Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:39:24
Vivere ad Istanbul i giorni delle manifestazioni, in cui il rumore dei lacrimogeni e il fumo irrespirabile è arrivato a lambire anche le nostre chiese, mi ha fatto riflettere sul senso da attribuire ad avvenimenti che stanno caratterizzando la vita di un paese che da decenni è entrato in un percorso di vera democrazia. Dagli anni ’50 del secolo scorso, in Turchia esiste un multipartitismo e, teoricamente, tutti possono essere rappresentati nella Grande Assemblea di Turchia. Prova ne sia che nella laica Repubblica, dalla fine degli anni ’90, i partiti politici di ispirazione islamica sono riusciti ad entrare in Parlamento, compreso l’attuale partito al governo, l’AKP. Tutto è quindi orientato alla partecipazione ed alla dialettica democratica.
Ma le scorse settimane hanno mostrato il limite della partecipazione politica e soprattutto della rappresentanza democratica. Molti dei movimenti che sedevano – come in un grande parlamento – nella piazza di Taksim rivendicano uno spazio ‘verde’ per questo luogo simbolo della sacralità della Repubblica di Mustafa Kemal, detto Atatürk (m. 1938). Chi, come me, ha vissuto i giorni di maggior tensione ha sperimentato il senso del limite. Di quale limite? Ne individuerei almeno tre. Il limite dell’informazione, di poter accedere alla realtà vera. Molti dei Turchi, tanto di uno ‘schieramento’ quanto di un altro, hanno condannato i mezzi di comunicazione per non essere stati all’altezza della professione di narrare fatti ed avvenimenti delicati, essenziali ed anche gravi per una parte – minima o grande si verificherà nel corso dei prossimi mesi – del paese stesso. Il malcontento di non poter accedere o di pervenire alla realtà dei fatti ha generato forti critiche a tal punto che più di un direttore delle informazioni di un canale televisivo o di una testata giornalistica si è sentito in dovere di riflettere sulle possibili dimissioni.
Il limite non è solo metodologico (l’informazione), ma investe anche e soprattutto la motivazione della protesta stessa. I manifestanti – la grande maggioranza dei quali esclude la violenza – rivendicano una maggior attenzione alle questioni urbanistiche ed ecologiche e quindi anche sociali, contestando le politiche d'intervento massiccio. I grandi progetti in cantiere sono mirabolanti e davvero ambiziosi. Si pensi, oltre all’ormai troppo discusso centro commerciale (AVM) a Gezi park, soltanto al terzo aeroporto di Istanbul, che avrà per vocazione di diventare il più grande al mondo, più esteso di quello di Atlanta, con milioni di passaggieri ogni anno. Il popolo turco ha tutte le potenzialità e le credenziali per raggiungere l’obiettivo desiderato. Ma questi progetti hanno un limite, quello della partecipazione alla fase decisionale. Siamo qui all’esperienza del secondo e terzo livello del limite: limite nel contenuto, nell’intervento contestato da una parte della popolazione e nella metodologia per raggiungere quello stesso contenuto, altrimenti definibile come dialettica democratica. Per questa ragione, il Primo Ministro ha rapidamente parlato di una consultazione popolare. Questi avvenimenti in Turchia potrebbero costituire davvero un potenziale enorme sulla via della piena esperienza della dialettica democratica, che coinvolge e comporta un profondo scambio tra le parti.
Certo, il partito al governo è legittimo e legittimamente può e deve governare secondo quanto i suoi responsabili ritengono opportuno. A giusto titolo il Primo Ministro Erdogan affermava “noi siamo un partito conservatore, non possono chiederci di essere differenti da quel che siamo”. Quanto affermato è parte fondamentale della democrazia, che non può snaturare le persone e le parti sociali, ma essa richiede soprattutto la dialettica delle parti in causa. E questo chiedono i manifestanti che, peraltro, non sono rappresentati politicamente. Di qui un’ulteriore esperienza del limite della democrazia partecipativa, vissuta anche in altre recenti situazioni di paesi dell’Europa e del Nord America. I manifestanti non chiedono di prendere le redini del paese – i movimenti di protesta non sempre sono rivoluzionari -, ma una maggiore attenzione ai progetti e alla condivisione decisionale.
Di qui, il gezi park è stato preso a simbolo di una più vasta critica e tensione nei confronti del Primo Ministro e del Governo, mescolando un po’ tutte le motivazioni che sono rimbalzate nei media creando anche più confusione. Si immagina una Turchia in preda ad un feroce conflitto tra laicismo e islamismo o tra liberali e socialisti, e ancora tra conservatori e progressisti. In parte è tutto questo al tempo stesso, ma è forse maggiormente sulla metodologia e sulla dialettica democratica che verte il confronto.
L'esperienza della finitezza potrebbe nascondere una grande potenzialità nel processo di piena maturità della democrazia. Ogni limite, infatti, è un richiamo ad oltrepassarlo e chi, come me, vive in questo paese dai mille volti, prega e spera che la dialettica democratica sia sempre più – perché già in parte esistente – sviluppata.