Una guida ai fatti della settimana nel Mediterraneo allargato e nel mondo musulmano attraverso la stampa araba
Ultimo aggiornamento: 19/03/2024 10:46:03
A un anno (e una settimana) dall’invasione russa dell’Ucraina, la stampa araba si interroga sugli effetti presenti e futuri del conflitto sul sistema internazionale e, in particolar modo, sul Medio Oriente. L’emittente qatariota Al Jazeera considera l’invasione russa come un “revival” della Guerra fredda, le cui ripercussioni hanno innescato profondi cambiamenti sulla sicurezza europea, dato un forte impulso alla nuova competizione geopolitica, sconvolto il mercato energetico e intensificato le fibrillazioni che stanno attraversando il mercato globale. Il conflitto non ha coinvolto solo i due Stati belligeranti e l’Occidente, che sostiene il governo di Kiev con diplomazia, aiuti economici e armi, ma anche il “campo neutrale” mediorientale, la cui geografia politica è stata ridisegnata dal 24 febbraio 2022: «con l’eccezione delle ripercussioni negative della guerra sulle economie locali, soprattutto quelle deboli, lo scontro ha creato in effetti delle opportunità per alcune potenze del Medio Oriente, come la Turchia e i Paesi del Golfo, di rafforzare la loro presenza regionale e accrescere la loro importanza nella politica internazionale, diversificando le partnership estere e confermando il margine di autonomia raggiunto nelle politiche estere e petrolifere; parimenti, ciò ha causato problemi e opportunità ad altre potenze come Iran e Israele, così come ha permesso a Russia e Cina di aumentare il loro ruolo nella regione». In effetti, «prima della guerra il Medio Oriente attraversava da due anni una nuova stagione nel segno di una de-escalation che ha prodotto un cambiamento in certi contesti», come la ricucitura delle relazioni turco-arabe e delle tensioni saudite-iraniane, ragionevolmente attenuatesi dopo che i due Paesi hanno iniziato il dialogo bilaterale», per non parlare del mutamento della politica americana avviato dal presidente Joe Biden, caratterizzato dalla ripresa dei negoziati con l’Iran per riesumare l’accordo sul nucleare e dalla crisi con i Paesi del Golfo, ormai diventati vere e proprie potenze regionali. Il 24 febbraio ha influenzato anche il conflitto siriano: in primo luogo, la Russia ha ridotto la sua presenza militare nel Paese levantino, permettendo all’Iran di estendere la sua influenza; gli attriti tra russi e israeliani hanno inoltre impedito a Tel Aviv di contrastare la presenza di Teheran; vi è poi il nuovo approccio turco verso il regime siriano grazie alla partnership russa; infine, si rileva la propensione di diversi Stati arabi a riallacciare le relazioni con Assad.
A proposito del nuovo ruolo del Golfo, e in particolare di quello dell’Arabia Saudita, al-Sharq al-Awsat nota come l’incontro a Kiev del 26 febbraio tra il ministro degli esteri saudita, l’emiro Faysal bin Farhan, e il presidente ucraino Volodymir Zelensky non possa essere una mera coincidenza, non fosse altro perché era da trent’anni che un ministro degli esteri del Regno non visitava il Paese: «non c’è dubbio che la visita dell’emiro Faysal sia alquanto insolita, date le condizioni e le tempistiche». A tal riguardo, il giornale spiega che Riyad si è presentata in Ucraina come se fosse una potenza occidentale, ossia adottando una linea politica solida, coerente e slegata dalle circostanze del momento. «Si tratta di un fatto molto importante, perché significa che il Regno sta esercitando il proprio ruolo di leadership, rappresentando (da una prospettiva storica e in accordo con gli equilibri politici) una parte essenziale della difesa dell’ordine internazionale». La visita intende infatti confermare i capisaldi della politica saudita nei confronti del conflitto: rispetto del diritto internazionale, non aggressione verso altri Stati sovrani, inviolabilità dei confini ucraini. L’approccio distensivo serve anche per smentire le voci sul «gioco delle polarizzazioni» come sopra descritte da Al Jazeera. D’altronde, scrive la giornalista libanese (ed ex rappresentante permanente del Libano alle Nazioni Unite) Amal Mudallali sempre per al-Sharq al-Awsat, «il mondo non può farsi carico delle conseguenze» della guerra, soprattutto quando si parla di testate atomiche, dato che «qualsiasi nuova escalation venisse provocata da entrambi i lati, porterà il mondo sull’orlo del baratro».
Non si può tralasciare il ruolo della Cina, nuova costante all’interno dell’equazione geopolitica mediorientale. Al Jazeera – l’unica emittente araba ad avere un sito di notizie in mandarino – dedica un articolo a riguardo e, come nel suo stile, esordisce con un ampio excursus storico: le relazioni sino-arabe non sono una novità degli ultimi anni, bensì risalgono agli albori del Califfato, nel 651 d.C. per la precisione. All’epoca il terzo califfo, Othman, inviò un suo emissario a Chang’an, capitale dell’impero cinese durante la dinastia Tang, facendo conoscere presso la corte i principî della religione islamica. Dal Medioevo si passa direttamente al XX secolo, quando Pechino si schierò con i movimenti nazionalisti e socialisti del mondo arabo. Parlando dell’attualità, la Cina «si appresta a riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti nel mondo islamico a livello securitario, militare ed economico». Tuttavia, osserva la testata, le prospettive di massicci investimenti non devono illudere la pubblica opinione e i governanti: il gigante asiatico è noto per le sue famigerate trappole debitorie nei confronti di Paesi fragili a livello istituzionale e poveri sul piano economico. Incapaci di ripagare i prestiti concessi, questi sono obbligati a fare un gran numero di concessioni a Pechino, garantendo l’usufrutto di basi militari, miniere e altri asset strategici. Tra le vittime illustri vi sono Gibuti, il piccolo Stato che si affaccia sullo stretto di Aden e che ospiterà la prima base militare cinese all’estero, il Sudan e l’Egitto, il cui debito si aggira intorno a 42 miliardi di dollari.
Per al-‘Arabi al-Jadid, il piano di pace recentemente proposto dal presidente Xi Jinping arriva «in ritardo rispetto agli sviluppi della situazione ucraina e di quella internazionale»; il tutto mentre «l’Iran si schiera con la Russia e il Golfo cerca di rimanere neutrale il più possibile, cooperando sia con la Russia che con gli Stati Uniti». La nascita del mondo multipolare viene visto con sfavore dall’autore, che vede sempre più concreto il rischio di una terza guerra mondiale. Non possiamo non menzionare la bizzarra vignetta a corredo dell’articolo: Vladimir Putin, con una molletta gigante che gli copre la faccia, mette l’insegna dell’aquila bicipite (simbolo imperiale della Russia zarista) in una lavatrice scassata e traballante. Ma il giornale panarabo con sede a Londra sottolinea un altro importante risvolto del conflitto: la crisi alimentare. «La guerra russo-ucraina non è entrata solo negli annali della storia internazionale, ma è entrata anche in tutte le case arabe poiché, per motivi strategici, ha influito sui prezzi del pane, del carrello della spesa e della tavola; la guerra ha bloccato la catena degli scambi, se si considera che russi e ucraini sono i due principali fornitori di frumento dei Paesi arabi». Di conseguenza, «la crisi alimentare ha portato gli Stati arabi in un “angolo acuto”, conseguenza politica delle scelte belliche». Oltre al problema del cibo, il giornale segnala i cambiamenti strategici mediorientali messi in moto dagli attori regionali in risposta all’invasione russa. A tal proposito, «non possiamo ignorare il fatto che il mondo arabo, con le sue posizioni, ha colto molti di sorpresa»; prima del 24 febbraio 2022, questi Stati erano soliti considerarsi come appartenenti, in maniera quasi spontanea e automatica, alla strategia americana, in particolare, e di quella occidentale, più in generale». Ora, però, essi «hanno costruito le loro posizioni su presupposti che propendono per l’autonomia decisionale, seppur conservando le note partnership strategiche». Per il giornale non è semplice riassumere questa stagione storica, anche se ipotizza che il Medio Oriente «non è uscito del tutto dalla sfera di influenza occidentale e non è entrato completamente in quella russa».