Un report realizzato con il contributo dell’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica – Direzione Generale per la Diplomazia Pubblica e Culturale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

Ultimo aggiornamento: 11/07/2024 09:44:24

Introduzione

 

La restaurazione dell’emirato talebano in Afghanistan nel 2021 e le proteste scoppiate nel settembre del 2022 in Iran dopo la morte di Mahsa Amini hanno contribuito a rilanciare la questione dello statuto della donna nelle società musulmane. È vero che i due Paesi asiatici, e in particolare l’Afghanistan, rappresentano casi limite di discriminazione femminile su base religiosa. Le misure che essi prevedono per le donne non esistono infatti in gran parte degli altri Stati a maggioranza musulmana. Tuttavia, la condizione femminile rimane uno degli argomenti più controversi dell’islam contemporaneo e nella figura femminile si condensano molte delle tensioni che attraversano le società musulmane: la dialettica tra tradizione e rinnovamento, il rapporto tra Stato e religione, la relazione tra diritto divino e diritti dell’uomo. Come ha scritto l’attivista marocchina Asma Lamrabet nel suo libro Islam et femmes. Les questions qui fâchent, pubblicato in Marocco nel 2017, l’interpretazione dell’islam che prevale in diversi contesti musulmani costringe molto spesso le donne nella posizione di «ultime guardiane del tempio della tradizione»[1].

 

L’adeguata valorizzazione del ruolo della donna rimane perciò una priorità per molte società musulmane, nelle quali lo sviluppo umano è in parte compromesso anche da significative discriminazioni nei rapporti di genere. Lo confermano le conclusioni di un documento curato da varie agenzie delle Nazioni Unite che, analizzando la situazione di donne e bambine in Medio Oriente e Nord Africa nel decennio 2010-2020, parlava di una questione irrisolta: «Sono stati documentati alcuni progressi, tuttavia il ritmo è lento e non riflette gli impegni presi con l’Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile, né raccoglie le sfide della regione»[2]

 

Allo stesso tempo, le pressioni esercitate dai Paesi occidentali per favorire l’emancipazione femminile risultano spesso controproducenti, finendo per essere percepite come ingerenze strumentali o come forme di neocolonialismo culturale. Lo ha affermato con chiarezza la femminista musulmana iraniana Ziba Mir-Hosseini: «Le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq – entrambe parzialmente giustificate in nome della “democrazia”, della “libertà” e dei “diritti delle donne” – unite al doppio standard utilizzato per promuovere le sanzioni delle Nazioni Unite, hanno profondamente minato la credibilità morale dei diritti umani e dei discorsi femministi»[3]. Bisogna peraltro tenere conto che nel mondo musulmano l’attivismo femminile è fortemente diversificato al suo interno. Ci sono donne che lottano per la propria emancipazione in nome della laicità, della modernità e del progresso, e che quindi guardano con favore all’Occidente, ma anche tante altre che lo fanno in nome dell’islam, proponendo magari un modello di relazioni tra i generi alternativo a quello affermatosi nel mondo euro-atlantico.

 

Sebbene non nei termini con cui si manifesta nelle società musulmane, il ruolo della donna è una questione aperta anche nel cristianesimo e in particolare nel mondo cattolico odierno, come dimostra la sua rilevanza all’interno del Sinodo dei Vescovi che da tre anni vede impegnata la Chiesa cattolica. I diritti e la dignità della donna sono peraltro evocati anche dal “Documento sulla Fratellanza umana e la pace mondiale”, firmato nel 2019 da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb.

 

In un quadro come quello delineato, collocare la riflessione sulla valorizzazione della donna nel quadro del dialogo tra cristiani e musulmani può contribuire a far emergere le sfide comuni a due tradizioni religiose che sempre più si trovano a convivere in tutto il bacino del Mediterraneo e sono quindi chiamate a imparare l’una dall’altra. La loro cooperazione e il loro confronto possono inoltre contribuire ad arricchire il dibattito, sottraendolo alle polarizzazioni politiche e ideologiche.

 

Per riflettere su questi temi, il presente report cerca di offrire una visione sintetica dei dibattiti in corso nel mondo musulmano, presentando in particolare il fenomeno del femminismo islamico e la posizione delle autorità religiose ufficiali, tra le quali proprio quella di Ahmad al-Tayyeb (capitolo 1). In seguito passa ad analizzare tre casi specifici. Il primo è rappresentato dal Marocco, un Paese che da alcuni decenni rappresenta un interessante laboratorio riformista nel quale la Monarchia, facendo anche leva sul lavoro di importanti studiose e attiviste, sta promuovendo una progressiva valorizzazione del ruolo delle donne (capitolo 2). All’estremo opposto si trova l’Iran, dove una legislazione statale molto penalizzante per le donne ha lo scopo di legittimare l’establishment al potere (capitolo 3). Il terzo caso di studio è il Libano, e in particolare un documento sulla vocazione della donna nella Chiesa pubblicato nel settembre del 2022 dalla Chiesa Maronita. Si tratta del primo documento del genere per una Chiesa orientale, prodotto peraltro in un Paese caratterizzato dalla convivenza interreligiosa. Il suo valore trascende perciò la comunità che l’ha generato e può rappresentare un punto di partenza per un dialogo rinnovato anche con le comunità musulmane (capitolo 4).

 

Le conclusioni tentano di delineare un bilancio e propongono alcune raccomandazioni di policy. Il report è il risultato delle ricerche svolte dalla Fondazione Internazionale Oasis, ma beneficia anche dei contenuti emersi nel corso dalla giornata di studio intitolata “Donne, religioni e società: prospettive islamo-cristiane”, tenutosi a Rabat l’8 marzo del 2024. Co-organizzato dalla Fondazione Internazionale Oasis e dall’Istituto di Teologia ecumenica al-Mowafaqa, il seminario ha visto la partecipazione di relatrici e relatori cristiani e musulmani provenienti da sette Paesi diversi: Belgio, Camerun, Francia, Italia, Libano, Marocco, Senegal[4].

 

La scelta del Marocco per un evento di questo tipo non è stata casuale. Nel Paese nordafricano vivono o hanno vissuto alcune grandi rappresentanti del femminismo arabo e islamico, a partire dalla sociologa Fatima Mernissi fino alla già citata Asma Lamrabet. Nel corso degli ultimi decenni, inoltre, esso ha adottato una legislazione che va nella direzione della parità tra i generi. Teatro di frequenti dibattiti intorno al tema della donna e allo stesso tempo crocevia tra l’Africa, il mondo arabo e l’Europa, il Marocco rappresenta un paradigma in cui la riflessione sulla condizione femminile può indicare linee e tendenze valide anche per altri contesti, risultando così particolarmente feconda. 

 

Sommario

 

Introduzione
1. Il dibattito sulla condizione della donna tra riforma e secolarizzazione

1.1 Femminismi arabi: un secolo di battaglie

1.2 I volti del femminismo islamico

1.3 All’origine della discriminazione femminile

1.4 Le istituzioni islamiche e la questione femminile: il caso al-Azhar

2. Il laboratorio marocchino

2.1 Le riforme della Mudawwana

2.2 I nodi della riforma

2.3 Un cammino irto di ostacoli

3. Le donne nella repubblica islamica dell’Iran: diritti, rivendicazioni e relazioni con il potere politico

3.1 Una questione politica

3.2 Gli effetti della Rivoluzione del 1979

3.3 Il divario tra Stato e società

3.4 Il movimento “donna, vita e libertà” 

4.In Libano un sinodo speciale sulla donna

4.1 Un documento inedito

4.2 Quattro sfide per le donne

Conclusioni e raccomandazioni di policy

Gli autori

 

 

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Le opinioni contenute nella presente pubblicazione sono espressione degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

 


[1] Asma Lamrabet, Islam et femmes. Les questions qui fâchent, Éditions En Toutes lettres, Casablanca, 2017.
[2] Situational analysis of Women and Girls in the MENA and Arab States Region. A Decade Review 2010-2020, https://arabstates.unwomen.org/en/digital-library/publications/2021/11/situational-analysis-of-women-and-girls-in-the-mena-and-arab-states-region
[3] Ziba Mir-Hosseini, Una via islamica per uscire dal patriarcato, «Oasis» n. 30 (2019), pp. 14-23.
[4] I partecipanti in ordine di intervento sono stati i seguenti: Ambasciatore Armando Barucco, (Ambasciata d’Italia a Rabat), saluti introduttivi; Cardinal Cristóbal Lopez Romero, (Arcivescovo di Rabat), saluti introduttivi; Souraya Bechealany, (Direttrice del Centro di Ricerca in Scienze religiose, Università Saint Joseph di Beirut), La Femme dans l’Église et la société. Ce qu’en dit l’Église maronite; Nouzha Guessous, (Ricercatrice in Diritti delle donne, Membro del Consiglio nazionale dei Diritti dell’Uomo, Marocco), Femmes, religion et culture en contexte marocain; Bakary Sambe, (Direttore regionale del Timbuktu Institute, Dakar), Femmes et religion dans la société sénégalaise; Joseph Vincent Ntuda Ebode, (Direttore del Centro de Ricerca di Studi politici e strategici (CREPS) dell’Università di Yaoundé II), Femmes, politique et société au Cameroun; Malika Hamidi, (Esperta del femminismo musulmano in Europa, Docente alla Libera Università di Bruxelles e ricercatrice all’Università Saint Louis), Le féminisme musulman en Europe; Nathalie Becquart, (Religiosa, Sottosegretaria della Segreteria generale del Sinodo), Les femmes dans la vie et la mission de l’Église catholique. I vari interventi possono essere ascoltati al seguente collegamento https://www.youtube.com/watch?v=QMd5tXJOu3M

 

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