rapporto esclusivo con la gerarchia. Il presidente, infatti, interloquisce con le autorità senza confrontarsi mai con gli intellettuali, i politici, i giovani. “Che la gerarchia sia diventata il rappresentante politico di tutta la comunità è un grave problema che non fa che aggravare la sensazione di essere minoranza. Così facendo i copti non sono trattati da cittadini e non sono considerati attori politici. Questo problema – dice Fahmi – si è manifestato chiaramente durante le trattative tra Parlamento e Chiesa copta per la legge sulla costruzione dei luoghi di culto. I cittadini, tra cui la deputata Nadia Henry, che hanno contestato alcuni punti della legge non sono stati minimamente ascoltati”.

“I martiri della cattedrale sono martiri di un tipo particolare, sono vittime del pensiero oscurantista che odia i trasgressori della religione e del credo, e vittime del discorso di vendetta e di odio diffuso da molte componenti takfiriste, ovvero chi lancia accuse di miscredenza. Queste ultime fanno proprio il discorso dell’ingiustizia politica e ritengono che i cristiani siano gli unici a sostenere il regime” – ha scritto ‘Amr Shubaky su al-Masry al-Youm, il giorno dopo la strage nella cattedrale. La verità però – aggiunge l’editorialista – è che i cristiani hanno svolto un ruolo importante sia durante la rivoluzione del 25 gennaio 2011, sfociata nella destituzione dell’ex-presidente Hosni Mubarak, sia durante le proteste del 30 giugno 2013, quando milioni di manifestanti sono scesi in piazza contro Muhammad Morsi ponendo fine al tentativo (fallimentare) di governo dei Fratelli musulmani e favorendo l’ascesa alla presidenza di al-Sisi. Che i martiri copti siano vittime del pensiero takfirista è indubbio; la rivendicazione dell’attentato parla infatti di un’operazione suicida che ha colpito “80 crociati tra morti e feriti” e avverte “i miscredenti e gli apostati egiziani e di ogni luogo che la nostra [dell’Isis] guerra all’idolatria (shirk) continua”.

Come dice al-Shubaki, dire che tutti gli arabi, musulmani e non-musulmani, sono diventati obbiettivi del terrorismo non è sufficiente. Oltre ad affrontare le sfide legate alla sicurezza, i musulmani sono chiamati ad affrontare il discorso che predica l’odio, e individuare e combattere le cause e i fattori del terrorismo con il discorso politico.

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